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G. Scuola di mutuo insegnamento, Orario

H.1- H.7 Scuola di mutuo insegnamento di Girolamo de’ Bardi, Regolamento

Tesi di dottorato di Vadalà Maria Enrica, discussa presso l’Università di Udine

Tesi di dottorato di Vadalà Maria Enrica, discussa presso l’Università di Udine

Tesi di dottorato di Vadalà Maria Enrica, discussa presso l’Università di Udine

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Tesi di dottorato di Vadalà Maria Enrica, discussa presso l’Università di Udine

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[Bibliografia del mutuo insegnamento]292

«Tutte le opere che sono state pubblicate in Francia sull’insegnamento mutuo, come ancora tutto quel che riguarda le scuole, si trovano a Parigi presso il signor L. Colas, stampator-libraio della Società per l’istruzione elementare, via du Petit-Bourbon-Saint Sulpice n. 14. Al primo ottobre 1818, il suo magazzino di libreria sarà stabilito nella via Dauphine n. 32».

«System of the British and Foreign School Society of London – Manuale del sistema adottato dalla Società delle scuole per l’Inghilterra, e per lo straniero, Londres, 1816

Abregé de la methode des écoles elementaires, ou Recueil pratique de ce qu’il y a de plus essentiel a connaitre pour etablir et diriger des ecoles élementaires, selon la nuovelle methode d’enseignement mutuel et simultané, Paris 1816. Questo lavoro è dovuto al signor Jomard, che ne ha impiegato il prodotto nella fondazione di una scuola a Versailles

Guide de l’enseignement mutuel, Paris 2. edit, 1818. Il signor Bally membro della Società di Parigi ne è l’autore

Directions pour les fondateurs et fondatrices et pour les maitres, et maitresses, des ecoles d’enseignement perfectionné, del signor Basset, Parigi 1817

Manuel pratique, pu Prècis de la methode d’enseignement mutuel pour les nouvelles écoles élementaires, redigé par M. Nyon, Parigi 1817».

«Le opere del dottor Bell, e quelle del signor Lancaster, sono state già tradotte e stampate molte volte in Germania, Ne sono state fatte numerose edizioni in diverse città. Sono stati anche pubblicati a Vienna molti estratti di articoli inseriti nel giornale di Educazione, che si pubblica a Parigi per le cure della Società. Ultimamente si è fatto stampare a Mauberge in lingua russa […] una traduzione del Manuale del signor Nyon».

Educazione popolare a Firenze nel secolo XIX: il Pio Istituto de’ Bardi e l’istruzione degli artigiani.

«Ed ordino particolarmente che la Libreria sia resa di pubblico uso» (Testamento solenne di Girolamo de’ Bardi, 1 gennaio 1829)

Premessa

L’impegno di Girolamo de’ Bardi per l’istruzione completa, negli anni della Restaurazione, il lungo percorso educativo avviato nel 1807 con l’apertura del Liceo, e prosegue, dopo la sua scomparsa, con l’attività dell’Istituto che per volontà testamentaria egli destinava agli artigiani. A partire dal 1818, anno di nascita della scuola di Mutuo insegnamento, la prima attiva a Firenze, il suo programma didattico testimonia l’evoluzione del concetto di educazione popolare nel primo trentennio del secolo XIX, accompagnandone gli sviluppi, attraverso l’attività dell’Istituto, nella prima fase di vita del nuovo Regno d’Italia e fin quasi alle soglie del nuovo secolo.

