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Lo studio delle associazioni di fedeli, nella loro veste di enti ecclesia- stici o di enti civili con particolari profili, stimola una qualche riflessione sulla tipologia di disciplina loro attribuibile e sul sistema giuridico nel quale collocarle.

Siamo dinanzi ad una duplice disciplina giuridica per una duplice ca- tegoria di associazioni, una, quella prevista dall’art. 9, è riservata agli ec- clesiastici, l’altra di cui all’art. 10 utilizzabile per altre associazioni eccle- siali.

115 Art. 20 cod. civ.; art. 8 disp. att. cod. civ. 116 Art. 21 cod. civ.

117 Art. 9 disp. att. cod. civ. 118 Art. 27 cod. civ. 119 Art. 29 cod. civ. 120 Art. 30 cod. civ. 121 Artt. 31, 32 cod. civ. 122 Art. 11 disp. att. cod. civ.

Entrambi le previsioni normative hanno origine pattizia, ma indicano una diversa procedura di riconoscimento e di rilevanza del diritto canoni- co, premessa per una differente disciplina sostanziale.

Come prima conseguenza possiamo affermare che la duplice tipologia prevista per le associazioni di fedeli attribuisce una condizione giuridica specifica, con la conseguenza di non poter applicare ad una tipologia quanto vale per l’altra.

Quanto alle associazioni pubbliche di fedeli riconoscibili come enti ecclesiastici già nella Relazione sui principi si evidenziava come l’ente ec- clesiastico sia “regolato da una disciplina ‘speciale’ che ne salvaguarda le caratteristiche originarie ed il collegamento con la struttura e l’ordina- mento della Chiesa”123

, al fine di proporre una disciplina non discrimina- toria rispetto a quella delle altre persone giuridiche che agiscono nell’am- bito dell’ordinamento statale e ‘insieme non privilegiaria’ nei riguardi de- gli enti di altre confessioni religiose.

Le norme approvate con il Protocollo del 15 novembre 1984, nella parte relativa agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti “recano una di- sciplina che presenta i caratteri di specialità rispetto a quella del codice civile in materia di persone giuridiche”124

. In questo sistema speciale si intrecciano norme statali, a carattere sia generale che speciale, e norme di derivazione confessionale125, e si creano condizioni particolari, uniche; le istituzioni ecclesiali trovano, infatti, una strada tracciata pattiziamente per essere riconosciute agli effetti civili, con le caratteristiche e le peculiarità proprie dell’ordinamento di provenienza, sempre nel pieno rispetto delle precise e specifiche condizioni pattuite.

Il risultato di questo procedimento è la costituzione degli enti eccle- siastici civilmente riconosciuti. Sostiene Picozza che la specialità della di- sciplina è da attribuire al riconoscimento delle norme dell’ordinamento confessionale di appartenenza, senza alcuna limitazione al diritto comune; l’ente ecclesiastico, allora, “rappresenta, nell’ambito della più generale ca- tegoria delle persone giuridiche private, una specie a sé stante”, tale da

123 Relazione sui principi, Foro It., 1984, V, p. 370.

124 Scambio di Note con Allegati 1 e 2 tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede

costituente un’intesa tecnica interpretativa ed esecutiva dell’Accordo modificativo del Concordato Lateranense del 18 febbraio 1984 e del successivo Protocollo del 15 novem- bre 1984, Vaticano-Roma, 10 aprile/30 aprile 1997, in Suppl. ord. Gazz. Uff. 15 ottobre 1997, n. 241.

giustificare una peculiare e autonoma collocazione nella teoria delle per- sone giuridiche nell’ordinamento italiano126

.

La volontà di far uso del termine di ente ecclesiastico civilmente rico- nosciuto ci aiuta a capire come l’acquisizione della personalità giuridica non modifica i caratteri originari che l’ente presenta già nel momento della sua costituzione o approvazione. Si formano così enti che vanno a costituire una categoria a sé, né privati né pubblici, ma enti “di una più ampia e autonoma organizzazione confessionale ai quali lo Stato si è limi- tato a riconoscere la personalità giuridica”127. In questa prospettiva l’ente ecclesiastico si colloca, allora, nel punto di contatto tra l’ordinamento sta- tale e quello canonico, per ricevere una regolamentazione e una disci- plina da entrambe le sponde, in una sinergia rafforzata e regolata dal si- stema pattizio preposto128

.

Profondamente diversa si presenta la posizione assunta dalle associa- zioni di fedeli non riconoscibili come enti ecclesiastici. La norma di rife- rimento, l’art. 10, presenta, infatti, caratteri propri e atipici nel regola- mentare queste figure, e muove da presupposti diversi rispetto al resto della legge.

La volontà di inserire nel contesto delle disposizioni sugli enti eccle- siastici la regolamentazione particolare di queste associazioni di fedeli, non nasce certamente dal desiderio di presentare una disciplina uniforme e uguale rispetto a quella prevista per gli enti ecclesiastici, ma dalla pre-

126 P. PICOZZA, L’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, Milano, 1992, p. 200.

L’Autore esclude ogni possibile assimilazione degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti agli enti pubblici.

