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GIANNI LA BELLA I GESUITI e specifi ci della Compagnia, come la predicazione degli Esercizi Spiri-

Nel documento I Gesuiti. Dal Vaticano II a Papa Francesco (pagine 88-116)

tuali, la formazione del clero, il lavoro culturale specializzato, l’educa- zione dei giovani nei Collegi e nelle Congregazioni Mariane: pochissi- mi sono i nostri giovani che intendono consacrarsi a questi ministeri, anche opportunamente rinnovati. I più sognano di lavorare in campo sociale o di consacrarsi ad opere e ministeri di punta, che suscitino scalpore per la loro novità ed originalità, o anche di consacrarsi a lavo- ri manuali, come semplici operai […]. È bene – ed è anzi necessario – che alcuni gesuiti lavorino in campo «sociale» o compiano lavori non direttamente spirituali (anche se tutto ciò che un gesuita compie deve essere fi nalizzato allo «spirituale»); ma sarebbe gravemente dannoso per la Compagnia e per la Chiesa se, seguendo un po’ la moda del nostro tempo, le forze migliori della Compagnia venissero dirottate nel campo «sociale» o si concedesse ad ognuno di seguire quello che egli ritiene (quante illusioni ognuno si fa a questo proposito!) il pro- prio carisma o la propria particolare vocazione […] 4) Come conse- guenza di quanto ho detto fi nora, molti hanno l’impressione che la Compagnia si stia, in una certa misura, disgregando: ciò crea, eviden- temente, un senso di depressione e di scoraggiamento. A dare tale impressione concorrono i fatti a cui ho già accennato […] Altri due fatti danno l’impressione d’una disgregazione in atto: l’esperimento delle piccole comunità (che pure ha in sé un’intrinseca validità), per la maniera come è stato condotto e per taluni risultati che ha dato […] e come taluni gesuiti intendono realizzare la propria vocazione […] La terza preoccupazione, anch’essa condivisa da molti Nostri, concer- ne la formazione dei nostri giovani. So di toccare un tema particolar- mente delicato e diffi cile, sul quale sarebbe prudente da parte mia ta- cere, per lasciare la parola a persone più competenti. Mi permetta, tuttavia, di esprimere qualche impressione, che non è mia soltanto. a. Mi sembra, anzitutto, che i nostri giovani non vengano suffi ciente- mente formati, secondo il nostro «stile» (di cui ho parlato più sopra), all’impegno, al lavoro duro e paziente, al sacrifi cio, alla rinunzia a fare ciò che piace o è di proprio gusto per fare ciò che non piace o che non si ritiene utile immediatamente […]

b. Mi sembra in secondo luogo che taluni nostri giovani abbiano diffi - coltà con lo spirito soprannaturale: tale difetto – da attribuirsi ad una non suffi ciente formazione, oltre che all’infl usso dello «spirito del tem- po» intriso di naturalismo? – si manifesta con uno scarso spirito di pre- ghiera personale e di ubbidienza. (Non che noi, anziani, eccelliamo nello spirito soprannaturale, purtroppo!) Ma ciò che oggi è grave è il fatto che il «naturalismo» non solo è praticato, ma è spesso giustifi cato teoreticamente ma è chiaro che la Compagnia è fondata sullo spirito di preghiera e di ubbidienza: se manca tale spirito – e se non si fa di tutto per inculcare nei giovani, anche sapendo che il mondo di oggi va in tut- t’altra direzione – la Compagnia rischia di diventare «sale scipito» […]

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c. Ma l’aspetto più preoccupante del problema della formazione dei nostri giovani è quello della formazione intellettuale – fi losofi a e teo- logia – che ad essi viene data in taluni scolasticati. Per fare un esempio che conosco, credo che sia signifi cativo il caso di Gallarate (Italia). In tale scolasticato, infatti, non solo sono stati aboliti i corsi sistematici di fi losofi a scolastica, ma tutta la formazione fi losofi ca si ispira al pensie- ro ed alle opere (che vengono lette sistematicamente) di Kant, Hegel, Marx, Freud, Merleau-Ponty, cioè di quelli che un fi losofo moderno (Paul Ricoeur) chiama signifi cativamente «les maîtres du soupçon» (i maestri del dubbio – nel senso che suscitano il «dubbio» su tutti i valo- ri più essenziali e più alti della vita): cosicché gli scolastici che escono da Gallarate sono «sformati» intellettualmente, avendo assorbito prin- cipi e concezioni fi losofi camente inaccettabili e spesso anche inconci- liabili con la fede cristiana. […]

