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GIUDICI AMMINISTRATIVI I COMUNI VIRTUOSI NON POSSONO CUMULARE I RESTI ASSUNZIONALI

di Vincenzo Giannotti, Dirigente PA

In merito alle nuove capacità assunzionali previste per i Comuni dal d.l. 34/2019, la questione controversa è nata dalla corretta interpretazione delle disposizioni di cui al comma 2 dell’art.5 del decreto attuativo del 17 marzo 2020, ovvero sulla possibilità, da parte degli enti virtuosi, di poter cumulare o meno i resti assunzionali, dei cinque anni antecedenti al 2020 maturati in regime di turn-over. La Ragioneria Generale del-lo Stato (nota prot. 12454/2021) ha stoppato la citata interpretazione precisando che, la deroga al recupero dei resti assunzionali non può che trovare applicazione unica-mente in alternativa alle nuove facoltà assunzionali. Il TAR del Lazio, nella sentenza n.143 del 10 gennaio 2022, ha condiviso l’interpretazione del MEF sulla alternatività e non cumulatività dei citati resti assunzionali.

Le disposizioni normative

Si ricorda come l’articolo 33, comma 2, del d.lgs. 34/2019 avesse consentito ai comu-ni di procedere ad assunziocomu-ni di personale a tempo indeterminato in coerenza con i piani triennali dei fabbisogni di personale e fermo restando il rispetto pluriennale dell’equilibrio di bilancio asseverato dall’organo di revisione, sino ad una spesa com-plessiva per tutto il personale dipendente, al lordo degli oneri riflessi a carico dell’am-ministrazione, non superiore al valore soglia definito come percentuale, differenziata per fascia demografica, della media delle entrate correnti relative agli ultimi tre ren-diconti approvati, considerate al netto del fondo crediti dubbia esigibilità stanziato in bilancio di previsione. L’operatività del sistema delineato dal legislatore prevedeva un decreto attuativo emanato in data 17 marzo 2020, il quale ha individuato le fasce demografiche, i relativi valori soglia prossimi al valore medio per fascia demografica e le relative percentuali massime annuali di incremento del personale in servizio per i comuni che si collocano al di sotto del predetto valore soglia, nonché un valore soglia superiore cui convergono i comuni con una spesa di personale eccedente la predetta soglia superiore. Il citato decreto ha, inoltre, stabilito che “Per il periodo 2020-2024, i comuni possono utilizzare le facoltà assunzionali residue dei cinque anni precedenti al 2020 in deroga agli incrementi percentuali individuati dalla Tabella 2 del comma 1, fermo restando il limite di cui alla Tabella 1, dell’art. 4, comma 1, di ciascuna fascia demografica, i piani triennali dei fabbisogni del personale e il rispetto pluriennale dell’equilibrio di bilancio asseverato dall’organo di revisione.” Con successiva circolare esplicativa 13 maggio 2020, precisando che per i comuni che si collocano al di sotto

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del valore soglia inferiore, la limitazione alla dinamica di crescita può tuttavia essere derogata e, quindi, superata nel caso di comuni che abbiano a disposizione facoltà assunzionali residue degli ultimi 5 anni (c.d. resti assunzionali).

La Ragioneria Generale dello Stato (nota prot. 12454/2021) ha precisato come, la possibilità di utilizzo delle facoltà assunzionali residue dei cinque anni antecedenti al 2020 rappresentino una alternativa ai nuovi criteri assunzionali, consentendo in tale modo di poter utilizzare il valore dei resti assunzionali qualora il loro valore sia su-periore o più favorevole al reclutamento di personale rispetto a quello previsto dalla nuova disciplina normativa.

