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La giurisprudenza della Corte di Giustizia e la genesi della

Nel documento Il distacco dei lavoratori all'estero (pagine 30-35)

Stante il quadro generale appena descritto a livello di principi, nei casi pratici si trattò di accertare quale legge nazionale si applicasse al fornitore di servizi che esercitava occasionalmente la propria attività sul territorio di uno Stato membro diverso da quello di stabilimento. In assenza d'integrazione positiva nel settore, dal momento che l'Unione non ha armonizzato la disciplina applicabile al prestatore transfrontaliero, la definizione del regime di circolazione del servizio può realizzarsi secondo due modelli concorrenti ed alternativi: secondo la regola del Paese di accoglimento (c.d. sistema di Host

State Control) l'accesso al mercato da parte dei prestatori di servizi

deve essere disciplinato dalle disposizioni previste dal Paese di destinazione; invece, secondo il principio del Paese di origine (c.d. regime di Home State Control) trova applicazione la legislazione del Paese di provenienza del prestatore.

Il nocciolo del problema è rappresentato dal fatto che il paese membro (i.e. “di destinazione del servizio” oppure “di esecuzione della prestazione” o anche “ospitante”) possa o meno imporre determinate condizioni per disciplinare l'ingresso sul proprio territorio degli operatori economici che provengono da un altro Stato membro. In termini di certezza giuridica, bisogna quindi chiedersi se il prestatore transfrontaliero di servizi debba limitarsi a rispettare la normativa del proprio Paese di origine, oppure se dovrà adattarsi alla legislazione dello Stato ove ha intenzione di fornire i propri servizi a titolo occasionale. Ed è in questa sede che si inizia ad affacciare la

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necessità di una disciplina di dettaglio, contenuta poi nella direttiva 96/71.

La nascita della disciplina sul distacco internazionale nell’ ordinamento comunitario è un esempio emblematico di come il processo di integrazione proceda grazie al costante dialogo tra Corte di Giustizia e istituzioni politiche: un rapporto all’interno del quale la prima, prendendo spunto dalle questioni pregiudiziali sollevate dai giudici nazionali, afferma principi fortemente innovativi44 mentre

ruolo delle seconde è quello di tradurre in norme tali enunciazioni di principio45. Lo scopo della direttiva è quello di salvaguardare una

delle libertà economiche fondamentali: la libertà di prestazione di servizi ex art. 56 TFUE.

La direttiva 96/71 è stata la risposta politica al problema giuridico sollevato dalla sentenza Rush Portuguesa46. Nel caso di specie, una

società di diritto portoghese con sede in Portogallo, la Rush

Portuguesa appunto, stipulava un contratto di subappalto con una

società francese per eseguire dei lavori alla linea TGV. Per realizzare tale opera, la Rush aveva inviato in Francia lavoratori portoghesi alle sue dipendenze. All’epoca il Portogallo faceva già parte della CEE ma, al fine di evitare che un movimento di massa di lavoratori portoghesi potesse turbare i mercati degli altri Stati membri, la normativa relativa alla libera circolazione di persone era stata rinviata al 1993. Si ricorda, invece, che la normativa relativa alla libera circolazione dei servizi era operante a tutti gli effetti, a partire dalla sua adesione all’Unione.

44 Così M. ROCCELLA, La corte di giustizia e il diritto del lavoro, Torino, Giappichelli,

1997, p. 15s.

45 G. ORLANDINI, Mercato unico dei servizi e tutela del lavoro, Milano, FrancoAngeli,

2013, p. 26.

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L’ispettorato del lavoro francese aveva avviato dei controlli, con cui aveva ravvisato una violazione del code du travail francese in materia di documenti che i lavoratori avrebbero dovuto possedere. Veniva così aperta la procedura prevista per casi del genere, finalizzata al pagamento di una multa in capo ai datori di lavoro portoghesi non rispettosi della normativa francese.

Così l’impresa portoghese decide di interpellare la Corte di Giustizia per verificare la compatibilità delle norme francesi con il diritto comunitario, sostenendo che nel loro caso non vi fosse alcuna violazione in quanto trattasi di norme relative alla libera circolazione di servizi.

