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La giurisprudenza si è più volte pronunciata in ordine al rifiuto da parte di testimoni di Geova di trasfusioni di sangue, rifiuto ripeto, motivato, da convinzioni religiose.

Tale comportamento non è mai stato oggetto di censura: il diritto a rifiutare le cure, anche quando da esso possa derivare la morte, indipendentemente dalle condizioni religiose o non sottese, è infatti riconosciuto come direttamente discendente dal diritto alla salute e all’autodeterminazione nella scelta terapeutica tutelato dall’art. 32 Cost.

Le varie decisioni si sono per lo più incentrate sui requisiti che il dissenso deve avere per essere considerato valido:

secondo la Cassazione,III sez.civ.,15 settembre 2008 n.23676, in tema di “rifiuto alle cure”, il dissenso alle cure mediche, per

intervenire, deve essere espresso, inequivoco ed attuale: non è sufficiente, dunque, una generica manifestazione di dissenso formulata ex ante ed in un momento in cui il paziente non era in pericolo di vita, ma è necessario che il dissenso sia manifestato ex post, ovvero dopo che il paziente sia stato pienamente informato sulla gravità della propria situazione e sui rischi derivanti dal rifiuto delle cure(Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto che non ricorressero le condizioni per un valido dissenso in un caso in cui era risultato da un cartellino, rinvenuto addosso al paziente, testimone di Geova, al momento del ricovero, in condizioni di incoscienza, che recava l'indicazione "niente sangue", appunto perché la manifestazione di volontà non risultava essere stata raccolta, in modo inequivoco, dopo aver avuto conoscenza della gravità delle condizioni di salute al momento del ricovero e delle conseguenze prospettabili in caso di omesso trattamento). Pertanto il paziente che intende far constatare il proprio dissenso alla sottoposizione a determinate cure mediche , nel caso in cui dovesse trovarsi in stato di incapacità naturale ha l’onere di conferire al terzo una procedura ad hoc nelle forme di legge, o manifestare la propria volontà mediante una dichiarazione scritta puntuale ed in equivoca nella quale affermi di voler rifiutare le cure anche qualora si trovasse in fin di vita.

Nello stesso senso si pone la sentenza già citata n. 4211 del 23 Febbraio 2007 della Terza Sezione della Corte di Cassazione, in tema di “Rifiuto delle trasfusioni ad opera del testimone di Geova” che ha ritenuto che, pur in presenza di un espresso rifiuto preventivo, non può escludersi che il medico, di fronte ad un peggioramento imprevisto ed imprevedibile delle condizioni del paziente e nel concorso di circostanze

impeditive della verifica effettiva della persistenza di tale dissenso, possa ritenere certo od altamente probabile che esso non sia più valido e praticare, conseguentemente, la terapia già rifiutata, ove la stessa sia indispensabile per salvare la vita del paziente.

Nel caso concreto, un testimone di Geova traumatizzato aveva rifiutato all'atto del ricovero in ospedale, eventuali trasfusioni di sangue, ma i medici, stante l'aggravamento delle sue condizioni, rivelatosi nel corso dell'intervento chirurgico, essendo il paziente anestetizzato e mancando la possibilità di interpellare altri soggetti legittimati in sua vece, hanno ugualmente praticato una trasfusione indispensabile per salvargli la vita, ritenendo altamente probabile che l'originario rifiuto non fosse più valido.

La giurisprudenza di merito più recente appare invece orientata a riconoscere la risarcibilità del danno non patrimoniale in caso di trasfusione posta in essere nonostante il dissenso espresso dal Testimone di Geova.

Si cita in tale senso la sentenza del Tribunale di Firenze, II sez.civ., 2 dicembre 2008, la quale ha riconosciuto come il comportamento del sanitario abbia violato la deliberazione cosciente e volontaria della Testimone di Geova, cioè il diritto alla sua autodeterminazione nel non consentire il trattamento salva-vita della trasfusione di sangue fondato sul proprio convincimento religioso tutelato dalla stessa Costituzione e che costituisce un limite invalicabile di rispetto della persona umana.

In tal caso inoltre il dissenso alle terapie era stato espresso in maniera scritta e in piena coscienza delle conseguenze a seguito di approfondite e complete informazioni fornite dai medici.

Un ulteriore esempio di sentenza riguardo tale argomento si ha con la sentenza della Corte di Appello di Cagliari sez.civ., 16 Gennaio 2009 ha raccolto il ricorso di un testimone di Geova contro il decreto del Giudice tutelare che, pur nominando un amministratore di sostegno, non lo aveva autorizzato a rifiutare la trasfusione di sangue per conto del beneficiario in caso di perdita di coscienza.

Secondo la Corte di appello, “il consenso dato in condizioni di piena capacità non perde valore qualora sopraggiunga un successivo stato di incapacità del soggetto e solo per questo: l’obiezione sulla perdita eventuale della capacità naturale, ove accolta, finirebbe con l’incidere negativamente sulla libertà dell’individuo: il fatto che la persona non abbia più la possibilità di revocare l’atto non è un motivo per disconoscerle a posteriori la libertà che ha manifestato compiendo l’atto.

In ordine al requisito dell’attualità del consenso, questa corte aderisce all’interpretazione della dottrina che ha sottolineato come la ragione del rifiuto della terapia trasfusionale collegato all’adesione ad una determinata religione (come in questo caso), è ragione che di per sé stessa comporta la permanenza nel tempo della volontà, che è espressione dell’osservanza incondizionata dei principi imposti dal credo di appartenenza”.

3.2.3 CASI GIURISPRUDENZIALI RIGUARDANTI PAZIENTI

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