• Non ci sono risultati.

Girolamo della Carità: monumento Montauto (1629 ca.)

Situato nel transetto destro della chiesa, il se- polcro è ricordato dal Titi e successivamente dal Pascoli, come opera di Pietro da Cortona (Titi 1674, p.121; Pascoli 1730-1736, p.8). La realizzazione del monumento (fig. 1) non deve essere di molto po- steriore alla morte di Asdrubale Montauto (1629), il quale aveva lasciato i suoi beni alla Confraternita della Carità: l’origine toscana e la vicinanza con l’ambiente oratoriano, comuni al Montauto ed al

Fig.1 – S. Girolamo della Carità: tomba Montauto (rilievo di P. Vitti)

Berrettini, sono probabilmente alla base della scelta di conferire a quest’ultimo l’incarico. Pietro da Cor- tona risulterà peraltro anche in seguito in contatto con la famiglia del defunto (Marabottini, in Pascoli 1730-1736, p.68). L’opera traduce il consueto sche- ma ‘a edicola’ in un’immagine densa di riferimenti formali tardo-manieristici di ascendenza michelan- giolesca. Si noti ad esempio il motivo del timpano a volute, o “arricciato” (Portoghesi 1962, p.847), a coronamento dell’ovale centrale, che rimarrà come motivo costante nella poetica del Cortona (cupola e portale di Ss. Luca e Martina; medaglioni laterali della facciata di S. Maria della Pace; progetto per l’altare di S. Ignazio nel Gesù; tomba della cappella Gavotti): un chiaro riferimento al repertorio for- male del “divino” Michelangelo, già presente in

opere del tardo Cinquecento e del primo Seicento. La sintetica lettura di S. Papaldo (1978, p.59), che individua appunto nell’opera un’interpretazione aggiornata del monumento funebre cinquecente- sco ‘a edicola’, appare dunque sostanzialmente condivisibile. L’uso estremamente sobrio di marmi policromi sembra confermare tale convinzione, non inducendo al tempo stesso a sottovalutare il carattere pienamente secentesco di taluni dettagli, come ad esempio le urne con le fiaccole, e del pla- stico, fortemente chiaroscurato, aggetto delle parti superiori, così che nel complesso l’opera è stata definita “uno dei primi esempi di monumento fu- nebre barocco” (Ardizzon 1987, p.73).

Bibliografia: Titi 1674, p.121; Pascoli 1730-1736, p.8; Milizia 1785, p.147; Noehles 1963, col. 606; Bu- chowiecki 1967-1974, II, p.160; Golzio 1968, p.189; Pa- paldo 1978, p.59; Ardizzon 1987, p.73; Lo Bianco 1997, pp.7-8; Ferrari-Papaldo 1999.

Palazzo Barberini: progetto, Voltone e opere di- verse (dal 1629 ca.)

Secondo la testimonianza del nipote Luca Ber- rettini (1679), Pietro propose per il palazzo, verosi- milmente intorno al 1630, anno in cui Urbano VIII aveva donato al nipote Taddeo una cospicua som- ma, dell’entità di circa quarantamila scudi, un gran- dioso progetto “quale piacque assaissimo a S.S. Ma però non fu messo in opera perchè riuscirà di spesa assai maggiore di quello che S.S. aveva stabilito di fare” (Berrettini, in Campori 1866, p.510). È forse da riferire proprio a tale progetto, ma solo in via ipotetica, un’interessantissima ed originale pianta del piano nobile di un palazzo principesco (fig. 1), segnalata dal Wittkower (1957; 1972), che risalireb- be dunque alla fase iniziale. Come testimonia un progetto del Maderno, si prendeva in considerazio- ne, in un primo tempo, la possibilità di edificare la nuova dimora intorno ad un vasto cortile porticato, configurato prescindendo dalle preesistenti costru- zioni. Molti sono i caratteri rilevanti della composi- zione, inquadrata in un preciso sistema geometrico: innanzi tutto il singolarissimo trattamento delle fonti

Fig.1 – Progetto di pianta per un palazzo Barberini (?)

di luce, che permette visuali straordinariamente estese in diagonale, ed i tagli a 45° delle campate di spigolo, suggeriti probabilmente dalla situazione urbana dell’edificio proposto, forse immaginato pa- rallelo all’angolo della Via Quattro Fontane (incrocio tra la Via Felice e la Via Pia, una delle più ammirate, come osservato da Evelyn nel 1645, per gli scorci e le vedute). Inoltre, sono notevoli i quattro princi- peschi saloni, tre dei quali con impianto a croce greca a terminazioni absidali, intesi come aulae re- giae, ovvero spazi della rappresentazione - vaga- mente ispirati allo scomparso triclinio di Leone III nel complesso del Laterano -, ciascuno ritmato da dodici colonne libere, aderenti alle pareti mistili- nee.

