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Degli occhi suoi mi abbarbagliava il lampo.

UN'ALTRA Orribil tuono mi parea la voce.

ELISA

Come, oh, come nel volger d’un istante La sua tremenda collera si spense?

UNA DELLE GIOVANI CANTA Un istante cangiò l’ inflessibile

Cor del re: s'è cangiato in agnello

TN leon dal ruggito terribile Il Signore, il Signor d’ Israello,

Che le rupi più rigide spezza, Nel suo core versò la dolcezza

TUTTO IL CORO CANTA T1 Signore, il Signor d’ Israello, Che le rupi più rigide spezza, Nel suo core versò la dolcezza.

LA STESSA GIOVANE CANTA Come un rivo, che docil la mana Dell’industre colono seconda, Fa a’ solchi di campo lontano Potta il fresco tesoro dell'onda, Dio, de nostri voleri sovrano,

Tiene il cor de’ regnanti in sua mano.

ELISA

Che spavento mi danno, o mie sorelle, L’ombre funeste, che il monarca acciecano !

Come nel culto de’ suoi dei vaneggia!

UNA GIOVANE

Ne’ giuramenti suoi sempre gl’ invoca.

I UN'ALTRA

A quei, ch’ ardono in ciel, fuochi insensati Rende profani omaggi.

UN'ALTRA

La sua reggia De’ loro simulacri è tutta ingombra.

IL CORO CANTA Sciagurati! all’Eterno, all’Immenso, Che vi ha fatti, le spalle volgete,

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Ed all’opere vostre l'incenso, Alle frali vostre opere, ardete!

UNA GIOVANE CANTA

Dio d’Israello, alfin quest'ombre dissipal Quando sarà, che de’ tuoi Santi il gemito Ti tocchi? E quando sarà che si laceri Il vel, che tutto l'universo ottenebra?

Dio d’Israello, alfin quest'ombre dissipa!

E fino a quando ti vorrai nascondere?

Il giorno più non tardi che confuso Resti Satanno e chi Satanno adora!

UNA GIOVANE CANTA Queste labbra, questo core,

Tuttoquanto quel ch'io sono,

Gloria rendano al Signore, Che la vita diemmi in dono.

Se paura il cor mi preme, Se sventura mi addolora, In Lui solo è la mia speme;

Morirò, se vuol ch'io mora.

Queste labbra, questo core, Tuttoquanto quel ch'io sono, Gloria rendano al Signore, Che la vita diemmi in dono.

ELISA

Dell’empio io mai non ammirai la gloria.

UNA GIOVANE

Non io dell’empio la fortuna invidio. P ELISA

Tutti i suoi giorni paiono ridenti:

Di gemme tempestata è la sua veste;

Pari all'orgoglio è la ricchezza sua;

De’ suoi gemiti mai l’aria non suona;

Dorme e si sveglia delle cetre al suono:

In mar di voluttà nuota il suo core.

UNA GIOVANE Perchè la sua felicità sia piena Ei confida rivivere ne’ figli,

Che fan lieta corona alla sua mensa E a pien nappo con lui bevon la gioia.

IL CORO Si grida avventurato

Il popolo, che gode l'abbondanza Di questi beni: io grido più beato Il popolo, che in Dio mette fidanza.

UNA GIOVANE L’uom malaccorto e folle

Tutta la vita si consuma e strugge, Perchè le voglie sue restin satolle:

Ove il dolce sperò l'amaro sugge.

UN'ALTRA Dell’empio incerta ognora È la felicità ;

Il suo gioir non ha

Stabile un’ora.

Felicità verace,

Sgombra di tema e duol, Bella innocenza, è sol

Nella tua pace.

UN'ALTRA O dolce pace! O bella

D’un giorno eterno luminosa aurora!

Beltà sempre novella,

Fortunato di te chi s'innamora!

O dolce pace! O bella

D’un giorno eterno luminosa aurora, Felice chi con te sempre dimora!

TUTTO IL CORO

O dolce pace! O bella

D’un giorno eterno luminosa aurora!

Beltà sempre novella,

Felice chi con te sempre dimora!

LA STESSA GIOVANE

Non v’ha pace per l’empio: ansando invano Ei più la cerca e più ne va lontano:

Una spada di fuori lo minaccia,

Ed un rimorso il core entro gli agghiaccia.

UN'ALTRA

De’ rei la gloria presto si fa notte:

L’oscurità del sepolcro la inghiotte;

Così non è, gran Dio, di chi ti adora;

Attende un giorno, che tramonto ignora.