127 F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, Bologna, 1997, p. 272. L’Autore arriva ad

afferma che “gli enti ecclesiastici costituiscono una categoria a sé, un tertium genus”, ID,

Enti ecclesiastici: II) Enti ecclesiastici cattolici, in Enc. giur. Treccani, vol. XII, Roma, 1988,

p. 3; F. MARGIOTTABROGLIO, In tema di attività negoziale degli enti ecclesiastici regolari.

Aspetti pubblicistici ed autonomia privata, in Dir. eccl., 1963, I, p. 170, rilevava una “du-

plice piano di operatività delle persone giuridiche ecclesiastiche nell’ordinamento statuale: privato nei confronti delle persone fisiche e giuridiche private, e pubblico, in tutti quei rapporti giuridici e di fatto che facciano capo allo Stato ed ai suoi organi”.

128 La Commissione paritetica nella Relazione sui principi afferma che “una normati-

va speciale sarà formulata per le associazioni pubbliche e private di fedeli”. Il disposto non intende posizionare sullo stesso piano disciplinare e giuridico le diverse figure di ag- gregazione, come un unicum, ma mira comunque a differenziare il fenomeno associativo dal riconoscimento generalizzato previsto per gli enti ecclesiastici. Una volta accettata questa precisazione, si provvede a distinguere le associazioni pubbliche, capaci di ottenere un riconoscimento come enti ecclesiastici a determinate condizioni, e le altre associazio- ni.

senza di fattispecie particolari meritevoli di interventi specifici. Il presup- posto era, appunto, quello di voler regolamentare pattiziamente una si- tuazione che poteva presentare delle incertezze in fase applicativa, per la presenza di una matrice ecclesiale in queste istituzioni e di un collega- mento organico con l’autorità ecclesiastica. Infatti “le associazioni costi- tuite o approvate dall’autorità ecclesiastica non riconoscibili a norma del- l’articolo precedente – art. 9 –“ si trovano ad operare nell’ordinamento italiano “in tutto regolate dalle leggi civili”, come altri enti che ottengono il riconoscimento come persone giuridiche. Trova attuazione, qui, quel progetto elaborato dalla Commissione Paritetica sull’opportunità che “le altre – le associazioni di fedeli che non ottengono un riconoscimento come enti ecclesiastici – vengono disciplinate in conformità al diritto co- mune”129

, posizionando queste associazioni all’interno dell’ordinamento italiano130

.

Contestualmente, però, era necessario definire quel profilo di speciali- tà loro riconosciuto e che si esplica nella “competenza della autorità ec- clesiastica circa la loro attività di religione o di culto e i poteri della me- desima in ordine agli organi statutari”. Siamo in presenza di condizioni di specificità, di deviazioni dalle regole di diritto comune che possono ritenersi consentite dalle norme di derivazione pattizia131.

Nella situazione che precede la mera fase attutiva, nella quale trovano piena applicazione le competenze sopra esposte, la fisionomia particolare delle associazioni trova ragione nell’assenso dell’autorità ecclesiastica competente e nella procedura di erezione o approvazione.

Tutti questi elementi ci inducono a qualificare queste associazioni ec- clesiali come persone giuridiche private che mantengono un profilo di specialità per ciò che attiene al collegamento con l’ordinamento canoni- co, da cui traggono origine. Una volta soddisfatte le condizioni normative statali, pattizie e canoniche, e ottenuto il riconoscimento, si collocheran- no in un settore particolare dell’ordinamento statale, nella piena salva- guardia della loro peculiarità, prevista e disciplinata132.

129 Relazione sui principi, Foro It., 1984, V, p. 373.

130 Cardia qualifica questi enti come “persone giuridiche private con profili di eccle-

siasticità”, C. CARDIA, Stato e confessioni religiose. Il regime pattizio, Bologna, 1988, p. 240.

131 P. FLORIS, L’ecclesiasticità cit., p. 289.

132 Non tutta la dottrina concorda con questa impostazione. Si adduce, infatti che

un ordinamento primario “può presupporre o rinviare a norme di una altro ordinamento, ma non abdicare alla qualificazione giuridica di fattispecie previste dal diritto comune”,

Il loro profilo di specialità porta a “riconoscere anche agli effetti civili il loro legame con l’ordinamento canonico”. Quello che le rende “speciali rispetto alle associazioni civili, dipendenti nella loro azione solo dalla le- gittima volontà degli associati”, è la dipendenza dall’autorità ecclesiastica per quelle competenze riconosciute dalla norma pattizia133.

La collocazione giuridica proposta potrà allora aiutare a definire an- cor meglio il ‘vincolo del modello’ che viene riconosciuto in capo a que- ste associazioni. Cosicché “le eventuali smagliature, rispetto a quelle pre- figurabili secondo la disciplina civilistica delle strutture associative, siano riconducibili a questa specificità di modello e non abbiano a reagire sul modo di essere dell’atto, e sulla validità delle singole clausole”134.

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