Uno dei saloni si distingue dagli altri tre, sia per la forma e per la presenza di un’abside soprae- levata di qualche gradino per il trono, sia per la sua posizione adiacente allo scalone maggiore. Si- curamente motivi di ‘meraviglia’ per lo spettatore sarebbero stati proprio gli scaloni ‘imperiali’ (Jar- rard 1996, p. 165), concepiti per superare in ma- gnificenza quelli di analoghe fabbriche di corte in Europa, ad esempio dell’Escorial (raffigurato in nu- merose incisioni) o di regali dimore francesi. Il te- ma venne poi brillantemente risolto dal Bernini

nella Scala regia del Vaticano, e del Borromini, il cui contributo in questo senso è stato recentemen- te evidenziato da M. Raspe. Le due principesche scalee d’onore erano inserite all’interno di volumi prismatici, aventi come base rispettivamente un rettangolo con angoli smussati e un ottagono re- golare. Quest’ultimo ambiente, in pianta, presenta la stessa dimensione delle sale ottagone, che in- sieme alle camere quadrate, costituiscono i moduli, o meglio le cellule, della razionalissima e ordinata composizione. La scala più sontuosa, inserita in uno spazio rettangolare di grandezza paragonabile al salone del trono, cui dà maestoso accesso, è doppia rispetto all’altra, e ancor più maestosa e originale, con un comodo e scenografico corridoio- deambulatorio. Entrambi gli scaloni sarebbero stati illuminati, oltre che indirettamente dagli ambienti con cui confinano, da una chiostrina centrale, quin- di dall’alto. Nel palazzo Barberini furono poi effet- tivamente costruiti due scaloni imponenti, di con- cezione simile, che vennero imitati per la loro ma- gnificenza (ad esempio nel palazzo Reale a Napoli, di A. Picchiatti, intorno al 1650).

Un disegno di prospetto (GDSU, 2166 A, in Von Bernini... 1993, p.131, cat.40) è stato recen- temente posto in relazione con il programma di rifacimento della Casa Grande di Taddeo Barberi- ni, in Via dei Giubbonari, da E. Kieven: la studiosa pone tale disegno (fig. 2) in relazione ad un altro elevato esposto nella galleria S. Agustoni Algranti di Milano (25.11.1985, cat.82: Kieven, Von Berni- ni… 1993, p.130) (fig. 3) ed attribuisce entrambi alla Casa Grande di Taddeo Barberini, anche sulla base di un’affermazione di Talman, secondo cui il progetto del Cortona non venne realizzato a causa della morte di Urbano VIII, il che escluderebbe il palazzo alle pendici del Quirinale (figg. 2, 3). Pur presentando delle analogie, i due disegni potreb- bero però riguardare invece edifici diversi, in quan- to nel prospetto degli Uffizi la campata d’angolo sembra sia studiata per mediare l’innesto del log- giato con un preesistente corpo di fabbrica, dispo- sto perpendicolarmente, mentre in quello di Mila- no la loggia a cinque arcate è inquadrata da due si- stemi ad arco di trionfo, risolto in tre campate, se-

Fig.2 – Palazzo Barberini: progetto per la loggia della facciata occidentale (?) (GDSU, 2166 A)

condo uno sviluppo rettilineo. L’ipotesi di E. Kie- ven, che a nostro parere è convincente solo per quanto riguarda il disegno di Milano, è ripresa da Noehles (Noehles-Grumo, in Cat. 1997, p.461): il portico, decorato nel fregio con le api barberiniane, rappresenterebbe il lato corto di un vasto cortile rettangolare, le cui misure sono compatibili con quelle del disegno, e potrebbe essere datato al 1634 o al 1645, i due periodi in cui si prevedevano lavori al palazzo ai Giubbonari di Taddeo.