Nel Granducato di Toscana l’educazione popolare si era identificata inizialmente con la lotta all’analfabetismo, che l’insegnamento mutuo contribuì a combattere grazie alla diffusione del metodo simultaneo293, ma progressivamente si era assimilata al concetto di educazione al lavoro: promossa dagli intellettuali liberali come strumento indispensabile al progresso economico e al fiorire di nuove attività, questa idea favoriva l’apertura dell’istruzione di base alle discipline scientifiche, al fine di migliorare e perfezionare i processi produttivi. Si delineava, insomma, la definizione di un’educazione popolare intesa come istruzione artigiana e tecnica, che a Firenze trovava il suo alimento nel connubio storico tra arti e mestieri. La nascita del Pio Istituto de’ Bardi si colloca nell’ambito di questo processo, che affonda le sue radici nelle esperienze del Museo di Fisica e storia naturale e dell’Accademia delle Belle arti, ma anticipa di circa un ventennio l’intuizione di un vero e proprio curriculum tecnico-professionale autonomo, che si concretizzò soltanto nel 1847 con l’apertura della scuola artigiana di Candeli. Dalla morte di Girolamo fino alle soglie del nuovo secolo il Pio Istituto de’ Bardi, con la sua storia travagliata, attraversò tutte le fasi dell’educazione popolare, parte di un programma più generale di riforma della scuola pubblica, che a partire dalla metà del secolo assegnava all’istruzione tecnica, considerata come possibile strumento di modernizzazione del paese e veicolo di amalgama sociale, un ruolo di rilievo nel processo di unificazione nazionale.

Il sostantivo «tecnica», che comprendeva in sé il superamento delle differenti pratiche empiriche294, fu poco utilizzato fino a tutto il secolo XVIII, ma l’attardarsi nell’uso corrente delle tradizionali

293 Questo metodo, basato sul concetto di simultaneità dell’insegnamento, era stato adottato nelle scuole «normali» austriache e negli stati italiani dell’orbita austriaca o comunque interessati alla diffusione di un tipo uniforme d’insegnamento e di programmi; esso consentiva di affidare molti alunni alla guida di un solo maestro, raggruppandoli in «classi» in base all’età e alla capacità mentale. Fino a quel momento l’istruzione si era rivolta a gruppi non omogenei di alunni o ai singoli alunni, con insegnamento individuale e saltuario. Felbiger e Hänn perfezionarono il metodo e lo tradussero in un piano organico: cfr. Programma delle scuole normali per l’anno 1821. Su questi temi cfr. Dina Bertoni Jovine, Storia della scuola popolare in Italia, Torino, Einaudi, 1954; in particolare il capitolo II, La scuola normale.

294 Le varie tecniche meccaniche, tipiche delle arti e dei mestieri, che a loro volta avrebbero trovato un denominatore comune nella tecnologia, intesa come nuova metodologia scientifica. Osservazioni interessanti sulla semantica di

tecnica e tecnologia e sul passaggio dal plurale delle «tecniche» al singolare di «tecnologia» sono contenute in Jean

Baudet, De l’outil à la machine: histoire des techniques jusqu’en 1800, Paris, Vuibert, 2004, p. 307. L’autore segnala che il termine «tecnologia» era apparso fin dal 1606, giungendo a più esatta definizione nel 1777 in Germania con

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espressioni «arti meccaniche», «arti e manifattura», «arti e mestieri» ne rallentava ancora l’affermazione nei primi decenni del secolo XIX. All’epoca di Girolamo, il progetto di un’istruzione tecnica gratuita finalizzata alle attività manufatturiere rappresentava insieme il coronamento di una lunga tradizione toscana, di ascendenza leopoldina, che in nome della scienza

utile, rivolta alla pubblica utilità e all’eudemonismo, dirigeva le scoperte e le invenzioni alle