Ecco, rev.mo P. Generale, le preoccupazioni che volevo esporLe, non con spirito di contestazione dell’attuale Compagnia (in cui mi sento pienamente inserito ed a cui mi sento di appartenere con gioia ed entusiasmo), ma con spirito di collaborazione al miglioramento di essa. Poiché non è per me indifferente che la Compagnia viva o muoia, sia quello che Dio e la Chiesa vogliono che essa sia o invece, tradisca la sua vocazione ed abbandoni un posto che fi nora così gloriosamente (non è trionfalismo!) ha tenuto nella Chiesa «per la maggior gloria di Dio» […] È necessario, mi sembra, che la Compagnia, alla luce degli esperimenti voluti dalla XXXI Congregazione Generale, si dia fi nal- mente una linea chiara ed omogenea ed impegni tutti i suoi membri a farla propria, e ad osservarla: a chi non fosse soddisfatto di essa o sen- tisse di non poterla accettare, bisognerebbe chiedere con franchezza, ma anche con vigore, di cercarsi un’altra strada in cui servire il Signore secondo il proprio carisma. Si potrà uscire in tal modo dall’attuale stato di incertezza, che non può prolungarsi ancora senza nuocere gra- vemente alla Compagnia. È necessario, poi, che si ponga fi ne a quella certa anarchia che oggi si nota nella Compagnia, per cui molti fanno quello che vogliono: i superiori, sia pure in dialogo con i sudditi per la ricerca della volontà di Dio, devono riprendere in mano le situazioni e governare, esigendo dai sudditi l’ubbidienza, senza la quale la Compa- gnia non esiste. È necessario, infi ne, che si ricostituisca il clima di fi du- cia nella Compagnia e che, perciò, si ponga rimedio con coraggio a tutte quelle situazioni che oggi fanno vacillare la fi ducia e spengono l’entusiasmo di tanti gesuiti per la Compagnia, che pure amano con grande affetto…23

23 Lettera di G. De Rosa a P. Arrupe, 8 settembre 1970, in Arsi, Domus Interpro-

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Un testo scritto di getto, sull’onda di un’intensa carica emotiva che ben rispecchia la personalità dell’autore, denso di esagerazioni e di estremizzazioni, ma che rivela il clima del momento e il sentire di molti gesuiti di quella generazione, spaesati, confusi, disorientati, davanti a cambiamenti così radicali e tumultuosi, che vivono la loro vocazione religiosa come in un mare in tempesta. Arrupe risponde alla lettera, ringraziando per la «schietta comunicazione di senti- menti e di idee». Preoccupazioni che gli sono ben note, ma che non devono, aggiunge, farci prendere dallo sgomento, ricordando che è necessario coinvolgere tutti in questa «rigenerazione dell’or- dine, senza perdere un clima di serenità e di fi ducia». Tensioni che assumono a volte pieghe ridicole, come nel caso del cardinale Jean Daniélou, che arriva a suggerire di dividere i gesuiti conservatori e progressisti in case separate. Una proposta alla quale Roma si limi- ta a rispondere, per una volta, con ironia: sarebbe complesso orga- nizzare così tanti traslochi24. Ma è soprattutto in Spagna che la po-

lemica contro Arrupe si trasforma da «mormorato dissenso» a «or- ganizzata protesta», passando alla storia dell’ordine come il movi- mento della «vera» Compagnia.

La rivolta spagnola: dalla «vera» Compagnia a Jesuitas en fi delidad

Una vicenda che Álvarez Bolado ha equiparato a una di quelle espressioni di quel «dissenso controriformista» che negli anni del post-Concilio preme sul papa affi nché assolva alla sua missione di custode della tradizione25. Le prime avvisaglie di questa crisi si han-

no già al termine della prima sessione della XXXI Congregazione. Nella casa di Loyola si celebra dal 16 al 27 agosto del 1966 un Con- gresso Internazionale di Esercizi Spirituali, a cui assistono un centi- naio di specialisti, tra cui Severiano Azcona, ex assistente di Spa- gna. L’incontro voluto, a suo tempo, da Janssens è presieduto, a nome di Arrupe, dal suo assistente generale, John Swain. Una tren- tina di partecipanti, per lo più spagnoli e latinoamericani, al termi- ne del Congresso inviano una relazione a Roma ai padri membri della XXXI Congregazione, che si sarebbe radunata di lì a un mese, esprimendo le loro inquietudini rispetto al governo della Compa-