La tesi del Comune

In merito alla possibilità di poter utilizzare in modo aggiuntivo e, quindi, cumulato i resti assunzionali, l’ente locale ha evidenziato che ciò è consentito dall’art. 3, comma 5 sexies, del D.L. n. 90/2014, secondo cui “gli enti locali possono computare, ai fini della determinazione delle capacità assunzionali per ciascuna annualità, sia le cessa-zioni dal servizio del personale di ruolo verificatesi nell’anno precedente, sia quelle programmate nella medesima annualità, fermo restando che le assunzioni possono essere effettuate soltanto a seguito delle cessazioni che producono il relativo turn-o-ver”. D’altra parte, sostiene sempre il Comune, l’art. 5, comma 2, del DM 17 marzo 2020 è attuativo dell’art. 33, comma 2, del D.L. n. 34/2019, il quale non disporrebbe nulla circa la possibilità di derogare alle modalità di computo delle facoltà assunzio-nali stabilite dalla previgente normativa primaria (art. 3, comma 5 sexies, del D.L. n.

90/2014), con la conseguenza che il DM 17 marzo 2020, ove in contrasto con la norma primaria, sarebbe illegittimo, in quanto norma regolamentare di rango inferiore.

In considerazione, inoltre, del limite posto nella percentuale dell’ente virtuoso, la cumulatività dei residui con le nuove capacità assunzionali, assentibili sin dal primo anno con gradualità, avrebbero come limite la percentuale stabilita per l’ente virtuo-so e non quella della gradualità indicata nella tabella 2. Infatti, nel cavirtuo-so di specie la cumulatività delle due percentuali sarebbe pari al 20.47% inferiore al tetto del 27,6%, stabilito dalla normativa vigente, volta a garantire l’equilibrio finanziario dell’ente.

In considerazione di tali premesse l’ente locale ha impugnato, davanti al Tribunale amministrativo, la decisione della Commissione di stabilità finanziaria degli enti locali che ne ha negato la cumulatività.

La sentenza

A dire del Collegio amministrativo di primo grado, le modalità di incremento della spesa per il personale, fino al raggiungimento del valore soglia, sono stabilite dal suc-cessivo art. 5, commi 1 e 2, del medesimo DM, che prevedono rispettivamente: a) un

“criterio ordinario”, con la previsione di un incremento annuale in misura percentuale, come individuata nella tab. 2 di detta norma, da calcolarsi sulla spesa di personale registrata nell’anno 2018; b) un “criterio applicabile in via transitoria dal 2020 al 2024”, che prevede la possibilità di superare il predetto incremento percentuale, nei limiti del valore soglia, utilizzando le facoltà assunzionali residue dei cinque anni antece-denti al 2020.

La tesi del Comune, sulla cumulatività dei resti con la percentuale di assunzione qualora non sia superata la percentuale degli enti virtuosi prevista dal comma 5 del DPCM, non ha convinto il Collegio amministrativo. Il comma 2, infatti, prevede che

“per il periodo 2020-2024, i comuni possono utilizzare le facoltà assunzionali residue

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dei cinque anni antecedenti al 2020 in deroga agli incrementi percentuali individuati dalla Tabella 2 del comma 1…”: la disposizione afferma chiaramente che il criterio in-dividuato è applicato “in deroga agli incrementi percentuali individuati dalla Tabella 2 del comma 1” che nel caso di specie sono pari al 7% in incremento rispetto alla “spesa del personale registrata nel 2018”. Dal combinato disposto dei due commi si ricava, pertanto, che i criteri individuati possono essere applicati solo alternativamente atte-so che, qualora il legislatore avesse inteatte-so applicarli cumulativamente, non avrebbe utilizzato l’espressione “in deroga” del comma 2, che induce logicamente a ritenere che i criteri debbano applicarsi alternativamente e che, quindi, si debba dare luogo al criterio che risulta più favorevole in relazione alla specifica situazione di ciascun Ente locale. Non coglie, inoltre, nel segno nemmeno il riferimento all’art. 3, comma 5 sexies, del DL 90/2014, non potendo più questa disposizione essere applicata nel nuovo sistema di assunzioni, che si basa su criteri del tutto diversi come quelli della sostenibilità finanziaria da parte degli enti, data dal rapporto tra spese di personale e entrate correnti.