Un’altra ipotesi da tenere in considerazione è che il portico a tre ordini rappresentato dal dise- gno degli Uffizi del Cortona vada posto in relazione con il palazzo Barberini alle Quattro Fontane, e sia da riferire ad una fase intermedia di progetto, po- st-maderniana, in cui il cortile però doveva ancora mantenere una configurazione chiusa. Se così fos- se, la proposta potrebbe avere attinenza con le os- servazioni, fornite per un nuovo progetto per pa- lazzo Barberini, contenute nel manoscritto Barb. Lat. 4360 (in Magnanimi 1983, Appendice). L’autore

delle succitate osservazioni si presume sia Cassiano dal Pozzo, ma la trattazione specifica degli argo- menti è così accurata, che non si può escludere la collaborazione di un architetto di valore, o addirit- tura dello stesso Cortona. Nell’interessantissimo manoscritto, che contiene una serie di preziosi con- sigli, alcuni dei quali poi effettivamente messi in opera, si indicano i principi fondamentali per con- seguire il rinnovamento del linguaggio secondo “l’uso hodierno”, specialmente per quanto riguarda le fabbriche civili: magnificenza, comodità, utile e diletto. Inoltre l’autore esplicitamente auspica il superamento del tipo di palazzo romano, unifor- mato ad un modello ripetitivo individuato nel pa- lazzo Farnese, e dagli storici oggi definito comu- nemente sangallesco: a tale scopo suggerisce di mutuare soluzioni già sperimentate nei palazzi di Venezia e di Genova, soprattutto per quanto ri- guarda le logge. Tuttavia lo schema di impostazione indicato è ancora quello maderniano con cortile chiuso interno: “sarà il cortile di quadrata forma, largo per ogni verso palmi centosette in circa, et havrà intorno le logge con cinque archi per cia- sched(un)a e con li pilastri compagni. Giudico che si potrà fare questo primo alzato del cortile di or- dine Toscano, overo opera rustica, si perche è più

proporzionato all’altezza, che abbiamo di palmi 35 soli, come perche à quel sito montuoso pare, ch’e- gli sia per convenir maggiorme(n)te; ma vi si potrà però addattare ancora l’ordine dorico, il quale è sodo ancor esso, e non tanto svelto, quanto gli al- tri…” (BAV., Barb. Lat., 4360, f.10). Il disegno cor- toniano in esame presenta sette campate, di cui però appunto solo cinque ‘logge di pilastri’ (semi- colonne appoggiate al pilastro), al centro della com- posizione. Il primo ordine, contrariamente a quan- to attuato, è, appunto, toscano, anziché dorico.

Più convincente, a nostro avviso, sembra una diversa interpretazione, già proposta da Thelen (1967, cat.41, n. 2, fig. 52), e riaffermata da J. Con- nors (M.E.A., voce Borromini, p. 249): secondo i due studiosi il disegno sarebbe da mettere in rap- porto con il fronte a logge di palazzo Barberini a piazza Grimana, e pertanto sarebbe databile alla fase conclusiva dell’iter progettuale. Si potrebbe trattare infatti del portico a tre livelli, secondo lo schema poi realizzato, del prospetto sulla cour d’honneur verso la Via Felice: i tre piani sovrapposti suggeri- scono un’analogia con le antiche logge delle Bene- dizioni, allora già scomparse, in Vaticano, che rie- cheggiavano quelle raffaellesche del cortile di S. Da- maso in Vaticano, affacciate verso la piazza S. Pietro. Fig.3 – Palazzo Barberini: progetto per la loggia della facciata occidentale (?) (Milano, Galleria Agustoni Algranti, 25/11/1982, 82)

La posizione elevata, in cui tali porticati si venivano a trovare rispetto agli osservatori, era adatta all’esi- genza del Pontefice di apparire di fronte ai fedeli.

La proposta cortoniana del nuovo cortile Bar- berini, in forma aperta, poteva richiamarsi alla solu- zione adottata in origine per la corte del palazzo di Montecavallo, sebbene in quel caso le logge siano su due livelli, anziché tre: tale forma a U del Quiri- nale era ed è ancora chiaramente leggibile, anche in seguito alla chiusura del cortile, dovuta all’am- pliamento dell’edificio, realizzato da Flaminio Ponzio per volontà di Paolo V. Le logge progettate dal Ber- rettini nel disegno di Firenze sono articolate secon- do un ritmo che rievoca il cortile di palazzo Thiene, presentato nel Libro secondo del Palladio; tuttavia se ne differenziano, forse proprio in riferimento alla soluzione del Mascherino nel Quirinale (Accademia di S. Luca, Fondo Mascherino, n. 2462), sebbene l’analogia sia molto limitata. Infatti il loggiato cen- trale del Palazzo Apostolico si connette alle ali, ori- ginalmente brevi, tramite due campate chiuse.

