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Il modo in cui Hannah Starkey (1971) si accosta alla fotografia e alla costruzione dell’immagine è paragonabile alle tipologie di lavoro di Wall precedentemente analizzate. Anche in questo caso si tratta di “staged photography”, dove l’artista, rifacendosi a un vissuto personale, rielabora momenti di quotidianità collaborando con attrici professioniste e non. Attrici, perché nel lavoro dell’artista di origini irlandesi106 compaiono principalmente figure femminili. Le sue composizioni fotografiche mostrano un confronto costante tra la soggettività del singolo con la vita moderna. Se le immagini di Jeff Wall presentano spesso figure assorte in determinati compiti o che compiono gesti che ci sollecitano a riflettere su contraddizioni e conflitti sociali, il lavoro della Starkey ruota intorno a stati d’animo, a sottili e appena percepibili dinamiche sociali, agli effetti psicologici che la realtà urbana causa al soggetto. Gli ambienti in cui queste figure si posizionano sono prevalentemente zone di passaggio, zone interstiziali come atri, corridoi, portici, sale d’attesa, mezzi pubblici, caffetterie, bar, posti in cui si è sospesi in una momentanea estraneazione dal reale o in attesa che accada qualcosa.

104

Ivi. p.229: “le persone non sono necessariamente personaggi; la folla anonima è una qualità fisica e dinamica del paesaggio urbano.” (traduzione della scrivente).

105 M. Lewis, Ibid.: “Descrive Zavattini, lo sceneggiatore e teorico neorealista italiano, come ‘qualcosa

come il Proust dell’indicativo presente’. Non posso pensare ad un modo migliore per descrivere Wall e la sua relazione fotografica con il tempo del quotidiano.” (traduzione della scrivente).

50

fig.14: Hannah Starkey, Untitled, May 1997, 1997

51 Come scrive Iwona Blazwick in A Modern Story (2007) a questo proposito: “They are public spaces for private moments.”107

In Untitled, May 1997 (1997) (fig.14) una ragazza seduta al tavolo di una caffetteria è intenta ad osservare qualcosa nello specchio sul muro alla sua destra, la parete del locale è curva e lo specchio sembra piegarsi sopra di lei. Con una mano pare voler toccare il suo riflesso. Lo specchio mostra allo spettatore un’altra figura. Una donna più anziana, con i capelli raccolti in grossi bigodini, è seduta al tavolino opposto, con un’espressione incredula e forse anche stizzita, osserva la giovane. Nel frattempo un autobus sfreccia fuori sulla strada, una sfuocatura rossastra incorniciata dalla finestra. Cosa sta facendo la ragazza? Non sta guardando in camera, non sta guardando se stessa, non sta guardando la signora dietro di lei o altri oggetti del locale, ma sta osservando una falena che tiene schiacciata con il dito indice della mano destra scontro lo specchio. La ragazza è completamente assorta nella contemplazione dell’animaletto, e sembra ignorare il fatto che un’altra persona la stia osservando. Un cerchio di sguardi ruota intorno alla farfallina, la ragazza, la donna e lo spettatore dell’immagine. Come afferma l’artista in un’intervista del 2008: “The mirror offers a plane where everything becomes visible, where exterior and interior realities come together. I think photograph can have the same effect. It can show both realities on the same plane, confounding space, time and memory.”108

Come inoltre suggerisce Craig Owens nel suo saggio Photography en

abyme del 1978109, la duplicazione di un immagine dentro un’altra immagine attraverso la presenza di uno specchio crea una “piega” all’interno della fotografia. Il doppio crea una traccia ulteriore nell’immagine fotografica stessa, così la presenza dello specchio diventa metafora del processo fotografico. Utilizzando questo espediente la Starkey vuole indicare allo spettatore la specificità del medium e l’aspetto compositivo e costruito della fotografia, anche se non in modo totalizzante, per evitare di distogliere l’attenzione dal carattere “near-documentary” dell’immagine (lo specchio è presente anche in altri lavori dell’artista come vedremo più avanti). Ritornando al momento rappresentato, l’incontro tra la signora e la ragazza, tra due differenti generazioni di donne (rafforzato dalle reminescenze anni sessanta dell’impalcatura di bigodini della

107

I. Blazwick, A Modern Story, in I. Kullman, L. Jobey, Hannah Starkey: photographs 1997 – 2007, Steidl, Göttingen 2007, p. i: “Sono spazi pubblici per momenti privati.” (traduzione della scrivente).

108

M. Gavin, Hannah Starkey: Written in light, in “Hotshoe”, June 2008, p.40: “Lo specchio offre un piano dove ogni cosa diventa visibile, dove le realtà interne ed esterne si congiungono. Penso che la fotografia possa avere lo stesso effetto. Può mostrare entrambe le realtà sullo stesso piano, fondendo spazio, tempo e memoria.” (traduzione della scrivente).