La Corte di Giustizia chiarisce che lo status di lavoratore rientra nel campo di applicazione della libera prestazione di servizi, a prescindere dal tipo di lavoro svolto dal soggetto47. Dunque

l’imposizione di qualsiasi condizione aggiuntiva discriminerebbe il lavoratore non nazionale rispetto ai suoi concorrenti stabiliti nel paese ospitante; l’applicazione di una normativa nazionale sarebbe applicabile solo se il mercato del lavoro dello stato membro ospitante rischiasse di essere perturbato: circostanza non realizzabile nel caso di specie dal momento che si trattava di un’opera temporanea, terminata la quale i lavoratori sarebbero tornati nel loro paese d’origine.

Ma, il punto di svolta, risolto dai giudici comunitari con sentenza 27 marzo 1990, C-113/89, fu quello di affermare tra l’altro che ʺil diritto comunitario non osta a che gli Stati membri estendano l’applicazione delle loro leggi o dei contratti collettivi di lavoro stipulati tra le parti sociali a chiunque svolga un lavoro subordinato, anche temporaneo, nel loro territorio, indipendentemente dal paese in cui è stabilito il datore di lavoro; il diritto comunitario non vieta agli

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Stati membri neanche d’imporre l’osservanza di queste norme con i mezzi adeguati48”, sulla base dell'art. 49 TCE e dunque perseverando

nell'ambiguità e incertezza esistente circa i confini tra libera circolazione dei lavoratori e libera circolazione dei servizi49.

Poco dopo, si presentava all’attenzione della Corte un caso analogo, risolto con sentenza C-43-93- Vander Elst.

Nel caso di specie, il signor Vander Elst è titolare di un’impresa di costruzioni belga che nel 1989 mandava in Francia per l’esecuzione di alcuni lavori quattro dipendenti di origine marocchina. I medesimi, titolari di regolare permesso di soggiorno e di un regolare contratto di lavoro subordinato, erano anche in possesso dello specifico visto richiesto per l’ingresso di questi lavoratori sul territorio francese per il periodo necessario al soddisfacimento dell’opera in questione.

Durante i lavori, l’ispettorato di lavoro francese effettuava un controllo, alla fine del quale ravvisava che vi erano state irregolarità e quindi, comminava al titolare dell’impresa il pagamento di una multa. Così il signor Vander si rivolgeva ai giudici dell’CGUE, i quali hanno dichiarato contrario alla libertà di prestazione dei servizi il permesso di lavoro richiesto ai lavoratori distaccati cittadini di paesi terzi, a causa degli eccessivi oneri amministrativi e finanziari che esso comportava per i lavoratori stessi e per il datore che intende distaccarli.

La Corte è pervenuta a tale decisione respingendo tutti i motivi addotti dalla controparte, consistenti nella protezione dei lavoratori contro rischi di sfruttamento da parte dei datori di lavoro e nella

48 Cfr. C-138/89 del 27.3.1990 (punti 15 e 18).

49 Dà ampiamente conto della questione G. ZILIO GRANDI, l dumping sociale intracomunitario alla luce della più recente giurisprudenza CGE. Quando la libertà economica prevale sui diritti sociali, i in Cataldo Balducci e Maria Luisa Serrano, Atti del Convegno nazionale Nuovi assetti delle fonti del Diritto del Lavoro - 2011.

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prevenzione di perturbazioni sul mercato del lavoro nello stato ricevente50.

Con riferimento a questo aspetto la Corte dichiara, come precedentemente affermato nella sentenza Rush, che il mercato del lavoro francese non viene interessato in alcun modo dal momento che una volta terminati i lavori i dipendenti sarebbero tornati nel loro paese d’origine. Per quanto concerne, invece, il fatto secondo cui sarebbero norme a protezione dei lavoratori, la Corte replica asserendo che l’applicazione del regime belga è tale da escludere rischi di sfruttamento dei soggetti coinvolti.

Sulla base di tali considerazioni, si può notare come la Corte abbia aumentato la propria visibilità anche con altre pronunce in ambiti socialmente rilevanti, esulando dalla sua funzione meramente interpretativa e giungendo a dare un notevole contributo alla creazione stessa del diritto comunitario: prendendo spunto dai casi alla sua attenzione sottoposti ha affermato principi fortemente innovatori, sviluppando così la sua attitudine creativa51.

50 Si veda F. CARINCI, A. PIZZOFERRATO, Diritto del lavoro nell’Unione europea,

Milano, UTET giuridica, 2011, p. 304.

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