IL CORO O dolce pace! O bella

D'un giorno eterno luminoso aurora!

Felice chi con te sempre dimora!

ELISA Sorelle mie, nella vicina stanza Odo romore: siam chiamate: andiamo Della regina obbedienti al cenno.

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ATTO III

La scena rappresenta i giardini di Ester ed

uno dei lati della sala, in cui si tiene il

convito.

Scena I AMANO E ZARE

ZARE

Il superbo giardin d’Ester qui vedi;

E l’ampia sala è questa, ove terrassi Il solenne convito. Ma la porta Finchè non s'apre ancor, dell’inquieta E tremante tua sposa odi i consigli.

Pel sacro nodo, che al tuo cor mi stringe, Dissimula, signore, io ti scongiuro,

Questa nera tua bile: la tua fronte Annuvolata si rischiari. Un volto, Che a lamento o a rimprovero si atteggi,

Sempre temuto è da’ regnanti. Solo Di tutti i grandi la regina a mensa

Seco ti vuole. Or ti conforta e godi Di tanta tua felicità: se un male T'irrita il cor, non rifiutare un bene.

46 Prudentemente tollerato il passo A’ gradi in corte più sublimi aperse.

AMANO

O dolore! o supplicio spaventoso

Solo a pensarsi! o mia vergogna eterna!

Un esecrando Ebreo, l’ultimo obbrobrio Della razza mortal, dunque s’ è visto Per questa mandi porpora vestito ? Ch’ei di me trionfasse, poca cosa Al re parve; fu d’uopo, sciagurato, Ch'io fossi banditor della sua gloria.

Vil traditore! Al mio sbalordimento Insultava per via: la città tutta

E non dobbiam meravigliarci invece Che tanto a lungo ritardasse il premio?

E poi, non seguì forse il tuo consiglio?

Questa pompa non fu l’opera tua?

Tu, dopo il re, sei nell'impero il primo;

Ma l'alto orror, che questo Ebreo t' ispira,

Conosce il re? i

AMANO

Che tutto egli mi deve.

Che a farlo grande io sotto i piè mi posi Pudor, tema, rimorsi, il re conosce;

Che, suo ministro, con un cor di ferro Fei le leggi tacer: che l’innocenza Conculcata ho per lui: che della Persia

Tuttaquanta sfidai l’odio per lui, Il re conosce: amai per lui vedermi Maledetto, esecrato dalle genti, Alle cui risa il crudo oggi mi espone.

ZARE

Signor, siam soli. Illudersi che giova?

Questo zelo pel re, di cui ti vanti, Questo ardor di sommettere ogni cosa Al suo poter supremo, siamo giusti, Fine altro avea che d’esaltar, te stesso?

A dir breve: non son vittime tue Questi Ebrei desolati? E non paventi Che giunga al re qualche funesto avviso . . La corte n’odia, il popolo ne abborre.

Questo Ebreo stesso, questo Ebreo ricolmo Di tanti onori, confessarlo è d’uopo, Malgrado mio, mi da qualche spavento.

Le sventure sovente si dan mano;

E fatale alla razza Amalecita

La sua razza fu sempre. Ti sia scuola

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Questo piccolo affronto oggi sofferto.

Incostante e volubil la fortuna

Forse è presta a lasciarti: i colpi suoi, Più spaventosi, o mio signor, previeni.

A quali altezze più sublimi aspiri?

Quando veggo gli abissi, che profondi Mi si schiudono innanzi; e quando penso,

‘Come sarebbe la caduta orribile

Da tanta altezza, io tremo. Osa cercarti Men crudeli destini in altra terra;

Torna al nido ospital dell’Ellesponto, Torna all’amiche solitarie rive, Che agli erranti avi tuoi furono asilo, Quando spietata degli Ebrei la spada Amalecco cacciò dall Idumea.

Va, della sorte al malignar t’invola!

La nostra via precederanno i molti Tesori che adunammo: io, se permetti, La cura avrò della partenza; e prima, Prima de’ figli accerterò la fuga.

Or ti sia grande ed unico pensiero, Dissimular: contenta mi vedrai

Tosto volar sovra i tuoi passi: il mare Più nero e tempestoso è più sicura Stanza per noi di questa corte infida.

Ma frettoloso verso noi venire

A grandi passi io veggo alcuno: Idaspe.

SCENA II

AMANO, ZARE, IDASPE

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