I D E I L I B R I D E L M E S E !
Intelligente tolleranza
di Rina Gagliardi
MicroMega, anno I, numeri 1,2 e
3, Roma 1986, Lit. 15.000 a
nu-li progetto ponu-litico culturale di Micromega era stato enunciato da Giorgio Ruffolo con la consueta luci-dità. La sinistra deve combattere — e possibilmente battere — qualche co-sa di più che non le proprie insuffi-cienze politiche e tattiche: quella cri-si ecri-sistenziale profonda, quel "male oscuro" insidioso, quella "fiducia" nelle proprie ragioni, che ne minano da molti anni la forza e le capacità. Di qui, il titolo e il sottotitolo lockian-volterriano della rivista: "Non affer-mo niente" come dice un personag-gio di Micromega "ma mi contento di credere che ci sono più cose possi-bili di quanto si pensi". Di qui, anco-ra, l'orizzonte politico — strategico, definito dalla necessità di un nuovo "compromesso storico tra capitali-smo e democrazia": una vera "terza via" del riformismo, un'alternativa progettuale al semplice "governo del-le cose". E, persino, una proposta concreta di rifondazione: un partito unico della sinistra, sulla base di mo-tivazioni ben meno contigenti di quelle che spingevano Giorgio Amendola, nel 1964, a formulare un'ipotesi solo apparentemente ana-loga. ("Livorno appare assai più lon-tana di sessantacinque anni fa ...appena sei anni ci dividono dalla celebrazione di Genova 1992, il seco-lo socialista".
Con queste ambizioni, giocoforza collocate su tempi lunghi e su verifi-che deliberatamente "non empiri-che", Micromega ha iniziato a porre i suoi "sassi nello stagno". Tre nume-ri, a cadenza trimestrale, sono po-chissimi per giustificare un bilancio che non si voglia ingeneroso e fretto-loso: e Dio solo sa quanto la sinistra rimanga ingolfata nelle piccole ragio-ni della politica a breve, della preoc-cupazione — perfin concettuale — a non rimanere fuori dal gioco. Ci li-miteremo, perciò a un primo, pacato e provvisorio, giudizio politico, su quanto Ruffolo e i suoi si sono meri-toriamente proposti, e su quel che in questi sei mesi hanno meritoriamen-te realizzato.
In Micromega confluisce il meglio della cultura politica non comunista presente oggi sulla scena italiana. Non soltanto la riflessione di quell'a-rea socialista che — non sembri trop-po sbrigativa la definizione - non si è fatta "incantare" dalle illecebre del craxismo; non semplicemente, quin-di, il corpo di elaborazioni, di non lontana origine giolittiana, espresso
dal saggio. "La qualità sociale"; ma filoni ael revisionismo filosofico co-munista più spinto, eredità, anche singole, eli quel che fu la nuova sini-stra negli anni '70, tentazioni radical-liberali, istanze della nuova sinistra ("absit iniuria verbis") ambientalista degli anni '80. Un universo, a ben vedere, minoritario — non nell'ispi-razione o negli intenti, ma nel rap-porto con la "grande" politica. Ne è venuta, nel lavoro dei primi tre nu-meri della rivista, una conseguenza
forse inevitabile: quella sorta di paci-fico (e indolore) convivere delle "ragioni critiche" assieme alle "ragioni ufficiali" della sinistra che, a lungo andare, deluderebbe davvero. Un esempio caratteristico di questo limite è, nel numero 2, l'inchiesta sulla alternativa di sinistra: un que-stionario sul "come", "quando", e "chi" proposto a Camiti, Lama, Del Turco, Formica, che fornisce solo le risposte che ci si poteva aspettare, sul modello dei tanti, consimili dibattiti che affollano, negli ultimi anni, i fe-stival delPUnità".
