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«Se c’è un modo per sottrarsi all’influenza del potere,

questo è la scienza. Magari proprio la scienza del potere, che diviene allora una dottrina pura dello Stato e del diritto»

da Hans Kelsen, Formalismo giuridico e teoria pura del diritto

Analizzare il Kelsen del periodo weimariano potrebbe significare, in un primo momento, raccogliere le sue opere pubblicate in quei quattordici anni, selezionarle in base ai temi trattati e inquadrarle nel momento storico in cui hanno preso vita. Tuttavia, sebbene tale arco temporale non sia poi così lungo rispetto ai numerosi anni della sua produzione scientifica, l’analisi del lavoro svolto nel periodo weimariano da Kelsen necessita di una premessa sia a livello biografico sia a livello scientifico sul Maestro di Vienna.503 Ciò, in quanto le opere “weimariane” di Kelsen sono il frutto di una storia personale, professionale e intellettuale precedente, discendono da un dibattito giuridico, politico e filosofico pregresso, si sviluppano gradualmente in base alle contingenze storiche e molti di questi scritti costituiscono i pilastri delle teorie di un pensatore eclettico, e ormai imprescindibile, come Kelsen: la teoria “pura” del diritto, la teoria della democrazia e la teoria costituzionale. Teorie, queste, che nascono proprio per rispondere alle domande intorno al diritto, alla democrazia e alla costituzione sorte all’alba della Repubblica di Weimar.

503

I dati concernenti la vita e le opere di Kelsen evidenziati nel presente capitolo sono tratti principalmente da F. Riccobono, Hans Kelsen, in Novecento filosofico e scientifico. Protagonisti, a cura di A. Negri, Milano, 1991, pp. 99-124, Id., Voce Kelsen, Hans, in Treccani Filosofia, vol. I., Roma, 2008, pp. 536-538, in cui oltre alla parte biografica, presenta una lucida sintesi del pensiero kelseniano nella sua declinazione filosofico-giuridica e in quella filosofico-politica, Id., La dottrina pura del diritto

di Hans Kelsen, in A. Ballarini et alia, Prospettive di filosofia del diritto del nostro tempo,Torino, 2010,

p. 219-243, in cui è disponibile anche un’essenziale biografia di Kelsen (ivi, p. 219, in nota), C. Jabloner,

Hans Kelsen. Introduction, in J. Jacobson-B. Schlink (eds.), Weimar, cit., pp. 67-76. Al riguardo, cfr.

l’indispensabile saggio di R.A. Métall, Hans Kelsen, Leben und Werk, Wien, 1969 e il più recente contributo di N. Bersier Ladavac, Hans Kelsen (1881-1973). Biographical Note and Bibliography, in «European Journal of International Law», n. 9, 1998, pp. 391-400. Circa le opere di Kelsen, in particolare, non può sfuggire la monumentale opera omnia di Hans Kelsen, Hans Kelsen Werke, Bände I- V, Herausgegeben von Matthias Jestaedt in Kooperation mit dem Hans Kelsen-Institut, Tübingen, 2007 ff., tuttora in fase di realizzazione, per un’analisi della quale si rimanda a M.G. Losano, Verso la

pubblicazione dell’opera omnia di Hans Kelsen, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», vol.

2, 2006, pp. 547-555. Oltre ai due scritti autobiografici di Kelsen, inclusi nel primo volume dell’opera pubblicato nel 2007, la Hans Kelsen Werke, è composta attualmente da cinque volumi che coprono le pubblicazioni del giurista viennese dagli esordi sino al 1922; in totale, è prevista la pubblicazione di trentacinque volumi ‒ a cura del Prof. Jestaedt, docente di diritto pubblico presso la Albert-Ludwigs- Universität di Freiburg im Breisgau e animatore della Hans-Kelsen-Forschungsstelle e coadiuvata dall’Hans Kelsen Institut di Vienna ‒ in cui raccogliere solo i testi kelseniani già pubblicati, seguendo l’ordine cronologico delle edizioni originali (la prima edizione nella lingua di stampa).

