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F E D E R I C O Z E R I (a cura di), La pittura italiana.

Il quattrocento, Electa, Milano 1987, 2 voli., pp. 800, Lit. 250.000.

Siamo ormai così abituati, nel quotidiano la-voro di ricerca, a far a meno dei manuali generali (per solito inaffidabili), che esprimere un giudi-zio d'insieme su un'impresa come questa non è facile. Manuale finalmente monumentale o

stru-mento di consultazione per professionisti non corporativi? L'incertezza del lettore è stata an-che degli autori dei capitoli regionali, per lo più studiosi giovani di età, ma mediamente assai ag-guerriti: chi ha scelto di restituire con rigore lo stato degli studi e gli accertamenti assodati, chi invece ha puntato sulle novità emergenti. La di-somogeneità è stata comunque ricondotta a un profilo unitario dalla introduzione di Zeri e da una serie di contributi tematici considerati carat-terizzanti per il secolo in esame: la corte, la tradi-zione religiosa, gli stranieri in Italia (molti e di qualità suprema), i rapporti con l'antico e la morfologia delle pale d'altare.

Manca, e certo il pubblico medio se lo atten-deva, un capitolo sulla prospettiva quattrocente-sca e le sue metamorfosi nel corso del secolo. E naturale che la prima lettura dell'opera invi-ti al confronto con i volumi precedeninvi-ti sul Due e Trecento e lasci prefigurare il prossimo sul Cin-quecento, sollecitando una serie di quesiti niente affatto secondari. La scelta di dedicare a ogni re-gione amministrativa almeno un capitolo (ma anche più d'uno se storicamente giustificato) scardina senza troppo volerlo la gerarchia dei va-lori assodati della nostra storia pittorica e l'effet-to è salutare. La Sardegna e la Toscana, per esempio, partono appaiate in linea di principio e non si tratta di un capovolgimento da poco. Si poteva non avvertirlo nei volumi medioevali,

dove la Toscana ha meritato cinque distinte trat-tazioni (contro il capitolo singolo della Sarde-gna), ma potrà fare qualche scandalo nel secolo di Masaccio e di Botticelli, dove la Toscana scen-de a quattro: ne scapita un personaggio come Piero di Cosimo, da recuperare si spera nel volu-me sul Cinquecento. Dopo la geografia pittorica le domande impertinenti e inattese riguardano la periodizzazione della nostra tradizione figurati-va, in specie per il confronto, che nelle pagine e nelle illustrazioni dell'opera è lampante, tra la stagione tardogotica in Italia e quanto siamo so-liti chiamare Umanesimo o proto-Rinascimento in pittura. In un calcolo percentuale il tardogoti-co guadagna molte posizioni tardogoti-con questi volumi ed era ora che ci accorgessimo di quanto spazio ha occupato nei territori del nostro Quattrocen-to, anche in quelli creduti di avanguardia. Viene ora la curiosità di sapere come saranno trattati personaggi del calibro di Raffaello, Michelange-lo, Tiziano nei volumi sul Cinquecento, dove la cornice regionale fa a pugni con la loro ingom-brante presenza. Anche questo ripensare la gran-dezza "relativa" dei geni può essere una buona cura per gli storici dell'arte in Italia.

Data l'utilità strumentale del repertorio bio-grafico sarà bene correggere, nelle prossime edi-zioni, qualche svista redazionale: lo scambio di fotografie tra Antonio da Firenze e Antonio da Monteregale; l'attribuzione ad Amedeo Albini, pittore senza opere, di un quadro di Defendente Ferrari; la giusta presenza del polittico di Can-nobio a illustrare la voce Galdino da Varese, che però lo ignora.

un grandissimo artista; tuttavia l'ap-proccio eccessivamente riduttivo del Cavalcaselle fu per fortuna tenuto sotto controllo dalla chiassosa esube-ranza del suo collaboratore inglese, Joseph Archer Crowe, che non con-divideva in nulla la timidezza dell'I-taliano.

L'ammirevole risultato del volu-me di Donata Levi non consta sol-tanto nell'avere analizzato, con un li-vello di comprensione che era man-cata a quasi tutti gli studi precedenti, la natura di questa collaborazione, bensì anche nell'avere esplorato — in una maniera mai tentata prima il contributo alla connoisseurship dovu-to allo stesso Cavalcaselle, come an-che ai suoi predecessori e contempo-ranei. In Germania Rumohr, Passa-vano Waagen (e, in Francia,ni] tede-sco Otto Mùndler) stavano lavoran-do nella stessa sua direzione, come faceva anche in Inghilterra Charles Lock Eastlake, che fu amico di Ca-valcaselle (e di quasi tutti gli altri

connoisseurs del tempo) e gli permise di accedere alle incomparabili e

rela-tivamente inesplorate ricchezze delle collezione inglesi. Donata Levi di-mostra come Cavalcaselle abbia rot-to con le tradizioni troppo 'lettera-rie' dei contemporanei studi italiani sull'arte, e si sia immerso nel sistema 'anglo-germanico' che dava assoluta priorità all'immagine in se stessa, in-vece di cominciare con un testo, di Vasari o di qualche altra autorità, e di cercare poi di scoprire i dipinti in esso testimoniati. Il libro esamina co-sì quella rete di connoisseurs interna-zionali che progressivamente distrus-se l'idea che un limitato numero di sommi artisti fosse responsabile di tutto ciò che poteva essere visto in collezioni pubbliche e private, tiran-dosi addosso, così facendo, una larga dose di ostilità. Non si trattava sol-tanto dèi fatto che sol-tanto il prestigio quanto il compenso economico fosse-ro in giuoco in ogni sorprendente 're-trocessione' o 'promozione'. Malgra-do le (implicite) proteste dell'umile Cavalcaselle, ciò implicava una spe-cie di controversia filosofica, come Berenson capì sul finire della vita.

e le accuse di elitarismo e di corruzio-ne che ad esso vengono associate. Tuttavia non si può negare che ab-biamo pagato un ben alto prezzo per le conquiste del Cavalcaselle, e che se abbiamo molto acquistato grazie a lui, abbiamo altresì perso molto: un senso del contesto in primo luogo.

Donata Levi, però, è giustamente interessata ai risultati e soprattutto al modo in cui si formarono. Attra-verso le sue pazienti e fantasiose esplorazioni, scopriamo i taccuini dello storico dell'arte, i suoi disegni privati, i suoi atteggiamenti verso le fonti, e le diverse vie in cui prova ad usarle. Questo è un libro di eccezio-nale fascino e interesse (e che si legge assai meglio di qualsiasi testo del Ca-valcaselle); una delle poche opere as-solutamente indispensabili che siano state scritte sulla storia della storia dell'arte.

(trad. dall'inglese di Guido Castel-nuovo)

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