Inoltre, nella proposta del Berrettini, la cam- pata estrema sulla destra è individuata da una tra- beazione autonoma e sensibilmente in aggetto, e rispecchia quindi un modo tipicamente cortonesco di serrare l’angolo. Si tratta di un sintagma plastico ed incisivo, concepito per ‘bloccare’ l’immagine con segmenti compatti, squadrati, che conferiscono al- l’insieme unità, tramite un netto contrasto tra vuoti del portico e pieni della campata conclusiva. Tale soluzione rieccheggia in ultima analisi l’arco di trionfo, motivo poi più esplicitamente adottato, in forma archeologizzante, nella facciata del palazzo Barberini dal lato del salone ovale berniniano: la maestosa e massiccia composizione è rappresentata in un prospetto disegnato da Borromini, conservato nell’Albertina e pubblicato da Thelen (1967). L’arco di trionfo (caratteristico delle architetture effimere celebrative) ricompare, con variazioni, nelle opere progettate dal Berrettini, come in palazzo Pitti, e in una delle alternative nell’idea progettuale espressa in pianta e prospetto, per un palazzo-mostra d’acqua a piazza Colonna, ed è attuato, in una singolare ver- sione, solamente nel Pigneto.

Il sistema del loggiato, qualora l’ipotesi qui avanzata fosse valida, avrebbe dovuto congiungersi

con le ali aggettanti. Sull’estremità del lato destro del disegno degli Uffizi, sebbene il tratto sia poco leggibile, si nota il tentativo di risolvere l’angolo e di raccordare una campata posta perpendicolar- mente, che presenta delle analogie (si vedano ad esempio le finestre, in particolare quella del piano seminterrato) con gli avancorpi delle ali del palazzo Barberini dal lato della Via Felice: la supposizione resiste anche ad una verifica metrica e proporzio- nale. Berrettini voleva forse risolvere il non facile innesto del loggiato a tre piani del palazzo Barberini tramite la residua campata di collegamento con le ali perpendicolari, profonde quattro e larghe tre campate. L’innesto proposto nel disegno del Cor- tona, se pure innovativo rispetto al fronte del cortile d’Onore del palazzo Pontificio al Quirinale del Ma- scherino, non possiede però la straordinaria origi- nalità della soluzione del Borromini: l’inserzione cioè di una campata ‘singolare’ di transizione, ‘arti- ficio’ che costituisce uno degli esiti più interessanti e innovativi del fronte verso la Via Felice (Frommel, in Borromini... 1999-2000). In tale campata borro- miniana si osserva un doppio ‘scatto’: un arretra- mento graduale all’interno, rispetto al filo delle log- ge del portico, e un abbassamento, rispetto al por- tico, per allineare la campata con l’altezza delle ali: nell’angolo si produce un’ombra modulata dal ri- petersi delle paraste, che addensandosi e approfon- dendosi, suggeriscono una superficie curva (fig. 4; p. 40, fig. 6). In tal modo in certe ore del giorno, alle due estremità della facciata portico si crea un’ombra sempre più impenetrabile, che generan- do una cesura visiva, impedisce di percepire una netta individuazione del passaggio tra i due sistemi compositivi, quello semi trasparente del fronte log- giato e quello opaco dei corpi aggettanti, ritmati da quattro campate in lunghezza e tre in larghezza. Proprio questa innovazione singolare costituisce lo spunto creativo per uno degli artifici, che il Cortona applicherà nella facciata dei Ss. Luca e Martina: in uno spazio limitattissimo in profondità, l’addensa- mento della paraste, che modula l’intersezione dei corpi laterali squadrati con la parte centrale, è ac- centuato dall’illusionismo prospettico, simile a quel- lo ottenuto in palazzo Barberini, che forse fu anche frutto di un suggerimento del Cortona al Borromini.

Si manifesta, con l’artificio borrominiano, un con- trappunto stridente, ma graduato, che rivela la nuo- va sensibilità barocca: la soluzione attuata va ad ar- ricchire il già drammatico chiaroscuro del portico a contrasto con l’abbagliante luminosità delle finte logge vetrate, accresciuta dallo sguincio degli ar- chivolti all’ultimo piano. La brillante soluzione ac- centua, al piano terra, l’effetto gerarchico del pro- minente portale a baldacchino con balaustri, che risalta elegantemente nella facciata, evidenziando l’asse centrale, coronato dal volume della bibliote- ca.

