Una folla tumultuosa e immensa s'agita in questo formicaio ove anch'io, dannato, vago, scostandomi, prima d'essere travolto e calpestato,
io, che ai bordi del tumulto immane, siedo,
poiché stanche ho le membra e stanca la mente
da lungo mi trascino.
Mi viene in mente la storia d'un povero grillo
consiglier loquace, cui arduo gli fu l'intento, cosicché nessuno lo ascoltò.
A voi, burattini di carne i miei anni ho dedicato;
questa greve croce or dimetto e deluso, v'abbandono.
I CREDITORI
Sprofondato tra le mille carte siedo sulla lussuosa panca,
polverosa, trasandata la scrivania, colma di lettere, di appunti
e di programmi tralasciati.
Ed essi, tutti quanti,
ripetono con monotonia ossessiva le amare note da sempre conosciute che furon causa della mia agonia:
Pagami questo, pagami quello, e multe, ingiunzioni e citazioni, minacce e continui insulti.
Squilla il telefono e il terror m'assale;
giunge la posta ed ho timore.
Pago la casa, pago l'auto, pago ciò che mi si chiede e pur non basta.
Pago lo scotto del progresso e pago l'aria che respiro.
Dannato sia dunque tu, denaro, sporco o pulito che tu sia:
Dannato, dannato, dannato.
Per vivere mi basta nulla e quel nulla è il denaro.
E' dunque dio il denaro?
No! Tu sei denaro, dio è Dio.
Tu sei il prezzo della colpa, il prezzo del peccato
ed io ti compro con sudore
solo per sopravvivere, quaggiù...
...ed espiare.
MARCHIATI
Sbandati, nell'oceano dei desideri mai sopiti, vanno gli operai del piacere in panfili d'ornamentali porti,
costellati d'oro e d'inchinati servitori lustrascarpe del potere, vittime di vittime legalizzate, schiave dell'amorfo impero viziato da fluttuanti conti neri,
iperbolici, che crescono come l'erba...
...e l'erba nei prati cresce imponente..
E' bella l'erba che cresce nei prati, è fresca e verde come la miseria dei poveri perenni rotolati in essa e verde d'idrofobia mutano la pelle mostri tra i mostri orrendi, che di Mida han parvenza di re e toccano,
con mani magiche, cose che si frantumano, uomini che poi s'odiano e s'uccidono, innocenti che s'avvincono ai misteri dell'inconscio, d'oggi e di domani e senza danaro vanno a crescere
"mens mala in corpore malo",
come di chi, artefice, confida nei deboli e vede chiaro il suo folle futuro.
Ombre si proiettano gigantesche ai muri delle case, di fuori, alti, in grattacieli che complici celano
gli operai di prima tra computers-robots, inventori di slogans del consumo
per la noia delle donne e poi dell'uomo e casseforti d'ammassate cambiali e assegni post-datati e ipoteche e affini degli ingannati creduloni che miravano a divenir padroni di numeri senza volto e di volti senza numero, contando i "fanta"
come noccioline il bimbo, delusi d'esser così pochi.
S'arroventa il ferro, come se non bastasse caldo, a crear più caos che Babilonia seppe
e balordi avanzano con guanti d'amianto a marchiar più carne per l'operaio del piacere.