applicazioni pratiche, e il preannuncio di un orientamento didattico non ancora giunto a definizione nel territorio del Granducato. Il progetto di Girolamo può essere considerato innovatore per il riconoscimento di un ruolo autonomo all’istruzione tecnico-artigiana, che le pregresse esperienze fiorentine avevano inglobato in istituti culturali di natura diversa, essenzialmente dedicati alla sperimentazione, alla ricerca o anche alla didattica delle discipline scientifiche. Un’esperienza parallela, che influì certamente sull’elaborazione delle linee guida del Pio Istituto, fu l’esperimento del marchese Luigi Tempi, che aveva fondato nel 1828 una scuola di meccanica e geometria per i manifattori: ne fa cenno il discorso commemorativo di Arturo Linacher per il centenario della morte di Girolamo de’ Bardi, al quale si attribuisce il merito di averlo arricchito con «quella parte di scienza» che avrebbe reso gli artigiani «consapevoli de’ loro lavori, dando loro la soddisfazione di operare, pensando»295. L’esperimento Tempi, citato dal «Giornale agrario toscano», consisteva in un ciclo di lezioni «intorno ai princìpi scientifici che dirigono il pratico esercizio delle arti»296, che si ispirava al metodo di Charles Dupin, docente di Geometria e Meccanica applicata alle arti presso il Conservatoire des Arts et Métiers. Il marchese aveva commissionato ad Antonio Cioci297 la traduzione del corso di Dupin, affidandogli l’organizzazione delle lezioni, che si svolgevano con orario serale in via del Proconsolo. Cioci curò anche per l’«Antologia» la traduzione della prolusione di Dupin per l’anno accademico 1828, densa di riflessioni socio-economiche e morali, che esortava gli artigiani ad affrancarsi dalla carità pubblica incentivando la fondazione delle società di mutuo soccorso298. Probabilmente Girolamo aveva frequentato di persona le lezioni fiorentine, perché un biglietto rinvenuto nel suo archivio contiene la comunicazione che il 7 gennaio 1828 alle ore sei e trenta pomeridiane avrebbe avuto inizio, a cura di Antonio Cioci, «il Corso di geometria e meccanica applicata alle arti e mestieri del sig. Dupin ridotto nel nostro idioma»299. Benché fin dalla metà del secolo XVIII l’antica Accademia fiorentina del disegno tenesse corsi di orientamento professionale e pratico, con insegnamenti tecnici legati alle attività di bottega, che

Johann Beckmann, Anleitung zur Technologie oder zur Kenntnis der Handwerke, Fabriken und Manufacturen. Di J. Sebestik, autore che ha condotto un’approndita disamina della terminologia tecnica, si cita l’opera The rise of the

technological science, «History and technology», 1 (1983), n. 1, p. 25-44.

295 Arturo Linacher, Il conte Girolamo Bardi di Vernio, Firenze, Tipografia Ramella, 1930, p. 10. Il discorso fu pronunciato nella sede del Pio Istituto il 29 dicembre 1929.

296 «Il signor marchese Luigi Tempi fece dal signor Antonio Cioci tradurre in italiano le lezioni del Dupin, ed incaricollo di spiegarle in un intero corso d’istruzione in Firenze. In questo modo gli artisti di quella città impareranno a ragionare con fondamento; e l’agricoltura e tutte le arti otterranno in seguito istrumenti adattati alle circostanze e convenienti allo scopo: cfr. «Giornale agrario toscano», vol. 2, fasc. 5 (1828), p. 98, cit. anche in Dina Bertoni Jovine,

Storia della scuola popolare in Italia, Torino, Einaudi, 1954, p. 146.

297 Forse in rapporto di parentela con l’artista Antonio Cioci, scomparso nel 1792, che fu «pittore e sceglitore di pietre» per la decorazione e i mosaici della Galleria palatina, la cui importanza è stata rivalutata in anni recenti: cfr. Arte e

manifattura di corte a Firenze dal tramonto dei Medici all’Impero (1732-1815), a cura di Annamaria Giusti, Livorno,

Sillabe, 2006. Cfr. in particolare il saggio introduttivo alla mostra di Cristina Acidini Luchinat, Dall’antico Opificio

delle pietre dure, i mille messaggi della bellezza, p. 13-15, che esalta l’opera del Cioci per il rinnovamento dell’antica

manifattura, attraverso la «perenne ricerca del disegno più corretto, della composizione più equilibrata, del materiale più appropriato, del colore più suggestivo».

298 Per il discorso inaugurale di Dupin, tradotto da Antonio Cioci, cfr. Erudimento popolare, Cattedra di Geometria e

Meccanica applicata alle Arti, nel Conservatorio delle arti e de’ mestieri in Parigi. Discorso del Signor Carlo Dupin nell’esordire il corso dell’anno scolastico 1828, «Antologia», n. LXXXIX (maggio 1828).

