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Secondo quanto diffuso recentemente dalla Coldiretti, la metà dei giovani vorrebbe gestire un un agriturismo, il 23 per cento lavorare in banca, il 19 per cento avere un impiego in una multinazionale e, in generale, quasi un italiano su tre sostituirebbe il proprio lavoro con quello del contadino: quello a cui stiamo assistendo negli ultimi tempi è una inversione di tendenza che non solo riguarda i desideri lavorativi dei giovani, ma anche l’occupazione effettiva nel settore agricolo; per la prima volta da più di dieci anni a questa parte l’occupazione dei giovani in agricoltura è aumentata.

Ma la passione per l’agricoltura è sottolineata anche dal fatto che quasi un milione di italiani si dichiara “contadino per hobby”, lavorando piccoli appezzamenti di terreno in media di 1 ettaro di superficie in cui vengono coltivati frutta, ortaggi, vino o olio (Nomisma, 2012); inoltre, più di un quarto degli italiani si dedica alla cura di un orto o al giardinaggio.

Un successo sottolineato anche dalla crescita degli iscritti agli Istituti Agrari che hanno registrato un incremento dell’11 per cento sul totale delle iscrizioni a livello nazionale, mentre quelle dei Licei sono scese nello stesso periodo (Miur, 2012).

La Coldiretti/Swg ha voluto indagare anche sul livello scolastico di questi giovani contadini e dai dati è emerso che oltre un terzo di essi ha un titolo di studio alto (laurea o specializzazione), poco più della metà un titolo di studio medio (scuola superiore) e soltanto il 6 per cento un titolo basso (scuola media).

Che il settore agricolo sia un settore che presenta dinamiche anticicliche è risaputo, ma una tale ripresa è forse stata agevolata anche dalle grandi opportunità che il settore agricolo, sviluppatesi in particolare negli ultimi anni, è in grado di offrire, potendo l’agricoltore diversificare notevolmente le proprie attività all’interno dell’azienda: la trasformazione dei prodotti, la vendita diretta dei propri prodotti in azienda o nei mercati dei contadini, la fornitura di servizi alla pubblica amministrazione, l’impiego dei prodotti agricoli in settori non alimentari, l’organizzazione di attività ricreative, la creazione di fattorie didattiche, l’istituzione di agriturismi, ecc.; infine, l’agricoltura è in grado di offrire l’opportunità di assicurare valore economico, sociale, ambientale e di sicurezza alimentare all’intera società.

Nello specifico, nonostante la crisi, nel secondo trimestre del 2012 è cresciuto del 4,2 per cento il numero di aziende iscritte alle Camere di Commercio guidate da giovani under 30; inoltre il settore agricolo ha visto addirittura aumentato il livello di occupazione, grazie ad una

123 crescita del 10 per cento nel secondo trimestre del 2012 (Coldiretti, 2012) del numero di lavoratori dipendenti e di circa il 3 per cento di quelli indipendenti, dinamica nettamente in contrasto con quella generale.

A livello territoriale, la dinamica non segue traiettorie uguali: al Nord la crescita è circa del 14 per cento, al Sud del 3,5 per cento mentre al Centro si è assistito ad una diminuzione del 3 per cento dei lavoratori in agricoltura.

Inoltre, è emerso dai dati che circa il 25 per cento dei lavoratori dipendenti assunti in agricoltura abbia meno di 40 anni e che la presenza di lavoratori giovani e immigrati sia sempre più importante.

Quello che è interessante sottolineare, è che la crisi prima e la recessione poi, abbiano comportato in tutti i settori produttivi la chiusura di ben 26 mila aziende condotte da under 35 (Coldiretti, 2012); sono invece 697 mila le aziende che sono riuscite a resistere alla crisi, delle quali 251 mila operanti nel settore dei servizi di alloggio e ristorazione, 182mila in quello manifatturiero e delle costruzioni e 62mila nell’agricoltura, che si conferma quindi una tra le più amate dai giovani.