24 A. Guichard, Les jésuites, Paris 1974, p. 130.

25 A. Álvarez Bolado, «Crisis de la Compañía de Jesús en el generalato del pa-

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gnia. Si dicono preoccupati, dichiarandosi disponibili a qualsiasi sacrifi cio, «affi nché la Compagnia ritorni a essere pienamente quella che gloriosamente è sempre stata e deve essere sempre»26. Il

documento raggiunge per vie traverse il Vaticano. I vertici della Segreteria di Stato, allarmati da questo coro di proteste che da più parti giungono a Roma, con le cautele del caso, scrivono al genera- le chiedendo chiarimenti. Dalla Curia generalizia, imbarazzati, provano a spiegare quanto sta accadendo, riconoscendo che «Esi- stono problemi interni abbastanza sensibili: una forte divisione tra i più tenaci tradizionalisti e i progressisti […] La minoranza estre- ma dei conservatori non accetta quasi nessuna innovazione, si fa sentire in termini molto duri contro la Compagnia di oggi, e a volte anche contro la Chiesa e la Santa Sede. Scrivono lettere e memoria- li alle autorità civili ed ecclesiastiche; spargono anche fogli ciclosti- lati e pubblicano articoli anonimi ingiusti ed ingiuriosi […] L’altro problema interno e che in parte è all’origine del precedente è la gioventù gesuitica di oggi. La Compagnia infi ne durante la guerra civile in alcune sue componenti ha visto con simpatia il regime franchista, come la maggioranza dei vescovi spagnoli, baschi, cata- lani. In seguito proseguì per molto tempo ad essere fedele senza condizioni; ricevette anche molti favori dal governo»27. Non soddi-

sfatta delle informazioni ricevute, la Segreteria di Stato, attraverso la nunziatura, procede ad un supplemento di indagine. Pochi mesi dopo, all’inizio di novembre 1969, una rappresentanza della Con- ferenza episcopale spagnola, guidata dal presidente, l’arcivescovo di Madrid Casimiro Morcillo, incontra il papa. I gesuiti sono il tema dominante della conversazione. Paolo VI è così preoccupato che l’arcivescovo, rientrato in diocesi, informa il generale, riferendogli gli amari commenti del pontefi ce28. Anche i vescovi spagnoli sono

critici verso l’operato della Compagnia, i cui periodici diffondono opinioni non conformi alla dottrina della Chiesa29.

Il 9 gennaio 1969 il gruppo della «vera» esce allo scoperto. Con

26 Ivi, p. 208. Il testo è indirizzato ai delegati in vista della seconda sessione della

XXXI Congregazione Generale. Nel loro documento segnalano tra gli elementi che caratterizzano questa crisi: l’elevato numero degli abbandoni, la perdita del senso della preghiera, la mancanza di obbedienza, la mondanizzazione, il non rispetto dell’autorità.

27 Appunto La Compagnia di Gesù in Spagna, 11 marzo 1968, in Aesi-a.

28 M. Alcalá, «Gozo y martirio en España (1965-1970)», in Pedro Arrupe. Asì lo

vieron, Santander 1986, p. 86.

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l’autorizzazione del provinciale di Toledo, Luis González, un grup- po di gesuiti si ritrova informalmente per discutere del futuro della Compagnia, alla luce dell’ultima Congregazione Generale; ne fan- no parte professori di fi losofi a, teologia e diritto canonico, come Jesús Solano, Eustaquio Guerrero, José Caballero, José Antonio de Aldama, Eduardo Fernández Regatillo, Manuel Foyaca, José Ramón Bigador, Jesús Muñoz, Manuel Parente e Luis Mendizábal, in colle- gamento con altri gesuiti residenti a Madrid, Granada e Barcellona e con alcuni della Gregoriana di Roma, tra cui Cándido Pozo, Jesús López-Gay, Sebastian Tromp e Jean Beyer. Nel loro documento ac- cusano il generale e il suo consiglio di debolezza dottrinale, disob- bedienza al papa e di eccessiva tolleranza nei confronti della libertà di opinione30. L’informe arriva sul tavolo di Paolo VI. Il gruppo dei

descalzos, come li chiamano ironicamente i loro confratelli spagno- li, chiedono al papa che gli sia concesso di continuare a vivere se- condo le regole dell’antica osservanza ignaziana in case e collegi autonomi, dipendenti unicamente dal preposito generale. La ri- chiesta, inoltrata a Roma, non ha alcun seguito, il che contribuisce ulteriormente ad irritare il partito della «vera», che si sente decon- siderato. In Vaticano non sanno come gestire la situazione e per questo prendono tempo, chiedendo il 29 maggio del 1969 un ulte- riore parere sulla vicenda, al cardinale Vicente Enrique y Taran- cón, arcivescovo di Toledo e primate di Spagna. Il prelato racco- manda prudenza e pazienza, invitando a non esasperare i toni: tut- ti i religiosi in Spagna sono nella stessa situazione. Le polarizzazio- ni, commenta, appartengono alla «nostra storia e cultura: alla fi ne le cose si aggiusteranno»31. Nel dicembre del 1969, durante la riu-