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fornivano una preparazione artigianale funzionale alle arti cittadine300, una diretta applicazione della scienza e delle scoperte scientifiche al miglioramento delle industrie e delle manifatture era stata sperimentata nella nuova istituzione fondata da Pietro Leopoldo nel 1784, cioè quasi un decennio dopo la nascita del R. Museo di fisica e storia naturale: l’Accademia delle belle arti. L’idea che lo studio del disegno favorisse la rinascita di un’estetica artigiana, retaggio della tradizione rinascimentale, il cui esempio più insigne era rappresentato fin dall’età medicea dall’Opificio delle Pietre dure, incarnava tuttavia una visione dell’artigianato essenzialmente estetica301, che avrebbe condizionato l’evoluzione successiva delle arti e dei mestieri insegnati nell’Accademia. Il nesso arte-scienza e il nesso scienze applicate-insegnamento assumevano connotazione più precisa nel Museo di Fisica e storia naturale, benché le sue raccolte di strumenti scientifici si arricchissero essenzialmente attraverso gli acquisti in Francia e in Inghilterra (e in Germania ai tempi di Girolamo, specie per gli strumenti astronomici e metereologici)302. L’officina ceroplastica, attiva fin dal 1771, forniva un esempio eccelso di artigianato scientifico e artistico attraverso i suoi laboratori, ove si costruivano o si riproducevano macchine e strumenti e si preparavano modelli anatomici, botanici e zoologici a scopo di studio. Inoltre le vaste raccolte del Museo contribuivano alla definizione di un collezionismo scientifico inteso come supporto all’insegnamento e incentivo alla realizzazione di nuovi strumenti, più che come mero contenitore storico. La valorizzazione del sapere tecnico, ispirata dall’ideale illuministico di una conoscenza che conciliasse teoria e pratica, vi aveva trovato spazio fin dalle origini, conferendo al Museo fiorentino la capacità di orientare scelte strategiche per lo sviluppo economico del Granducato. Da un primo collezionismo sperimentale e didattico, incrementato dall’officina ceroplastica e dalla costruzione di macchine dimostrative delle leggi fisiche, particolarmente ottiche e meccaniche, si era passati all’utilizzo pratico di apparati tecnici e di macchine di nuova costruzione, concepiti per l’agricoltura e per le imprese e destinati al territorio, con incremento straordinario delle collezioni di strumenti tra il 1780 e il 1807. In particolare, tra il 1780 e il 1783 un forte impulso aveva ricevuto la fabbricazione di strumenti di chimica e di fisica e il restauro di strumenti e macchine per la fisica sperimentale, mentre tra 1782 e 1786 aveva preso piede la costruzione di strumenti metereologici, destinati al nascente osservatorio. Gli artigiani che lavoravano alle dipendenze del Museo si collocavano nel centro cittadino, tra via Romana e il Duomo, ma il Museo impiegava anche operatori giornalieri; si trattava essenzialmente di artigiani del legno e del ferro, privi di cognizioni teoriche, la cui formazione risultava nettamente inferiore a quella dei lavoranti attivi nei gabinetti di Fisica che Fontana e Fabbroni, predecessori di Girolamo nella direzione del Museo, avevano visitato in Inghilterra. Come ha osservato Simone Contardi, «chi costruiva le lenti per microscopi non aveva cognizioni di ottica, chi fabbricava pendoli o macchine per dimostrare la caduta dei gravi non era minimamente informato sulle basi della meccanica newtoniana»303. L’utilizzo di artigiani abituati a lavorare manufatti di genere completamente diverso mostrava i propri limiti, data la crescente

300Come la «manipolazione di pigmenti e colori, utile all’arte tintoria, ma prossima anche ai primi rudimenti della chimica». Di questi insegnamenti sopravvisse, «su più solide basi, la cattedra di meccanica applicata affidata a Giuseppe Pigri». Cfr. Renato Pasta, Scienza, politica e rivoluzione: l’opera di Giovanni Fabbroni (1752-1822)

intellettuale e funzionario al servizio dei Lorena, Firenze, Olschki, 1989, p. 11-12.