Il ricorso del Comune, pertanto, è stato respinto.

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AMBIENTE

IL SUOLO CONSUMATO IN ITALIA È AUMENTATO DI 56,7 CHILOMETRI QUADRATI. COSA VUOLE DIRE?

di Davide Mancino, giornalista

Fra il 2019 e il 2020 il suolo consumato in Italia è aumentato di 56,7 chilometri quadrati, dice l’ultimo rapporto del Sistema Nazionale di Protezione dell’Ambiente (SNPA), ovvero un equivalente di circa oltre venti campi di calcio al giorno. L’incremen-to resta in linea con quanL’incremen-to è avvenuL’incremen-to negli ultimi anni, dove secondo il rapporL’incremen-to ci sono stati “modesti segnali di rallentamento”.

Il fenomeno opposto, ovvero il ripristino di aree naturali, è stato invece pari a 5 chilometri quadrati, e ha riguardato il passaggio da suolo consumato a suolo non consumato di solito attraverso il recupero di cantieri o altre aree classificate come

“consumo di suolo reversibile”. La somma di queste due tendenze opposte ha quindi portato a un consumo di suolo netto di 51,7 chilometri quadrati.

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La velocità del consumo di suolo netto, sottolinea il rapporto, si mantiene in linea con quelle degli ultimi anni, con un valore di 14 ettari al giorno, ed è anco-ra molto lontana dagli obiettivi comunitari che dovrebbero portare il consumo netto a zero entro il 2050. Autori e autrici ricordano che si continua a incrementare il livello di artificializzazione e di impermeabilizzazione del territorio, causando la per-dita spesso irreversibile, di aree naturali e agricole. Tali superfici sono state sostituite da nuovi edifici, infrastrutture, insediamenti commerciali, logistici, produttivi e di ser-vizio e da altre aree a copertura artificiale all’interno e all’esterno delle aree urbane esistenti.

Le ultime stime parlano di un consumo di suolo passato dal 6,76% del 2006 al 7,11%

del 2020, ma questo dato comprende l’intero territorio nazionale e dunque anche quelle aree su cui non è fisicamente possibile edificare. Se consideriamo solo il “suolo utile”, ovvero escludendo aree a elevata pendenza, fiumi, laghi, riserve naturali e zone a rischio idrogeologico, la percentuale di suolo consumato sale al 9,15%. La velocità di crescita del consumo di suolo netto è rimasta grosso modo stabile dal 2015 in avanti, e ha rallentato rispetto al periodo 2006-2012.

Andando per intuito potremmo pensare che il suolo usato cresce con la popolazio-ne: più persone portano a più case, edifici, palazzi e costruzioni. Eppure il rap-porto sottolinea un aspetto controintuitivo, e cioè che “il legame tra la demografia e i processi di urbanizzazione e di infrastrutturazione non è diretto e si assiste a una crescita delle superfici artificiali anche in presenza di stabilizzazione, in molti casi di decrescita, dei residenti”. Per esempio nel 2020 il nuovo consumo di suolo netto di 51,7 chilometri quadrati è avvenuto nonostante un calo della popolazione italiana di 175mila abitanti.

La misura da tenere sott’occhio per rappresentare l’efficienza delle trasformazioni è

“il consumo marginale di suolo, indicatore dato dal rapporto tra il consumo di suolo netto e i nuovi residenti tra un anno e il successivo. A valori positivi elevati di questo indicato-re corrisponde un alto e più insostenibile consumo di suolo a fronte di una cindicato-rescita non significativa della popolazione, mentre valori negativi indicano un aumento del consumo di suolo in presenza di decrescita della popolazione, ovvero in assenza dei meccanismi di domanda che generalmente giustificano la richiesta di consumare suolo”. Nel 2020 per ogni abitante in meno si sono consumati comunque 292 metri quadri di territorio, comunque in miglioramento rispetto al 2019 quando erano stati 486.