109

C. Owens, Photography en abyme, “October”, Vol. 5, Summer 1978, pp. 73-88,

52 donna) è in diverse occasioni affrontato dall’artista. In un lavoro precedente a questo,

Untitled, February 1997 (1997)110, all’interno di un autobus una donna ne guarda una

più giovane che è seduta poco più avanti di lei. La seconda sta guardando fuori dal finestrino mentre mangia distrattamente un hamburger da un sacchetto di carta. Anche in Untitled, October 1998 (1998) (fig.15), all’interno di una caffetteria o di un bar, sono accostate due figure femminili di età apparentemente differenti, se in questo caso si fronteggiano l’una di fronte all’altra. In un locale piuttosto scuro, il nostro sguardo incontra in un primo momento il volto illuminato di un’adolescente. Vestita di un’uniforme scolastica la ragazza sta guardando, con un’espressione mista tra l’annoiato e il preoccupato, la donna di fronte a lei. Di quest’ultima non vediamo il volto, ma il taglio di capelli e l’orecchino pesante ci fanno supporre che sia più matura della giovane, si potrebbe trattare forse della madre. In questo susseguirsi di confronti d’identità, d’indagini private, di percezione di se stessi attraverso lo sguardo sull’altro, la figurazione rimanda a campi più vasti di dinamiche sociali, dove l’individuo definisce se stesso attraverso il confronto con la società e dove la società definisce l’individuo confrontandolo con il gruppo. Lo sguardo fugace in un momento quotidiano può aprire riflessioni più generali sulla dimensione psicologica dell’identità del singolo, e in questo caso della donna, nel suo vissuto sociale. Come scriveva Simone Weil: “Considerare sempre le piccole cose come prefigurazione delle grandi.”111

Un’altra immagine datata febbraio 1997 mostra una donna anziana seduta in una camera da letto mentre guarda la sua immagine in uno specchio. Sorride a se stessa come in una manifestazione di consapevolezza. Nonostante questa espressione sia stata definita enigmatica da certa critica e abbia generato dubbi riguardo al suo significato112, sembra chiaro che l’intento dell’artista è quello di ricostruire un momento di riflessione intima di un soggetto di fronte all’immagine del proprio volto. Un momento di quotidianità di una donna. Con questo non si vuole svalutare il momento come tale, ma accentuare invece un contenuto che, per quanto semplice, è più rilevante di qualsiasi ipotesi di enigma o mistero.

Sempre con una serie di specchi ci si confronta in Untitled, March 1999 (1999) (fig.16), anche se il luogo rappresentato torna ad essere una zona interstiziale, un luogo di passaggio. In un bagno pubblico, di un ufficio o di un aeroporto o di un museo, non si trovano indizi per determinarne l’origine (da buon non-luogo che si rispetti), una donna

110 La maggior parte delle opere della Starkey sono senza titolo. 111

S. Weil, Quaderni, I (1941), Adelphi, Milano 1991, p. 184.

53

fig.16: Hannah Starket, Untitled, March 1999, 1999

54 è assorta in un momento di attesa. Lo studio e la consapevolezza del non-luogo nasce negli anni novanta con il testo di Marc Augé Non-Lieux del 1992, luoghi freddi e sterili di relazioni che la Starkey riesce a rappresentare attraverso le sue inquadrature razionali, con una presenza forte della geometria (raramente nelle sue immagini non è presente una superficie metallica). In un’intervista del 2006 l’artista dichiara che un punto di svolta per la sua ricerca artistica fu il catalogo della mostra “Pleasures and Terrors of Domestic Comfort” tenuta al MoMa nel 1991 (di cui si tratta nel primo capitolo di questa tesi). Nei suoi lavori i momenti d’intimità rappresentata perdono, però, la loro domesticità (a parte rari casi) e sono proiettati in ambienti collettivi e pubblici. Dalla casa, dal contesto raccolto, il momento quotidiano incisivo passa ad un contesto opposto, anonimo e asettico.

L’immagine che si stava analizzando mostra un lungo specchio appeso ad una parete di un bagno pubblico, su uno degli sgabelli imbottiti posti di fronte una donna è seduta e sembra giocare con un accendino. In primo piano della figura vediamo solo un braccio e una gamba, il resto è riflesso insieme all’ambiente e ad altre figure nello specchio, che funge dunque da seconda inquadratura. La mise en abyme figurata dal saggio di Owen si ripropone ancora nel lavoro di Hannah Starkey, qui non solo con un duplicato, ma, grazie alla presenza di altri specchi di fronte a quello iniziale, in un ripetersi infinito di nuove inquadrature. Mentre un’altra donna è intenta a sistemarsi i capelli davanti ad un lavandino, la nostra protagonista è in uno stato di pensierosa attesa. Come scrive Giovanni Gasparini in Interstizi e universi paralleli (1997), i luoghi interstiziali di passaggio, e le dinamiche sociali che ne scaturiscono, hanno un legame forte con la dimensione temporale nel concretizzarsi di “esperienze intermedie” (in-between/entre-

deux) nel quotidiano. L’attesa e la sosta sono da considerarsi tali, come situazioni di

transito tra una situazione presente ed una futura. “Nel caso dell’attesa” scrive Gasparini “che si tratti di semplice aspettare (waiting) oppure di un attendersi qualcosa (expectation), l’interstizio esprime la tensione del soggetto verso una configurazione della realtà futura.” 113