301 Corrispondente cioè all’«ottica leopoldina della produzione artigianale legata all’architettura e agli oggetti di moda o di lusso, alle pregiate manifatture eleganti e di buon gusto»: cfr. Anna Gallo Martucci, Il Conservatorio d’arti e mestieri

Terza classe dell’Accademia delle Belle Arti di Firenze (1811- 1850), Firenze, M.C.S., 1988. Le categorie artigiane

rappresentate nel Conservatorio erano quelle degli «argentieri, bronzisti, intagliatori in legno, doratori, stipettai, tappezzieri, carrozzieri, muratori, marmisti, scalpellini, legnaiuoli, magnani».

302 Resta da compiere un’indagine dettagliata sull’incremento degli strumenti scientifici del Museo di fisica e storia naturale al tempo di Girolamo de’ Bardi.

303 All’illustrazione degli strumenti è essenzialmente dedicata l’opera di S. Contardi, La casa di Salomone, cit.(qui cfr. p. 163, 192, 198). Giovanni Fabbroni aveva particolarmente caldeggiato l’acquisto di strumenti ottici di fabbricazione inglese, ritenendo che i costruttori fiorentini fossero in grado di fabbricare solo lenti semplici, non possedendo adeguate cognizioni sulla lavorazione del vetro.

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necessità di tecnologie applicate all’industria, che richiedevano precise competenze tecniche per innovare le arti e i mestieri tradizionali e per conseguire risultati significativi da un punto di vista scientifico. L’artigianato necessitava insomma di raccordarsi ai «buoni princìpi, guidati dal disegno, dalla geometria, dalla fisica e dalla chimica»304 e le conoscenze degli artigiani dovevano allargarsi alle teorie fisiche e al disegno; in particolar modo la chimica, applicata al settore delle industrie tessili e manifatturiere, divenne lo strumento fondamentale per la modernizzazione dell’economia. Le arti e i mestieri conobbero nuovo impulso negli anni francesi, ma con finalità sostanzialmente enciclopedica e documentaria, che prese corpo nell’istituzione di un Conservatorio di arti e mestieri aggregato all’Accademia delle Belle arti. Non si era ancora delineata un’istruzione in senso stretto tecnica, autonoma rispetto a finalità estetico-artistiche, illustrative o meramente didattiche, ma gli istituti d’istruzione continuavano ad assegnare un ruolo privilegiato ai corsi di disegno, che conobbero negli anni Trenta del secolo XIX grande diffusione305; nel 1859 il governo toscano avrebbe anzi istituito le Scuole elementari di disegno, che restarono in vita fino al trasferimento a Firenze della nuova capitale del Regno d’Italia306.

