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A A . W . , L'aeroplano e le stel-le. Storia orale di una realtà studentesca prima e dopo la Pantera, manifestolibri, Roma 1995, pp. 254, Lit 22.000.

L'aeroplano e le stelle è la prima

storia di un movimento studente-sco di massa che io conosca. L'espressione "storia dei movi-menti" rappresenta

probabilmen-te una contraddizione in probabilmen-termino, giacché il potere della memoria è (appunto) un potere, e dunque la storia è, di norma, memoria del potere. Così la storiografia è una funzione (e non fra le più trascura-bili) del potere costituito, un ele-mento del suo apparato istituzio-nale, un fattore potente di autoce-lebrazione identificativa e/o cele-brativa, insomma un organo dello

Stato, diverso per funzioni ma non

per natura dalla polizia o dalla ma-gistratura; da questo punto di vista i movimenti, come non hanno (e non possono avere) una loro poli-zia e una loro magistratura, così non hanno (e non possono avere), una loro propria storia, almeno fin-ché restano movimenti. Ciò non esclude, ovviamente, che essi con-servino e trasmettano in modi mi-steriosi una loro memoria non sto-riografica, né che siano oggetto (o vittime) di operazioni storiografi-che altrui; ma ciò storiografi-che resta escluso,

in via di principio, è che siano in grado di produrre essi stessi una storiografia su di sé in modo non contraddittorio rispetto alla loro natura di movimenti. In questo senso, la produzione di una storio-grafia autocelebrativa potrebbe es-sere assunta addirittura come se-gnale inconfondibile del fatto che un movimento (o un suo settore) si è fatto Stato, cioè partito.

Tutto ciò spiegherebbe il singo-lare e ormai vistosissimo vuoto di storiografia (o meglio: di "autosto-riografia") sui movimenti di massa degli anni sessanta-settanta, essen-do del tutto evidente che sono

l'esatto contrario di una

storiogra-fia dei movimenti sia i reportages giornalistici, più o meno crimina-lizzanti, sia le autobiografie dei

protagonisti (anzi, nulla come que-ste ultime performances autobio-grafiche appare più intrinsecamen-te contraddittorio rispetto alla na-tura collettiva dei movimenti, per i quali vige invece sempre l'afferma-zione di un vecchio movimentista cinese: "I veri eroi sono le masse, mentre noi siamo spesso infantili e ridicoli").

L'incompatibilità di cui

parlia-mo fra parlia-movimenti e discorso sto-riografico non riguarda solo le cir-costanze materiali della produzio-ne di storiografia (chi produzio-ne sarebbe il committente? chi il destinatario? da dove trarre i pofessionisti a cui affidare il compito di scrivere? e così via); tale incompatibilità ri-guarda prima ancora di tutto ciò, e assai più radicalmente, le forme del

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discorso storiografico, cioè le

carat-teristiche di un discorso che (nella nostra tradizione letteraria) per es-sere storiografico, deve eses-sere gran-de-narrativo, centrato su uno o più protagonisti, dotato di senso e di-rezione univoci, lineare nel suo svolgimento, da un inizio verso una fine e un fine, fortemente as-siologico e valutativo, ecc.

Sandro Portelli e il gruppo che con lui ha scritto L'aeroplano e le

stelle utilizzano invece una forma discorsuale (la storia orale e

collet-tiva, il montaggio, il pastiche) del tutto compatibile con la natura del movimento di massa, e anzi forte-mente segnata (non voglio dire: prodotta) proprio da quell'espe-rienza. Portelli è non a caso erede diretto della grande tradizione di storia orale di Gianni Bosio, del Circolo romano che da questi pre-se il nome, poi della rivista "I Giorni Cantati" (ma si pensi anche alla maggiore esperienza portellia-na della storia orale di Terni). Die-tro alle pagine del libro c'è pertan-to un lavoro immenso, anche se del tutto assimilato e quasi nascosto al lettore (ciò rende quelle pagine leggibilissime e piacevoli): diverse decine di interviste al registratore, la fatica di sbobinare e trascivere ore e ore di conversazioni, il lavoro di rilettura, discussione e montag-gio letterario e, infine ma non per ultimo, il gesto finale di sottoporre agli stessi intervistati il lavoro fini-to e di raccogliere ancora da loro giudizi e impressioni: è il capitolo IX e conclusivo, che il tifoso di cal-cio (per l'esattezza: laziale) Portelli intitola Tempi supplementari.

Tutto ciò "muove" il nostro li-bro: si intrecciano in esso una plu-ralità di protagonisti, di punti fo-cali del racconto, ma anche una pluralità di tempi, come è peraltro nella natura più intriseca dell'atto di memoria: il tempo dei fatti nar-rati (a loro volta non puri, non net-ti e univoci, ma intrisi di narranet-tività altrui, cioè di altre memorie), poi il tempo narrativo raccolto nell'in-tervista, poi ancora il tempo com-mentativo dei curatori e, alla fine, degli stessi intervistati. Questa grande ricchezza di tempi si anno-da intomo a uno spazio limitatissi-mo: l'Università di Roma, anzi la sua Facoltà di Lettere, anzi Villa Mirafiori, la sede "privilegiata", che ospita solo i Dipartimenti di Lingue e di Filosofia, e il suo leg-gendario giardino.

Deve leggere questo strano e bel libro chiunque volesse ascoltare davvero il silenzio della generazio-ne della Pantera; mi riferisco a quelli nati dopo il '68 che si sono beccati in piena faccia prima, da bambini, la repressione militariz-zata degli "anni di piombo", poi, da adolescenti, gli "anni di merda" del craxismo trionfante. Ruberti fu il punto più alto (e secondo me più vergognoso) della reale egemonia del craxismo presso la sinistra ac-cademica e ufficiale; la Pantera, la-sciata del tutto sola a combattere e morire, fu però il primo segnale di " ribellione (che, non a caso,

identi-ficò il suo nemico in Berlusconi, assai prima della "scesa in campo" del Cavaliere). Ora quella genera-zione (che è già... la penultima, non più l'ultima) si racconta e si mostra in un libro, svelando il suo singolarissimo impasto di inge-nuità e di rigore, di impotenza e di opposizione, di pacifismo e di ri-fiuto.

Già, la Pantera: do you remem-ber?

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