Le immagini prodotte dalla Starkey lavorano su questa tensione. Nel bagno pubblico il momento di attesa si appesantisce nella luce gelida, rimbomba sulle componenti metalliche e si riflette all’infinito negli specchi e nelle superfici lucide. In Untitled, September 1999 (1999) (fig.17) uno schermo verticale divide l’immagine in due metà, proponendo da principio una situazione di frattura. Lo spazio, con i cartelli di

113

G. Gasparini, Interstizi e universi paralleli: una lettura insolita della vita quotidiana, Apogeo, Milano 2007, p.31.

55 divieto fumatori e l’estintore rosso appeso in un angolo, sembra essere un istituto pubblico o privato, forse una struttura scolastica, dati i soggetti che la frequentano. Nella metà sinistra, sul fondo scuro dello schermo, quattro adolescenti sono sedute intorno ad un tavolo, con le braccia incrociate e gli occhi abbassati. Si percepisce una tensione, una barriera di corpi, un gruppo chiuso. Sul lato destro, sullo sfondo bianco si staglia una quinta ragazza dalla felpa rossa, che cerca di tentare un approccio con le altre ragazze. Il gruppo è però unito dal tavolo, dai colori comuni dei vestiti, tutti tendenti al blu. Siamo di fronte ad un’esperienza ordinaria di vita adolescenziale, dove le relazioni sociali si vivono in modo drammatico. Questa dinamica di separazione dell’individuo dal branco compare in diverse scene di gruppo della Starkey. In queste un soggetto protagonista è sempre lasciato in disparte, si distingue spesso per il vestiario, ma in ogni caso è posto sotto i riflettori. Ciò accade infatti anche in Untitled

August 1999 (1999) (fig.18). Attorno ad una porta illuminata di un’istituzione non

identificabile, un gruppo di cinque donne anziane ne attende l’apertura. Mentre quattro di loro sono in oscurità, una è posta direttamente sotto la luce. La protagonista indossa un abito lungo smanicato con il tessuto a stampa leopardata. L’artista mette sotto i riflettori un’età in cui la donna, come genere, viene messa da parte dalla società per la vecchiaia e l’aspetto corpulento. Come scrive Iwona Blazwick nel suo saggio sull’artista del 2007: “By focusing on the single figure, Starkey lends her an aura of unselfconscious glamour and an unexpected beauty.”114

In Untitled (1998) (fig.19) una ragazza dai lunghi capelli biondi e seduta in una tavola calda, davanti ad una grande finestra bagnata da goccioline di pioggia. Con un gomito appoggiato al tavolo, il busto della figura è ruotato verso il vetro, impedendo così la vista del volto allo spettatore. In molti lavori, soprattutto quando si tratta di riprese di soggetti singoli, le donne della Starkey sono rappresentate di schiena, come a nascondere la propria personalità. È stato sostenuto più volte dall’artista che le figure presenti nei suoi lavori non hanno l’interesse di mostrarsi come identità precise: “I’m not interested in making a particolar portrait of a particolar woman. I’m interested in the

114Iwona Blazwick, A Modern Story, in I. Kullman, L. Jobey, Hannah Starkey: photographs 1997 – 2007,

op. cit., p. iv: “Concentrandosi sulla singola figura, Starkey le dona un’aurea di spontaneo fascino e una bellezza inaspettata” (traduzione della scrivente).

56

fig.18: Hannah Starkey, Untitled August 1999, 1999

57 type.”115 Ciò è implicato nella tipologia stessa della tecnica di lavoro, l’interesse nel ricreare momenti quotidiani tipo, generici, senza connotati precisi e dettagliati né dei luoghi né delle persone. Le figure rappresentate sono delle comparse generiche in uno scenario ordinario, caratteristica che sembra rimandare alla fotografia documentaria, invece per le necessità dell’artista l’uso della “staged photography” diventa determinante. Afferma infatti in un’intervista:“I am interested in the process of redefining the real, and staged photography seems to allow for an interpretation of the real – real time and how it is experienced both internally and externally. It reinforces our perception of ourselves in relation to the outside world.”116

La posizione della ragazza dell’immagine che stavamo leggendo può aprire un altro ambito d’indagine. Con la mano portata al capo per reggerlo, la giovane donna guarda fuori dalla finestra. Il gesto può essere associato ad un temperamento malinconico, stato d’animo che percorre diverse figure nelle composizioni della Starkey. Come sostine Benjamin nel Il dramma

barocco tedesco117(1929), la malinconia diventa il carattere fondamentale della personalità moderna. I soggetti con indole malinconica guardano con uno sguardo abbattuto un mondo che ormai a perso qualsiasi significato, la malinconia si manifesta per lui nello sguardo sul passato. Ciò che in Benjamin figura come una rovina, come un mondo decaduto, diventa nelle immagini della Starkey l’ambiente freddo, duro e lucido degli ambienti post-moderni, o sur-moderni per citare Atgè, delle zone interstiziali in cui colloca le sue figure.

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