Pertanto, non solo non risulta banale, ma diventa necessario ripercorrere, sebbene brevemente, le strade, diverse, che hanno portato Kelsen alla costruzione ed alla realizzazione delle sue teorie, le quali fomentano il dibattito giusfilosofico che caratterizza l’epoca di Weimar, offre soluzioni alla sua crisi, sviluppa concetti e dottrine esistenti e produce innovazioni che risulteranno fondamentali nel periodo post-bellico per le democrazie future.

Hans Kelsen (Praga, 11 ottobre 1881 – Berkley, 19 aprile 1973)504 nasce in una modesta famiglia borghese a Praga, la quale si trasferisce a Vienna presto, ove egli supera i suoi esami del Ginnasio nel 1900, studia giurisprudenza e consegue il titolo di

Doctor iuris nel 1906. Al 1905 risale la sua prima pubblicazione, una monografia sul

pensiero giuridico di Dante (rielaborazione della sua tesi di laurea), Der Staatslehre des

Dante Alighieri (La Teoria dello Stato di Dante Alighieri).505 Nel 1908 coglie

504

Fino al 2006, di Kelsen esisteva solo la biografia pubblicata dal suo allievo Rudolf Aladár Métall nel 1969, redatta con l’ausilio del diretto interessato, in cui Métall si riferisce ad un testo autobiografico inedito, messogli a disposizione dal suo maestro. Una copia di questo viene dapprima reperito negli USA in occasione della raccolta del materiale per l’opera omnia di Kelsen e poi pubblicato in una edizione non commerciabile nel 2006 (Hans Kelsen in Selbstzeugnis, Sonderpublikation anlässlich des 125. Geburtstages von Hans Kelsen am 11. Oktober 2006. Herausgegeben von Matthias Jastaedt in Kooperation mit dem Hans Kelsen-Institut, Tübingen, 2006) ‒ per il centoventicinquesimo anniversario della nascita del padre della teoria pura ‒, inclusa nel primo volume dell’opera omnia nel 2007 e infine tradotta in italiano nel 2008 (H. Kelsen, Scritti autobiografici, traduzione e cura di M.G. Losano, Reggio Emilia, 2008); il “volumetto” italiano presenta una prefazione di Losano sui rapporti di Kelsen con del Vecchio, Treves e Bobbio e sul viaggio di Kelsen in Sudamerica, due scritti autobiografici di Kelsen, di cui uno del 1927 ha la forma di un curriculum dettagliato e un altro concluso nel 1947 è una autobiografia del giurista viennese (la stessa cui Métall si riferisce nella sua biografia), le sole note di stampo storico- culturali aggiunte dal curatore tedesco Matthias Jestaedt, un albero genealogico della famiglia Kelsen con tanto di dati circa vita e attività di Kelsen in ordine cronologico e un’iconografia del Kelsen diversa da quella ufficiale.

505

H. Kelsen, Staatslehre des Dante Alighieri, Wien-Leipzig, 1905, traduzione italiana di W. Sangiorgi e introduzione di V. Frosini, La teoria dello Stato in Dante, Bologna, 1974. «Nel 1907 Arrigo Solmi aveva dedicato un contributo a Die Staatslehre des Dante Alighieri, l’opera giovanile di Kelsen, pubblicata da Deuticke nel 1905 [A. Solmi, H. Kelsen. Die Staatslehre des Dante Alighieri, in «Bollettino della Società Dantesca italiana», 2, pp. 98-111, ristampato in Id., Il pensiero politico di Dante, Firenze, 1922, pp. 109- 134]. Kelsen interprete di Dante aveva quindi già destato l’attenzione critica di uno studioso italiano, ma l’eco che in Italia si ebbe della prima monografia del giurista austriaco fu sorprendente, come sorprendenti potevano apparire gli interessi del giovane Kelsen: eccezion fatta per lo scritto di Solmi, l’eco fu nulla. Die Staatslehre des Dante Alighieri rimase circondata da un silenzio che perdurò sino alla fine degli anni Sessanta» (A. Merlino, La recezione di Kelsen in Italia: Santi Romano e Giuseppe