nione della Conferenza episcopale, l’arcivescovo di Madrid chiede ai vescovi se siano favorevoli a chiedere alla Santa Sede di autoriz- zare questa «secessione». L’assemblea non ha tempo di affrontare l’argomento. I vescovi sono invitati a far avere il loro parere per iscritto alla presidenza32. Con 49 voti favorevoli e 18 contrari la ge-

rarchia spagnola approva la nascita di una provincia autonoma del- la Compagnia di Gesù, convinti che questo sia il volere del papa. Una fuga di notizie rende nota la decisione dell’episcopato, scate-

30 Documento dattiloscritto del «Cosiddetto gruppo dei 18», senza fi rma, in

Aesi-a.

31 Cfr. V. Cárcel Ortí, Pablo VI y España. Fidelidad, renovación y crisis (1963-1978),

Madrid 1997, p. 629.

32 Lettera di Mons. C. Morcillo González ai vescovi spagnoli, 9 dicembre 1969,

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nando un vespaio di critiche, tanto che l’arcivescovo è costretto, il 27 gennaio, a scrivere ad Arrupe quasi scusandosi, cercando di giu- stifi care la decisione presa, sostenendo che nonostante tutto «una provincia personale» è un rimedio sì penoso, però praticamente inevitabile33. Nei giorni seguenti, la vicenda si tinge di giallo. Il 17

gennaio 1970 il cardinale Tarancón fa sapere al gesuita José M. Martín Patino, per tanti anni suo pro-vicario generale a Madrid, che né il nunzio, né alcuna congregazione vaticana avevano auto- rizzato l’arcivescovo di Madrid a indire un tale referendum34. An-

che il nunzio in Spagna, Luigi Dadaglio, uno dei grandi artefi ci del rinnovamento della gerarchia spagnola, ammette di non saperne nulla. Da chi è partita allora l’idea? si chiedono i gesuiti spagnoli. Il provinciale di León, Ignacio Iglesias, il 18 dicembre 1969 scrive al- l’assistente del generale per la Spagna, Victor Blajot, informandolo che molti vescovi spagnoli sono stati avvicinati dal padre Jesús Sola- no, un teologo, ex rettore dell’Università Comillas, direttore inter- nazionale dell’Apostolato della Preghiera, per convincerli ad ap- provare il loro progetto separatista35. Solano si muove negli am-

bienti vaticani, sotto la protezione del procuratore generale dell’or- dine, Pedro Abellán, simpatizzante del gruppo della «vera», nella speranza di trovare appoggio, anche, nell’assistente generale di Arrupe, Dezza, e, attraverso i suoi buoni uffi ci, ottenere il placet va- ticano. Per questa generazione di gesuiti, formatisi nella Compa- gnia del pre-Concilio, Dezza rappresenta il generale ideale, l’uomo che avrebbe dovuto occupare il posto di Arrupe. Questi, in realtà, non appoggerà mai uffi cialmente il partito della «vera», anche se si farà interprete, nelle sedi opportune, del loro disagio e delle loro frustrazioni, condividendo, almeno sul piano teorico, alcune loro rivendicazioni. L’iniziativa dell’arcivescovo di Madrid produce grande amarezza tra i gesuiti spagnoli. I provinciali giudicano il comportamento dell’episcopato un atto di «palese, grave e immoti- vata sfi ducia» e decidono, pertanto, di dimettersi collegialmente, comunicando la loro decisione al papa36. La gravità di quanto sta

33 Lettera di Mons. C. Morcillo González a P. Arrupe, 27 gennaio 1970, in

Aesi-a.

34 Nota de una entrevista de un Padre S.J. con el Cardenal Primado de España, celebrada

en dia 17 de Enero de 1970, redatta dal P. José M. Martín Patino, in Aesi-a.

