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4.2 Design anonimo

4.2.6 Gli oggetti anonimi di Achille Castiglion

Nel corso della sua attività professionale Achille Castiglioni ha raccolto un vastissimo numero di oggetti anonimi. Chi ha avuto la fortuna di visitare lo studio, oggi diventato Museo gestito dalla Fondazione Achille Castiglioni, non può non rimanere colpito dal- le vetrine che contengono semplici oggetti comuni che lo stesso designer ha pazientemente raccolto nel corso della sua vita. Una raccolta iniziata in modo autonomo e in seguito espansa grazie ad amici e visitatori che ad ogni visita dello studio erano soliti contri- buire in una sorta di omaggi. La sua collezione di oggetti presenta diversi filoni. Si indaga per esempio attorno ad una funzione preci- sa, come un martello o una forbice, affiancando le diverse forme dello stesso oggetto secondo la funzione da svolgere. Perché le forbici da lattoniere sono diverse da quelle da chirurgo o giardi- niere. Un altro filone è rappresentato dagli oggetti trasformabili e pieghevoli, o della raccolta di vari materiali, sia quelli innovativi sia quelli giunti alla fine della loro vita. Davvero numerosi sono infine i pezzi curiosi, speciali o semplicemente comuni; uno sgabello per mungere, delle pinze per i fogli, un cestello per la cottura a vapore oppure un giunto in vetro per cancellate.

Dino Gavina, designer ed editore italiano, ha reso omaggio ai pro- dotti anonimi e ai fratelli Castiglioni in occasione di una mostra, dove affianco del Cavalletto ripensato dai designer per la sua azienda, presentava un inedito inventario comprendente: la tripo- lina, la sedia sdraio e quella da regista, il filo a piombo, la chiavarina, l’ombrello, la lampada di carta, il metro, il martello, il tappo a coro- na e il cuscinetto a sfera. Ha poi spiegato che “nel momento della massima ricerca sul design, un’idea spontanea, dirompente, una chiara indicazione ai progettisti: a volte può essere giusto sceglie- re o ridisegnare un umile modello abbandonato facendolo rivivere, invece di progettare

un prodotto nuovo”.

Raccontava Castiglioni: “ io faccio raccolta di oggetti trovati, con- servo un po’ di tutto, sono oggetti anonimi, prodotti anche in gran- de numero. Li ho tenuti da parte ogni volta che capitava un oggetto con un intelligente componente di progettazione. Hanno una loro espressività molto particolare proprio perché sono sempre legati a una funzione. Di queste cose da osservare e a cui fare attenzione è pieno il mondo. Mi suggeriscono continuamente qualche cosa:

tante volte è tecnologia della produzione, altre volte è il compor- tamento del fruitore, altre ancora il modo in cui è venduto. Questi oggetti influiscono molto sulla mia voglia di lavorare, di giocare e di entrare nel vivo della progettazione”. Oggetti comuni e anonimi importanti per il lavoro progettuale: perché soluzioni di dettaglio potevano rivelarsi fonte di ispirazione; perché certi oggetti poteva- no essere decontestualizzati e riusati; o ancora perché si poteva immaginare di ridisegnarli. In occasione della mostra in Triennale del 1984 dedicata ad Achille Castiglioni, questi oggetti vengono presentati sul libro catalogo scritto da Paolo Ferrari introducendoli con un breve testo: “La funzione: che bella forma!”.

Gli oggetti presentati non venivano considerati come pezzi da collezione, poiché sono questi tutti di normale produzione. Per questi oggetti, in origine di progettazione anonima, molto spesso scaturiti dalla fantasia del piccolo artigiano e poi prodotti in serie è sempre presente in Castiglioni anche un enorme interesse forma- le. Nella prassi progettuale il designer milanese ha dunque sempre tratto inspirazione da oggetti anonimi e comuni, attraverso sia il ready-made sia il redesign. Utilizzare un sedile da trattore per una nuova sedia, come nel Mezzadro, oppure una canna da pesca per reggere una lampada, come nella Toio, risponde all’esigenza di usare tutto ciò che è già ricco di cultura del costruire, anzi, di con- fermare questa validità anche suggerendone un uso diverso. Nel disegnare oggetti d’arredo e di uso comune, Castiglioni si è sem- pre mantenuto fedele alla cifra che sin dai lontani anni Quaranta ha caratterizzato la sua ostinata e ininterrotta attività di progettista, ovvero il tentativo di scoprire l’intelligenza che il tempo e l’uso han- no accumulato negli oggetti comuni, negli utensili e negli strumenti che quotidianamente accompagnano la vita degli individui. Diffe- rente nei confronti del culto per la novità, il designer si è ingegnato di cogliere in nuovo ciò che è di sempre. Non è dunque strano che alla luce di quest’attenzione culturale e metodologica, Castiglioni sostenesse che il rompitratta Vlm (interruttore progettato per Bti- cino) del 1968 fosse il loro prodotto più emblematico: “L’oggetto di cui sono più orgoglioso – ha affermato più volte Achille – l’ho disegnato trent’anni fa con mio fratello Pier Giacomo. Prodotto in grande numero (15milioni di pezzi), è acquistato per le sue qualità formali e nessuno, nei negozi di materiale elettrico, ne riconosce l’autore”.

Gli stessi oggetti anonimi erano utilizzati da Castiglioni nelle le- zioni universitarie. Lo stesso designer racconta che durante il suo insegnamento ha sempre messo davanti agli studenti degli oggetti e li ha fatti mentalmente e fisicamente smontare per far loro comprendere quando erano oggetto di buon design o meno. “Sono convinto che dalla varietà si è poi capaci, con un po’ di ri- flessione, di arrivare all’essenza e alla differenziazione”. Gli oggetti appartenenti al cosiddetto design anonimo sono considerati per dimostrare come un’intelligenza collettiva sviluppi una profon- da coscienza delle esigenze, delle risorse disponibili, dei mezzi di produzione opportuni, così da generare la realizzazione di pro- dotti che, quasi naturalmente, coniugano la qualità tecnica con una soluzione espressiva totalmente appartenente al medesimo linguaggio e sensibilità formale di produttore e utilizzatore. Non quindi una rassegna di oggetti curiosi o pezzi di modernariato, ma esempi della memoria della cultura del progetto.

Il testo del paginone illustrativo del suo insegnamento al Politec- nico di Milano diceva: “L’insegnamento considera il progetto quell’attività che costituisce gli oggetti come strutture di relazione determinanti della qualità dei comportamenti. Si considerano po- sitivamente i prodotti scaturiti da un’approfondita ricerca di pro- getto e da un’evidente attenzione per il ‘significato’ dell’oggetto: in particolare si considera, nella qualità dei rapporti umani e dei rap- porti con l’ambiente, ciò che fa nascere relazioni d’affetto”.

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