Un altro esempio caratteristico è il dossier del terzo numero, impernia-to su un bilancio del craxismo. Al-l'appassionata denuncia di Paolo
Flo-res D'Arcais sul "riformismo senza riforme", "surrogato dell'alternati-va", che ha caratterizzato il decennio della nuova leadership socialista e al-la sua disillusione finale ("Amara al-la conclusione. Il Partito socialista sem-bra aver rinunciato a quelle novità che potevano renderlo protagonista. A farsi promotore di una seconda repubblica fondata sulla rinascita del cittadino e sull'equità sociale"), fan-no da contraltare esplicito contributi di segno anche opposto: quello di Giuliano Ferrara (colpito dalla fasci-nazione dell'autoritarismo craxiano,
proprio da quelle "riforme senza
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riformismo"' che stanno cambiando, da palazzo Chigi in su, la costituzio-ne materiale della repubblica); quello
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di Danilo Zolo (colpito dalla origina-lità assoluta della prassi del leader socialista, tanto da trovare inadegua-to ogni modello preesistente della so-ciologia del potere); quello di Angelo
lani (colpito, pur nell'apparente distacco, dal successo principale del Boi pito, pur nell'apparente craxismo, l'isolamento del Pei e la fine, per quanto tragica, della "diversità" berlingueriana).
Che cosa risulta, alla fin fine, da questa pur ricca analisi "plurale"? Una incertezza profonda, appunto, nel giudizio politico "a breve". Una difficoltà e un imbarazzo generale che non ci sentiamo, certo, di croci-figgere: è pur vero che il successo politico di Bettino Craxi, nella sua assoluta disomogeneità alle "ragioni profonde" della sinistra, ha scoperto molti atteggiamenti e più d'una "Weltanschaung", fosse essa critica o apologetica. Ma, con ciò, il primato della "politica realmente esistente" resta più che mai riaffermato.
Allo stesso modo, la generosa apo-ria di Micromega si svela insita in una sua ambizione costitutiva. Il boso-gno di superare dogmi e steccati tra-dizionali, la capacità di mettere insie-me forze e persone diverse, l'istanza critica e laica, insomma, nel senso migliore della parola, si rovesciano — talora — in quel pluralismo dell'esi-stente che potrebbe sfociare, all'e-stremo, in un antologismo tanto ric-co quanto politicamente sterile. In-tendiamoci bene su questo punto: non è in questione la veteroistanza di una nuova sintesi, che, del resto, Mi-cromega aveva avvertito di non voler perseguire. In questione, intanto, è la stessa qualità dispersa dei contributi: i sassi nello stagno sono molti — nel numero 2, la "giornata del sindacali-sta" di Pietro Marcenaro, che mette a nudo il sindacato realmente esisten-te, nel suo essere quotidiano e strut-turale, con la risposta del segretario Cgil, Antonio Pizzinato; nel numero 1, la scoperta del nuovo mito ideolo-gico dell'"autopoiesis", ad opera di Danilo Zolo; nel numero 3, la scelta verde e ambientalista, posta da Ruf-folo in termini strutturalmente im-portanti — forse troppi, per avere ciascuno una vera continuità. La mancanza di "ossessioni", insomma, produce allo stesso tempo riccchezza e prudenza culturale, forse, prima che politica: una specie di ansia uni-versalistica, l'avvisaglia di un perico-lo da evitare a tutti i costi, quelperico-lo di un antologismo di grande qualità, per forza eclettico.
In secondo luogo — ma per questo davvero occorre dare tempo al tem-po — Micromega non può esaurire la propria naturale vocazione dialettica ai dialoghi contenuti nei bei carteggi Bobbio-Ingrao (riforma istituziona-le) e Corio-Stame (giustizia). A noi, lettori affezionati e interessati, può forse bastare la tolleranza reciproca, nutrita d'intellegenza.
Italo Mancini
Filosofia della prassi
pp. 498, L. 45.000
AA.VV.
Giambattista Vico
Poesia Logica Religione
pp. 388, L. 35.000
E N I G M A E P E R C E Z I O N I
1
Il giullare, la fanciulla, la metamorfosi
RACCONTI DI ROSSELLA CARDINALE
V E N T I Q U A T T R O D I S E G N I DI A L B E R T O A B A T E O P E R A S O D A A C U R A DI F R A N C O G A R O F A L O
DICEMBRE 1984
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