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Il punto di vista del governo e` che la vera dimensione sociale debba riguardare la riduzione della disoccupazione all’interno della comunita`, dove si trovano ancora circa 14

Nel documento DIRITTO DELLE (pagine 31-34)

Alan Neal (*)

4. Il punto di vista del governo e` che la vera dimensione sociale debba riguardare la riduzione della disoccupazione all’interno della comunita`, dove si trovano ancora circa 14

milioni di disoccupati” (DE 1990: 1-2).

La dimensione sociale del mercato europeo: Regno Unito di Gran Bretagna

Alan Neal

Il documento prosegue poi sottolineando che:

“secondo il punto di vista del governo, la Carta Sociale e` una dichiarazione politica, priva di effetto vincolante”.

Questa risposta essenzialmente negativa fornita dal Governo del Regno Unito alle proposte della Commissione per iniziative “sociali” a livello comunitario, non e`, come si e` spesso insinuato, un semplice fatto di “arroganza” anglo-sassone, ovvero ostilita` profondamente radicata verso gli “stranieri e tutto quello che e` straniero”. E neppure e` da considerarsi una risposta limitata esclusivamente all’ex Primo Ministro Margaret Thatcher ed ai suoi piu` stretti alleati politici — malgrado in seguito al “discorso di Bruges” della signora Thatcher, tenutosi nel settembre del 1988, si sia spesso asserito il contrario. Fino a che punto tali semplicistici tentativi di caratterizzare la posizione britannica colgano al di la` del segno e` stato con chiarezza evidenziato dalla freddezza con cui gli avventati rilievi del Presidente della Commissione, in seguito al Summit dei capi di stato, tenutosi a Roma, circa l’oppo-sizione britannica all’unita` monetaria, e all’ECU pesante, sono stati accolti da ogni parte. Simili illazioni oltre a ferire ed offendere non sono certo piu` veritiere di quanto non sia stata quella per cui l’opinione britannica circa la presidenza italiana, durante l’ultima meta` del 1990, sarebbe piu` o meno” quella di un autobus guidato dai fratelli Marx”.

Bisognerebbe piuttosto rilfettere sul fatto che il Regno Unito — che si e` trovato assai spesso in accordo con i due stati entrati nella CEE nel 1973, ossia la Danimarca e la Repubblica d’Irlanda — ha incontrato un discreto numero di difficolta` oggettive nel cercare di adattarsi ad una struttura preposta a prendere decisioni di ordine giuridico e politico fondata da Stati che avevano tra loro una quantita` molto maggiore di elementi in comune all’inizio della grande avventura che ha prodotto la Comunita` Europea dei dodici. I conflitti inerenti il rapporto tra la Commisisone (come unica propugnatrice delle iniziative legislative della Comunita`) ed il Parlamento nazionale britannico non sono mai stati messi adeguatamente a tacere.

Allo stesso modo, i rapporti tra la Comunita` Europea e la politica economica interna della Gran Bretagna raramente sono stati buoni durante i circa due decenni di appartenenza della Gran Bretagna alla Comunita`. Altre questioni, particolari infatti hanno dato “origine ad occasioni di conflitto”, quali la politica agricola unitaria, le quote di pesca, i trasporti e la politica di concorrenza.

Nell’ambito del diritto del lavoro e delle relazioni industriali vi sono attriti anche maggiori tra il sistema propugnato dalla Commissione europea al fine di dare esecuzione a livello legislativo nazionale alla propria “politica sociale” e le istituzioni e tradizioni “marchio di garanzia” della “patria della contrattazione collettiva”. Le relazioni istituzionali tra quelle che presso molti altri stati membri sono identificate come “le parti sociali”, sono quasi del tutto ignorate (e di conseguenza non riconosciute) nel Regno Unito, essendo l’ordinamento legale che disciplina le relazioni industriali in Gran Bretagna il risultato di decenni di “astensione legale” o “laissez-faire collettivo” (Kahn-Freud 1977: 276), soltanto di recente modificato dalla presenza di un ruolo piu` interventista del legislatore (Neal 1988: 210/211). Non e` la prima volta che questi temi vengono discussi. Le riserve del Regno Unito possono comunque venire considerate sotto due diversi punti di vista, che sono venuti alla ribalta in occasione della discussione sulle proposte della Commissione per il progresso della “dimen-sione sociale” della Comunita`. Qualche cenno verra` pertanto proposto in tema di (a) “Diritti garantiti dal Trattato istitutivo” e (b) “Principio di Sussidiarieta`”.

3. La opposizione alle iniziative della Commissione come attuazione dei diritti garantiti dal Trattato istitutivo.

Malgrado la sostanziale “doccia fredda” che le espressioni ufficiali della posizioni assunta dalla Gran Bretagna hanno costituito per le aspirazioni della Commissione Europea espresse nella Carta Sociale, il Governo Britannico ha mostrato chiaramente di prendere in seria considerazione le implicazioni del Programma di azioni della Commissione pubblicato nel novembre del 1989.

E` altresı` chiaro che il Governo Britannico ha assunto una linea secondo la quale l’opposi-zione verra` mantenuta entro i limiti consentiti dal Programma d’al’opposi-zione stesso, come fatto politico, nel contesto di quei provvedimenti che necessitano, per la loro approvazione, dell’assenso unanime degli Stati Membri, e quindi anche del voto favorevole dei delegati del Regno Unito.