Uno degli obbiettivi di sviluppo sostenibile riguarda appunto il rapporto fra consu-mo di suolo e consu-movimento deconsu-mografico, e prescrive che il priconsu-mo non debba superare il secondo.

 I dati del consumo di suolo arrivano da una rilevazione capillare via satellite, che produce una cartografia del territorio in quadrati di dieci metri di lato. Attraverso una serie di elaborazioni e validazioni dei dati il suolo viene poi classificato in consumato o non consumato. Il primo può essere permanente, quando comprende strutture come edifici, strade pavimentate, stazioni, aeroporti, serre o discariche, oppure rever-sibile quando invece riguarda strade non pavimentate cantieri o aree in terra battuta, impianti fotovoltaici, cave in falda, aree estrattive non rinaturalizzate o comunque coperture che possono essere rimosse ripristinando le condizioni iniziali del suolo.

Anche all’interno del suolo consumato in maniera reversibile compaiono situazioni molto diverse fra loro, e talvolta il tempo di recupero può essere molto lungo.

Forse non siamo abituati a considerarlo tale, ma il rapporto sottolinea che “visti i tempi estremamente lunghi di formazione del suolo, si può ritenere che esso sia una risorsa limitata sostanzialmente non rinnovabile”. D’altra parte, si legge ancora, il

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lo fornisce cibo, biomassa e materie prime; è la piattaforma per lo svolgimento del-le attività umane; rappresenta un edel-lemento centradel-le del paesaggio e del patrimonio culturale e svolge un ruolo fondamentale come habitat e pool genico. Nel suolo ven-gono stoccate, filtrate e trasformate molte sostanze, tra le quali l’acqua, gli elementi nutritivi e il carbonio. Per l’importanza che rivestono sotto il profilo socioeconomico e ambientale, anche queste funzioni devono essere tutelate.

In Lombardia “persi” 765 ettari di suolo ma è in Molise dove l’impronta dell’uomo cresce di più

I valori generali trovano enormi variazioni locali. Guardando per esempio a livello più dettagliato in 14 regioni il suolo consumato supera il 5%, con i valori maggiori in Lom-bardia (12,1%), Veneto (11,9%) e Campania (10,4). Seguono Emilia-Romagna, Puglia, Lazio, Friuli-Venezia Giulia e Liguria, con valori sopra la media nazionale e compresi tra il 7 e il 9%. La regione con la percentuale più bassa è la Valle d’Aosta, con il 2,1%, anche perché in ampia parte non edificabile data la sua geografia.

Nell’ultimo anno gli incrementi maggiori ci sono stati in Lombardia (+765 ettari), Vene-to (+682 ettari), Puglia (+493), Piemonte (+439) e Lazio (+431), mentre in termini per-centuali le regioni che risaltano di più sono Abruzzo (+0,5%), Molise (+0,4%), Sardegna e Veneto (+0,3%).

In un periodo storico in cui la popolazione italiana sta diminuendo, il consumo di suolo non segue invece la stessa direzione. Per questo regioni con elevati livelli di consumo di suolo e demografia in calo riflettono un minore livello di sostenibilità: è per esempio il caso di Veneto e Abruzzo. Valori positivi, in questo senso, si registrano soltanto nelle tre regioni in cui la popolazione è cresciuta nel 2020, ovvero Emilia-Ro-magna, Lombardia e Trentino-Alto Adige.

La Lombardia è per parte sua la regione con la maggiore estensione di aree ur-bane e ad alta densità di superfici artificiali, con oltre 174mila ettari e quasi il 20%

del totale delle aree urbane nazionali. Segue il Veneto con poco meno di 100mila et-tari e oltre l’11% delle aree urbane, e l’Emilia-Romagna con quasi 81mila etet-tari. Quasi ovunque, per quanto in misura diversa, si osserva una lenta trasformazione da aree rurali ad aree urbane e suburbane.

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TRIBUTI

CANONE UNICO PATRIMONIALE:

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