Il nuovo modello scolastico si definì soltanto nel 1850, dopo il ritorno degli Asburgo, con la creazione di un Istituto tecnico, al quale venne annesso un Museo tecnologico. Questa nuova istituzione si configurava all’epoca come potenziale erede del progetto educativo di Girolamo de’ Bardi, rimasto ancora inattuato a distanza di un ventennio dalla sua morte; l’ipotesi di costituire nella sua sede l’Istituto Bardi fu ventilata infatti, pochi anni dopo, dal ministro dell’Istruzione del Governo provvisorio toscano, Cosimo Ridolfi. Il direttore e preside dell’Istituto tecnico, Pietro Marchi, era stato anche l’ultimo direttore dell’Officina ceroplastica e il responsabile delle collezioni naturalistiche del Museo di Fisica e storia naturale; egli aveva proseguito l’attività del Museo all’interno della nuova istituzione, dando continuità alla tradizione fiorentina nella seconda metà dell’Ottocento grazie all’opera dei ceroplasti Giovanni Lusini ed Egisto Tortori, che realizzarono molti modelli di anatomia umana e comparata307. L’antico Museo di Fisica e storia naturale si dissolveva ormai, a un secolo circa dalla fondazione, migrando anima, insegnamenti e raccolte in un’altra istituzione fiorentina di fondazione recente, il Regio Istituto di Studi Superiori, ma una parte della sua eredità fu raccolta dall’Istituto tecnico toscano. La storia del Pio Istituto de’ Bardi, cioè la storia di un progetto che fu concepito da Girolamo con netto anticipo rispetto al primo compiuto esperimento di istruzione artigiana e alla nascita istituzionale di una vera e propria scuola tecnica, non può pertanto venir disgiunta dal resoconto delle vicende di questo stabilimento, che accolse nell’anno 1892, all’interno della sua nuova sede di via del Mandorlo (attuale via Giusti), le sue raccolte scientifiche. Soltanto pochi anni prima, nel 1888, esso aveva assunto la denominazione di Istituto tecnico Galileo Galilei308, che a Girolamo, entusiastico sostenitore della tradizione galileiana incarnata nell’Accademia del Cimento, sarebbe certamente apparsa come la più consona al principio ispiratore del suo collezionismo.

304 Così Giovanni Fabbroni nel «Giornale fiorentino di agricoltura», 1788, n. 14, p. 107-110, citato in R. Pasta, Scienza,

politica e rivoluzione, cit., p. 209.

305 Cfr. infra, capitolo Il mutuo insegnamento e il contributo di Girolamo de’ Bardi.

306 L’insediamento del Ministero delle Finanze nella loro sede, in Palazzo Buontalenti, ne causò materialmente la soppressione. Cfr. Averardo Pippi, L’Istituto tecnico di Firenze: la sua storia ed i suoi gabinetti, Firenze, Tipografia di Salvadore Landi, 1910 , pt. 1, p. 14.

307 Molti oggetti furono trasferiti dal Museo di Fisica e storia naturale all’Istituto tecnico. Tra questi va segnalata la bellissima collezione micologica in cera, proveniente dall’officina ceroplastica del Museo, realizzata da Luigi Calamai nella prima metà del secolo. Numerosi esemplari documentano l’anatomia umana e comparata e le malattie degli animali e delle piante, comprese le patologie infettive. Di particolare interesse è la documentazione dei parassiti di specie vegetali economicamente rilevanti (tra cui i funghi parassiti della vite, il frumento e del grano) e delle specie animali parassite dell’uomo e degli animali domestici. Per una dettagliata e affascinante illustrazione cfr. Le stanze

della scienza: le collezioni dell’Istituto tecnico toscano a Firenze, Firenze, Fondazione Scienza e tecnica, 2006, p. 82. 308 Nel 1974 l’Istituto si trasformò nell’Istituto statale per geometri Salvemini.

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1.1 Educazione artigiana e tecnica a Firenze nel secolo XIX. Dall’Accademia delle Belle arti

all’Istituto tecnico toscano: 1807-1888

Nel 1807, appena un anno dopo l’iniziativa di Girolamo de’ Bardi, suo amico, che aveva presentato alla Regina Reggente d’Etruria il progetto per l’apertura di un Liceo dedicato alla didattica scientifica, Giovanni degli Alessandri, presidente dell’Accademia delle Belle arti, presentò a sua volta alla sovrana un Piano generale d’istruzione, che attuava una prima riforma degli Statuti, ampliando i corsi di ornato e di disegno elementare di figura e liberalizzandone l’accesso. Del nuovo ordinamento e del progetto didattico, stampati da Carli & C. in Borgo S. Apostoli sotto il titolo Statuti e Piano d’istruzione per la Regia Accademia delle Belle arti di Firenze approvati con

sovrano rescritto del dì 10 giugno 1807, la biblioteca Bardi conserva una copia. Questo Piano d’istruzione fondava e organizzava nell’istituto nove scuole: di Architettura, Pittura, Scultura,

Anatomia, Ornato, Prospettiva, Incisione in rame, Matematiche, Storia e mitologia, dotandole di

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