Una tale posizione pone un’enfasi particolare sulla necessita` di un fondamento normativo,

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da ricercarsi nell’ambito del Trattato istitutivo, per ciascun provvedimento che la Commis-sione voglia cercare di porre in essere all’interno del quadro previsto dal Programma di Azione. In breve il punto chiave della questione consiste nello stabilire se simili provvedi-menti possano venire legittimamente adottati con procedure che si avvalgono di semplici maggioranze qualificate, o se al contrario sia necessaria l’unanimita`.

La differenza venne a crearsi in occasione delle modifiche al Trattato istitutivo introdotte nel 1986, per mezzo dell’“Atto Unico Europeo”, il quale apporto` nuove disposizioni in materia di votazioni a maggioranza qualificata, inserendo nel Trattato il nuovo art. 100/a, nell’ambito di quella che venne definita come una nuova “Procedura di cooperazione”. Per coloro che si occupano di legislazione “sociale” a livello comunitario, l’importanza della formulazione del nuovo art. 100/a risiede nel fatto che le ipotesi in cui e` possibile fare ricorso alla maggioranza qualificata, non si estendono a tutti i settori della legislazione, ed in particolare, la procedura di cooperazione:

“... non si applica alla materia fiscale, alla materia della libera circolazione delle persone, e neppure a quella dei diritti e degli interessi dei lavoratori dipendenti”.

Di conseguenza le questioni relative alle suddette tre aree non possono essere regolate da provvedimenti presi a “maggioranza qualificata”. Questo sta a significare che qualsiasi disposizione nella particolare materia dei “diritti ed interessi dei lavoratori dipendenti” deve trovare il proprio fondamento normativo in qualche altra previsione del Trattato istitutivo. Tutto cio` rivela uno dei fondamentali problemi che presentano le cosı` dette “disposizioni sociali” contenute nel Trattato istitutivo della CEE a partire dall’art. 117 in avanti: l’evidente mancanza, in capo alle istituzioni comunitarie, di reali poteri atti a promuovere le ambizioni degli Stati Membri nella direzione di assicurare il “progresso sociale” e di affermare “come obbiettivo essenziale dei loro sforzi il costante miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei popoli”. (Trattato CEE preambolo); come pure di promuovere “una accelerazione dello sviluppo del tenore di vita” (Trattato CEE: art. 2), e di cercare “di migliorare le opportunita` occupazionali dei lavoratori e di contribuire ad elevare il loro tenore di vita” (Trattato CEE: art. 3 (i)). Un tentativo di spiegazione circa le ragioni di un simile stato di fatto viene dato da un ex alto funzionario della Comunita` nei seguenti termini:

“l’assunto che sottende il Trattato e` che se si potessero eliminare tutti gli ostacoli artificiali al libero movimento della manodopera, dei beni e dei capitoli, cio` stesso assicurerebbe, nell’arco del tempo, un collocamento ottimale delle risorse nell’ambito dell’intera Comu-nita`, il tasso ottimale di crescita economica e di conseguenza un sistema sociale ottimale. Quindi non appariva la necessita` di inserirne norme sociali specifiche nel Trattato”

(Shanks 1977).

Per quanto riguarda le iniziative legislative in campo sociale percio`, v’e` stata una carenza di poteri effettivi, tali da permettere alla Comunita` di intraprendere azioni politiche ad ampio raggio in molti dei campi compresi nel diritto del lavoro e delle relazioni industriali. Infatti, come ha notato un osservatore:

E` evidente che nessuna delle disposizioni ‘sociali’ contenute nel Trattato, nella sua forma originaria, fornisce alle istituzioni comunitarie un qualsiasi specifico potere giuridica-mente vincolante per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti negli artt. 117, 118, e 119”.

(Arnull 1987: 247).

In concreto, un fondamento normativo per una gran parte delle iniziative di politica sociale lanciate in relazione agli artt. 117 e 118 e` stato ricercato tanto nell’art. 100, quanto nell’art. 235. L’art. 100 enuncia la norma che conferisce al Consiglio il potere di emanare direttive per l’armonizzazione delle normative degli Stati Membri incidenti sull’instaurazione ed il funzionamento del mercato comune. L’art. 235 consente al Consiglio di assumere le “misure appropriate” qualora l’intervento della Comunita` sia “necessario per realizzare, in vigenza del mercato comune, uno degli obiettivi della Comunita`, e questo Trattato non abbia previsto gli strumenti necessari”.

Tanto l’art. 100 che l’art. 235 richiedono l’unanimita` da parte degli stati membri.

Con l’individuazione dell’art. 100/a, e le sue previsioni in tema di “procedure di coopera-zione”, soltanto un settore rientrate nell’area delle “previsioni sociali” del Trattato CEE e` stato riconosciuto suscettibile di rientrare nel potere di regolamentazione della “maggio-ranza qualificata” degli Stati membri. E` questo il campo della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, previsto dall’art. 118/a, recentemente introdotto, che stabilisce:

“1. Gli Stati Membri debbono impegnarsi particolarmente nel favorire il miglioramento

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dei luoghi di lavoro, per quanto riguarda la salute e la sicurezza dei lavoratori, e debbono porsi come obbiettivo l’armonizzazione delle condizioni in tale ambito, fermi restando i progressi gia` compiuti.

2. Per favorire il conseguimento dell’obiettivo stabilito nel I paragrafo il Consiglio,

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