INTROSPEZIONE
Che vivere di stenti da sempre trascini
nel gelo dei perenni inverni vissuti nel rimpianto del perduto o nei sogni inutili, caduchi
e nulla cogliesti, nè frutti, nè bene e pietra divenisti, sì dura
con chi ti volle amare
e amore non sapesti dare, tu, cuore di ghiaccio
che batti per dar vita solo, a questo corpo in cui freddo il plasma scorre nelle vene e palpiti più non conosci,
nè orizzonti, nè gioie, nè dolore per odio o per amore e maceri, col tuo vorticoso andare
speranze, illusioni e sogni di chi ti vuole bene invano, consumando uniche, irripetibili risorse di vita ideale
per piangere e per ridere, per soffrire e per sperare, per non morire di stenti a te noti dietro i quali hai trincerato il tuo calore antico, unico, per timore dei mali del mondo,
per paura d'amare senza avere amore, o di derisioni per le antiche emozioni,
non finzioni, a te più congeniali:
recita teatrale dei burloni
che in essa trovano conforto, alfine, per quella parte imparata a memoria e nella vita, quella vera,
consumano laghi di pianto
quanto i tuoi, acque fredde e torbide che nulla rinverdiscono se non dolore, acuto, ove s'annega la delusione, nel rimpianto d'inutili conflitti, costellando di cupe stelle il cielo delle notti solitarie, rifuggendo, pur se per attimi, sogni reali di reale beneficio,
maturando nell'inconscio volontà nuove, terrificanti, di duro incedere
tra i palpiti del tuo cammino già tanto tortuoso e buio,
edificando palazzi come muffa il prato, insipida, destinati alla desolazione, perchè vuoti per sempre staranno come te, che in solitudine avanzi con la complicità dei tuoi silenzi, ossessivi, innaturali come il mondo che abiti, incurante delle voci amiche che l'eco d'esse il vento disperde tra le spirali di morte interiore, ove l'anima più non conosce pace e del tuo patire si dispera,
dell'ingratitudine che sai riservare
a chi ti vorrebbe dar calore umano, lesinando tuoi sguardi od attenzioni, affezione o dolcezza o puro sentimento e non miele amaro, regalato
come da chi ha zavorra da gettare per librar leggero in spazi aperti ma sempre oscuri, in sentieri senza traccia da seguire, indomito;
nè paura ti ferma delle tenebre, stella solitaria nella lunga notte perenne, solo tua, come la lotta aspra, violenta, feroce, ove muori, per poi risorgere nuovamente, duro, più forte, più agguerrito...
...più solo.
LO SCALATORE
Sali, sali sui pendii dei monti che le cime nascondono tra il grigiore delle nubi della stagione più mite
intente a non far brillare di luce i petali dei fiori di campo
che elevano lo stelo lassù
e, superar le nubi ostili vorrebbero che trattengono il sole
e i suoi raggi d'oro
in ostinati sacchi d'invidia che rotolan giù sino a valle.
Sali, sali sui pendii dei monti
affrontando sentieri che non hanno traccia noncurante del tuo inciampare
se guardi verso l'alto
per non smarrire un segno che ti conduce, l'indice che ti dirige verso una meta
che non sai se è la vita oppur la morte nel segno di pace che tu vuoi trovare a tutti i costi, anche se nulla a te costa
smarrirti, quando avrai trovato la via che cerchi tanto, che ti giova all'anima il tormento?
Ti giova quanto il desiderio di possedere ciò che non hai e che non avrai
in dono da te stesso, se non da chi può donarti l'essenza reale che ti manca.
Sali, sali sui pendii dei monti nella stagione che non ha tempo
senza contare i passi stanchi del tuo incedere nell'incessante marcia pellegrina
come d'eremita che va, meditando la vita per poi considerarla nulla
di fronte alla morte di un seme sepolto sotto le zolle
capace di schiudersi e divenir gigante da alberello che era
appena spuntò dalla sua tomba commiserando la sua natura d'uomo che non ha senno se non di stolto con cui affrontare il mondo,
servile macchina del potere, ormai, che deve dare ciò che il potere vuole per ubbidire alla legge del più forte che in una mano stringe i veleni mortali, nell'altra brillanti lame di fuoco infernale e nell'altra lo scettro del potere.
Sali, sali sui pendii dei monti nella solitudine dei tuoi silenzi
per ascoltar rumori d'aria che si scosta al tuo passare, per lasciarti libero d'affrontar l'ascesa verso la meta che quanto più avanzi più s'allontana, per farsi preziosa ancor più
e poi rinchiudersi in uno scrigno tutto d'oro, pregiato, intarsiato, scolpito da grande artefice
che considera quello tesoro e non ciò che in esso è, custodito gelosamente da un guardiano che sa quel che ti conviene e che ti potrebbe dare se non avesse preso gusto a farti schiattar d'affanno o di crepacuore, senza provar rimorso, in pietà che non conosce o in amore che neppur sa cos'è, quel figlio di mostri a tre mani partorito in tormentate doglie di un'infida donna tutta disumana, come la natura che l'ha concepita.