35 Lettera di I. Iglesias a V. Blajot, 18 dicembre 1969, in Aesi-a.

36 Lettera a fi rma collettiva di U. Valero, Provinciale di Spagna, A. Muñoz Prie-

go, Provinciale di Andalusia, M. Madurga, Provinciale di Aragona, M. Gutiérrez Semprún, Provinciale di Castiglia, I. Iglesias, Provinciale di León, J. Oñate, Pro-

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accadendo in Spagna non viene avvertita in modo adeguato dal Consiglio Generale dell’ordine. L’assistente per la Spagna, Victor Blajot, nel corso di una riunione del Consiglio Generale, nel feb- braio del 1968, al ritorno da un viaggio nelle province iberiche, ne accenna in modo superfi ciale e sbrigativo, dando la sensazione pa- lese di non avere chiari i termini della complessità e della gravità del problema37. Anche Arrupe, in un primo momento, relativizza la

vicenda, non percependo che l’affare della «vera» è l’emersione di un iceberg profondo. Solo in un secondo momento ne focalizzerà il pericolo, assumendo un atteggiamento fermo e intransigente: «Sono un gruppo di soli perturbatores […] Non possiamo accogliere le loro richieste». In Vaticano, preoccupati di quanto sta accaden- do, consigliano al generale di nominare una commissione, affi dan- dole l’incarico di cercare una soluzione. Una proposta che Arrupe rifi uta, spiegandone i motivi in una lettera alla Segreteria di Stato, il 13 marzo 1970: «… Non è una questione di prestigio quella che mi muove a manifestarLe il mio pensiero contrario alla Commissio- ne, bensì le gravi diffi coltà che oggi la sua istituzione verrebbe a causare. È chiaro infatti che se la Commissione vuole fare un lavoro serio, non lo può compiere né in pochi giorni, né in poche settima- ne; e per conseguenza il governo della Compagnia resterà pratica- mente paralizzato in un periodo particolarmente diffi cile e delica- to»38. Pochi giorni dopo, Arrupe chiede di vedere il papa che lo ri-

ceve il 21 marzo 1970. Una settimana dopo il Segretario di Stato gli scrive che l’udienza con il pontefi ce «ha offerto il vantaggio di portare direttamente a conoscenza della Vostra Paternità le gravi apprensioni destate nel Santo Padre da taluni atteggiamenti disci- plinari e indirizzi dottrinari che in tempi recenti, e con dolorosa ampiezza, si sono riscontrati in codesto insigne ordine religioso […] La Santa Sede non intende sostituirsi alla Curia generalizia della Compagnia di Gesù: attende invece le necessarie indifferibili provvidenze dal Governo saggio ed energico a un tempo, della Pa- ternità Vostra, dei suoi diretti collaboratori e dei provinciali spa- gnoli»39. La missiva offre al porporato l’occasione di ricordare al

generale le perplessità dei vescovi spagnoli, che lamentano nei con-

vinciale di Loyola, L. Sanz Criado, Provinciale di Toledo, E. Rifá, Provinciale di Tarragona a Paolo VI, 17 marzo 1970, in Aesi-a.

37 In Arsi, Verbali della Consulta dei Consiglieri Generali, 13 febbraio 1968. 38 Lettera di P. Arrupe a J. Villot, 13 marzo 1970, in Arsi, Minute curia romana

(1968-1970).

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fronti della Compagnia «scadimento della disciplina, mancanza di senso del l’obbedienza religiosa e minore rettitudine della Dottri- na», e lo invita «con cortese sollecitudine a disporre i provvedimen- ti opportuni in rapporto agli inconvenienti notati e, soprattutto, ad informare con regolarità il Sommo Pontefi ce di quanto si andava facendo». Non si può negare a nessuno il diritto di rivolgersi alla Santa Sede, prosegue, da quanti in coscienza ritengono di farlo. Villot ammonisce Arrupe a non «prendersela con coloro» che si sono appellati al papa, «giacché il ricorso alla Santa Sede è un dirit- to inalienabile di ogni cattolico…». Le direttive vaticane non gli lasciano ulteriori spazi di manovra: bisogna agire e in fretta. Il gior- no dopo, il 27 marzo 1970, prende carta e penna e scrive una lette- ra aperta a tutti i gesuiti spagnoli, in cui riassume i termini della conversazione con il pontefi ce, invitandoli a rispettare quanto ri- chiesto dal pontefi ce, anche a costo di sacrifi ci personali. Separa- zioni o divisioni non rappresentano mai la soluzione40. Le motiva-

zioni che sottendono a questa lettera sono tre: tranquillizzare il Vaticano che la situazione è sotto controllo; rassicurare i gesuiti spagnoli che le contestazioni del gruppo della «vera» non inter- romperanno, né metteranno in discussione il rinnovamento chie- sto dal Concilio e dalla Congregazione XXXI; far capire al gruppo

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