Ma nonostante questa (anticiclica) capacità del settore agricolo di attirare i giovani e crescere nonostante la crisi, anche dopo anni di tentativi da parte delle amministrazioni di favorire il ricambio generazionale agricolo, la percentuale di titolari con un’età inferiore ai 35 anni è ancora bassissima mentre un terzo delle aziende agricole complessive è guidato da un over 65. Infatti l’indice di ricambio generazionale34 in Italia è pari ad appena il 7 per cento, rispetto al 18 per cento della media europea, al 51 per cento della media francese e al 104 per cento della media tedesca (Nomisma, 2012).

Guardando, però, ai dati relativi ai risultati delle imprese guidate da giovani, emergono le grandi potenzialità che un ricambio generazionale più diffuso potrebbe apportare all’economia. Infatti, i risultati dell’imprenditoria dei giovani sono nettamente migliori rispetto a quelli medi nazionali:

- le imprese under 35 producono mediamente il 40 per cento di reddito in più rispetto alle imprese condotte da persone di età superiore;

- la qualità della loro attività è estremamente elevata, grazie ad una maggiore propensione all’innovazione ad esempio dei prodotti, dei metodi di produzione, dell’organizzazione del lavoro, ecc;

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124 - la propensione all’investimento è maggiore anche in tempi di difficoltà economiche (poco meno del 40 per cento dei giovani ha intenzione di espandere la propria attività nel prossimo triennio);

- le relazioni con l’estero sono più sviluppate (il 13 per cento dei giovani sotto i 30 anni commercia con l’estero, contro l’8 per cento della media delle aziende italiane).

- L’attenzione alla produzione di prodotti di qualità è elevata (il 50 per cento delle aziende giovani possiede una certificazione di qualità;

- Oltre i due terzi delle imprese giovani è multifunzionale, contro il 37 per cento della media nazionale.

Insomma, il modo di fare impresa adottato da gran parte dei giovani agricoltori è un nuovo modo di fare impresa, e rappresenta un nuovo modello di sviluppo, votato alla creazione di un’economia di qualità che sia sostenibile sia nel tempo che nello spazio35, al rinnovo delle risorse piuttosto che al loro spreco, alla riqualificazione dell’immagine del Paese, allo sviluppo locale del territorio36.

Purtroppo però, sempre secondo la Coldiretti, le imprese giovani hanno il 50 per cento in meno di possibilità di accesso al credito rispetto alle altre aziende, ma nonostante questo crescono in media il triplo: infatti, il 30 per cento delle aziende agricole giovani si trova in un periodo di espansione aziendale, rispetto al 10 per cento della media italiana, nonostante le difficoltà evidenti di accesso al credito: la percentuale di giovani sotto i 30 anni che dichiara una difficoltà del genere ammonta al 17 per cento, quella degli over 30 scende all’8 per cento. Insomma, le difficoltà a cui (soprattutto) un giovane deve far fronte sono molteplici: i tempi lunghissimi per risolvere le questioni burocratiche37, il mancato o comunque difficilissimo

accesso al credito, la quasi impossibilità di accedere alla terra, una generale e diffusa arretratezza culturale per cui ciò che deve prevalere è la produttività fine a sé stessa sminuendo il ruolo e le potenzialità dell’agricoltura.

Per sviluppare questa rete di giovani aziende è necessario programmare efficienti politiche di promozione e di supporto nelle fasi di progettazione, di assistenza alle fasi di start-up, di aiuti nell’acquisto o utilizzo dei terreni, di coordinamento tra tutti gli attori delle filiere, di sostegno nell’accesso al credito, ecc.

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Il 24 per cento dei giovani agricoltori investe nelle agroenergie.

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Il 42 per cento dei giovani agricoltori utilizza il canale della vendita diretta dei proprio prodotti; il 18 per cento investe negli agriturismi.

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