Sali, sali sui pendii dei monti finché il tuo cuore ce la fa
a sopportar l'affanno di quest'impresa
e non curarti se nessun sente il tuo ansimare, è soltanto perchè sei solo quassù, in alto, ma se guardi meglio il caos che ti circonda della ridente specie che popola la terra e possiede quel che tu non hai,
e possiede quel che tu vorresti avere, e possiede anche quel che per diritto è tuo e ti guarda mentre hai la mano tesa
nell'atto di mendicare, foss'anche un duro pane da ingugiare coi modi del famelico,
accecato dai morsi della fame mai sopita nella perenne carestia della tua vita, e ti offre volgari risa di scherno
per dirti chi sei con l'empietà del maligno, attento, essa cospira contro di te,
convinta d'ingannarti perchè non sa che tu hai per padre Dio.
Sali, sali sui pendii dei monti seguendo il raggio di luce
che non è di sole, come i folli credono e dicono che ti perdi nuovamente
come altre volte in cui seguisti luci riflesse che ti condussero solo ai rivi di morte che ti legava al terrore di dover andare senza sapere dove fosse il luogo, nè se chi ti guidava era Dio,
od invece un demone che ti abbagliava coi suoi sprazzi di luce accecante,
falsa, come l'immagine bugiarda che rifletteva sui muri contro cui poggiavi
stancamente la schiena, al terror dei colpi vili dei tuoi nemici, che ora muoiono trascinati nell'abisso, dal peso delle colpe che da sole parlano,
per sentenziar contr'a loro
una condanna esemplare che sia monito per chi poi ti vorrà tormentare
tu, cui la luce della Luce illumina il tuo volto.
IL VENDUTO
A chi hai detto si, quando udisti la voce, urlata dal buio pesto della tua vita insulsa quando non sapevi neppure la vita tua cos'era, se un tempo da vivere sotto forma di belva o di piccolo uccello che vola nei campi, o di uomo chissà quanto ancora impuro, costretto ad espiare le molte colpe (quali, poi), tornando in vita sott'altre forme dal dio volute.
A chi hai detto si, quando qualcuno ti parlò per invitarti a rinnegar te e la tua natura, come se tu non fossi uomo di bel sapiente, creato ad immagine del solo Vero,
dai pensieri di bene che la Mente sfoglia, in schede d'oro su cui vergò il nome che t'impose, scelto secondo il divin criterio che ti fece l'ultimo, ma principe sul Creato.
Ma tu non sei il Suo Adamo, il compagno di una donna bella vestita di purezza, come Lui, sotto i raggi della luce splendente che non è il sole che la terra scalda...
...Tu hai paura, tu hai vergogna d'esporti davanti al mondo, nudo
e fai bene, perchè a guardarti l'anima fai schifo.
Taci davanti all'indice accusatore dopo aver sentito le ragioni del Re,
proclamate a viva voce dal giudice soave che sol lo Spirito ti dirà chi è,
or che t'appresti ad affrontare il viaggio in catene di ferro robuste assai,
incredulo e sgomento di fronte alla morte coi forconi, che ti sospinge a superar la soglia.
No! Fammi parlare prima dell'addio al mondo che non seppi apprezzare, coi suoi sorrisi di giovane amante offerti qual dono in pacchi di sogno, da schiudersi piano tra i teneri sguardi simili a perle d'angeliche pupille
che brillan d'amore sciogliendo cristalli, per donare gioielli che io non colsi.
La notte, coi suoi silenzi amorosi, culla gli amanti coperti di luna
tra le infinite lucciole nel cielo accese
e stancamente avanza per far posto al sole, sicché tempo non ti resta di parlare
al mondo che hai reietto col tuo potere,
dopo aver reso assassina la mano che stringe ancor fumanti, le vili canne del dolore.
Passavano i carretti variopinti ma eran tempi di genti d'altro cuore
e i cavalli nitrivano orgogliosi al frustatore, scalpitando e innalzando criniere al vento sul selciato delle strade Trinacrine
su cui immobili giacevano per l'onore calpestato i rei degli amori disgraziati,
di amanti innamorati per davvero.