Anche se il Cortona non può realizzare le sue proposte, la sua paziente ricerca dà i suoi frutti, ed egli assiste, e in parte partecipa, alla genesi e alla sperimentazione, in palazzo Barberini, di altre ori- ginali scoperte ‘barocche’: ad esempio, l’effetto prospettico del finto loggiato al secondo piano co- stituisce un artificio nuovo per captare effetti sor- prendenti di luce, contrapposti all’enorme inaspet- tata profondità scura dell’atrio porticato interno: tale spazio appare totalmente inedito, scandito da

sobri solidi pilastri, adatto alle nuove esigenze au- tocelebrative e perfettamente funzionale al transito delle carrozze, veri e propri gioelli artistici. Anche questi sempre più diffusi mezzi di trasporto, infatti, entravano a far parte del dominio dell’arte, essendo la loro decorazione affidata a grandi artisti, come ad esempio il Bernini o Ciro Ferri. Si veniva così a creare un movimento spettacolare, secondo un percorso studiato, ricchissimo di visuali, di colori e di temi, che consentivano una percezione dina- mica delle rapide sequenze architettoniche in di- verse condizioni di luce: dalla salita di piazza Gri- mana, le carrozze (la cui foggia, dimensione ed or- namenti rispecchiavano il rango dei proprietari), transitando di fronte ad una sorta di avant-cour, la lunga piazza rettangolare privata antistante il pro- spetto principale del palazzo Barberini, entravano trionfalmente nel cortile d’onore, creando una pro- cessione di forme simbolo di ricchezza e prestigio, rispondenti alle esigenze del complesso cerimo- niale legato alle rigide gerarchie della pomposa so- cietà seicentesca romana. In questo straordinario Fig.4 – Palazzo Barberini (da A. Specchi, Il Quarto Libro del Novo Teatro delli Palazzi in prospettiva di Roma Moderna, Roma 1699, tav.18): sulla sinistra, con il numero 4, il “Teatro da Comedie”

cantiere in continua ininterrotta evoluzione, Ber- rettini matura la sua esperienza di architetto sensi- bile alla funzione urbana delle nuove costruzioni.

Per un teatro a sala interno al palazzo, in occa- sione del carnevale del 1632, Pietro molto probabil- mente allestì alcune scenografie del dramma sacro- allegorico Sant’Alessio, con musiche del Landi e testo di Giulio Rospigliosi, il futuro Papa Clemente IX (Fa- giolo dell’Arco, in Atti 1998, p.266; Michelassi, in I teatri del Paradiso... 2000, pp.69 ss.). L’apparato scenotecnico non dovette essere particolarmente brillante, come attestano le fonti, e come sembra confermare la presenza, l’anno successivo, a Roma, di Francesco Guitti, che aveva lavorato a Parma. Guit- ti si occupò con successo degli aspetti spettacolari della messa in scena di diversi melodrammi, come L’Erminia e I Santi Didimo e Teodora. Il luogo in cui avvenivano le rappresentazioni era la sala grande, di circa 11 x 16 m, contigua al Salone centrale, posta nell’ala sud del palazzo, destinata al cardinale Fran- cesco Barberini (Waddy 1990, fig.102, C2). Il prosce- nio doveva essere molto semplice, di poco sollevato dalla platea, incorniciato da colonne binate e trabea- zione rettilinea, simile a quello che appare nelle in- cisioni di F. Collignon relative ai mutamenti di scena del Sant’Alessio nel palazzo della Cancelleria (I teatri del Paradiso... 2000, pp.74-75)

Successivamente, l’esigenza di disporre di uno specifico luogo teatrale più ampio (si ricordi l’episodio del crollo dei palchi di legno per il so- vraffollamento, nel 1633, riportato in Waddy 1990, pp.199, 247), spinse la famiglia di Papa Urbano VIII a voler erigere un teatro permanente in muratura, esterno al palazzo ed affacciato su “la piazza dove si fa il maneggio de Cavalli” (Pollak 1912, p.314). Al Cortona, forse ancora con supervisione del Ber- nini, venne commissionata l’opera, nel 1636, da parte di Antonio Barberini il Giovane: il cardinale era di fatto divenuto il solo abitante stabile della dimora alle Quattro Fontane, dopo che Taddeo aveva fatto ritorno al palazzo dei Giubbonari e Francesco si era insediato alla Cancelleria, ma ap- pare chiaro che l’intera famiglia si faceva promo- trice di una iniziativa di grande rilevanza per la cul- tura romana del tempo. Spinto dalla passione per

il dramma in musica e sollecitato dalle più innova- tive esperienze del tempo in fatto di arte scenica, di congegni e macchinari, spesso frutto di inven- zioni berniniane (Tamburini 1997), Antonio il Gio- vane cominciò dunque a finanziare la costruzione di un teatro per “comedie”, che si doveva installare

Documenti correlati