Tutto si commercia nelle piazze del Triscele in un clima di terrore malcelato
spendendo molto più di quel che vale il corpo sol per restare in vita, ma sino a quando, se poi domani ad altri bravi dovrai dare il pegno di una vita sola che possiedi, già schiava dei rigattieri maledetti per primi, ai quali nel terrore dicesti SI.
TERRORI
Che cosa guardi con gli occhi tuoi, a rimirar perduti nell'immenso spazio che ti sta davanti in cui stipate stanno le cose senza vita
alle quali tu aneli, inutilmente, per soddisfare passioni, o desideri che pullulano nella tua mente
e le guardi con occhio ingordo e strabiliato pei colori sgargianti che hai veduti
balenar con impeto violento su lastre di specchi luminosi che l'un l'altro si rimandano
i mille bagliori di un raggio di luce, riflesso e poi riflesso, a ragion del vero, mentre è soltanto un raggio virtuale.
Le cose senza vita che tu vuoi te le può dar la destra,
o la sinistra, o forse il centro, dipende da come farai la croce sul segno che più ti piace, per eleggere i briganti illuminati
che oggi t'han dato importanza d'elettore, perchè sia tu l'artefice del lor successo, ambito per forgiare il segno del potere in uno scettro d'argilla, da elevarsi davanti alle masse d'ebeti fans, che gridano a gran voce nelle piazze il nome di un leader protettore:
Eroe di turno a cui donar le chiavi del tesoro, custodito in uno scrigno senza fondo
da cui prelevare in nero tangenti e regalie che di diritto spettano, si sa,
alle miriadi di padroni astuti
che san mangiar bene ed inebriarsi coi vini della gloria che a lor compete, senza curarsi dei miseri che piangon fame nei tuguri che fiancheggiano i palazzi dove stanno gli usurpatori del denaro che al popolo serviva per campare, molto più di una TIVU comprata a rate per gustarsi poi, la teatralità gratuita dei padroni che lì, recitano commedie,
interminabili, nauseanti come il fetor di morte, perchè costoro, ahimè, di morte parlano:
Che cosa guardi con gli occhi tuoi, a rimirar perduti, il fiume di sangue che scorre lento ancor caldo, di corpi appena morti,
uccisi dal potere assassino di sempre,
delle cosche che non si sa qual sia il numero e neppure a cosa mirino gli ordigni micidiali, per esplodere freddamente violenti
i colpi inauditi delle bombe che tuonano, per ammazzare sempre davanti alla gente i colpevoli dell'ordine che la civiltà ingaggia, confusi nel caos di diabolici intrecci,
dove al solito chi ha ragione ha torto, sicché non si sappia dov'è il vero, mai, e perisca quel raro portator di bene,
mentre viva il vile perchè assassinei il mondo.
Se ti passano innanzi agli occhi
le scene di un delitto che hai veduto, oppur le lagrime grondanti di un bambino, che ha visto il mondo bagnato di rosso col sangue del padre ucciso per strada;
Se hai visto una bimba, dolente nel seno per la violenza subita di un mostro imbecille, partorire un vagito da stringere al petto anche se sa qual frutto l'abbia fatto, tu, considera i mali che qui si ordiscono contro i più deboli, davanti alla forza
prorompente e inaudita delle mani che stringono intorno al collo catene feroci, più delle belve che un tempo abitavano le vergin foreste,
simili a palazzi d'oggi entro cui stanno belve in posta, per assalir la preda, povera cerbiatta,
tremante di paura davanti al buio,
vestendo costoro, vilmente maschera d'umani, per mostrar l'insolenza delle più gravi offese al socio civile di una cultura amica
che voleva imporre con una stretta di mano un patto di pace con ogni vivente,
ospite gradito di un pianeta chiamato terra e poi guardare il sorriso dal colore diverso di un bimbo che ha fame di uguale amore, di stesso pane, che egli porterebbe in bocca col gesto solito di tutte le genti,
che considerano quello il bene più vero, da frazionarsi in egual misura
con chi siede alla stessa sua mensa.
UN PUGNO DI TERRA