Capograssi, in L. Campos Boralevi (a cura di), Challenging Centralism. Decentramento e autonomie nel pensiero politico europeo, Firenze, 2011, p. 215). A tale proposito, a questi anni e a quelli

immediatamente successivi, risalgono due saggi di interpreti italiani sull’opera de qua e la sua traduzione italiana con introduzione di Frosini, per cui cfr. V. Frosini, Kelsen e Dante, in «Scritti in onore di Antonino Giuffré, vol. I, Milano, 1967, pp. 519-522, H. Kelsen, La teoria dello Stato in Dante, cit. e F. Riccobono, Gli inizi di Kelsen: La teoria dello Stato in Dante, in «Rivista internazionale di filosofia del diritto», 1976, 2, pp. 261-289, saggio riproposto in Id., Interpretazioni kelseniane, Milano, 1989, pp. 1- 32: «“Sicuramente niente di più che una esercitazione scolastica scarsamente originale” ‒ così Kelsen definì più tardi il suo primo lavoro (…). Il destino, cui Die Staatslehre des Dante Alighieri andò incontro, sembra confermare il giudizio dell’autore: dopo una positiva accoglienza, l’opera si ritrova presso la più accreditata critica dantesca soltanto in citazioni marginali anche laddove, per la sua angolazione specificamente giuridica, avrebbe potuto essere più largamente utilizzata. Né maggiore fortuna ha avuto presso gli studiosi del pensiero kelseniano, come prova il ristrettissimo spazio che vi dedica R.A. Métall

l’opportunità di studiare e proseguire la ricerca ad Heidelberg, sotto la guida di Georg Jellinek ‒ tra i più grandi giuspubblicisti di quei tempi ‒, sulla teoria generale dello Stato. Kelsen giunge alla notorietà nel mondo della filosofia del diritto nel 1911, quando pubblica la sua prima grande opera, Hauptprobleme der Staatsrechtslehre entwickelt

aus der Lehre vom Rechtssatze (Problemi fondamentali nella teoria del diritto pubblico

esposti a partire dalla dottrina della proposizione giuridica). Qui, pone le basi per la costruzione della sua teoria del diritto, segnando una svolta nella scienza giuridica ‒ il cui oggetto di studio smette di essere il diritto privato (riferimento dell’autonomia delle parti contraenti), a favore del diritto pubblico (sino ad allora tacciato di esprimere la volontà arbitraria del legislatore) ‒ e l’avvio di un progetto teorico che porta alla fondazione della Scuola di teoria del diritto di Vienna, in cui il Maestro e diversi suoi colleghi ed allievi elaboreranno lungo gran parte del Novecento la sua dottrina. Nello stesso anno appare la meno nota ma considerevole Über Grenzen zwischen juristischer

und soziologischer Methode (Sui limiti tra il metodo giuridico e quello sociologico), in

cui Kelsen riassume i postulati metodologici contenuti in Problemi fondamentali.

Sempre nel 1911, Kelsen ottiene l’abilitazione all’insegnamento universitario per il diritto pubblico e la filosofia del diritto e durante il primo periodo di docenza, intorno agli anni Venti, la sua produzione scientifica sarà concentrata soprattutto sulla teoria della democrazia e sulla critica del marxismo.506

In tale periodo, il giurista praghese è impegnato sia in ambito scientifico, essendo nominato nel 1918 professore di diritto pubblico nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Vienna e pubblicando diversi scritti, sia in quello politico, in qualità di operatore giuridico, divenendo nel 1919 consigliere legale del governo austriaco e contribuendo, su invito del cancelliere Renner, alla redazione della Legge Costituzionale Federale per la Repubblica austriaca del primo ottobre 1920, progettando l’istituzione, senza precedenti nella storia, di una corte costituzionale con la funzione di sindacato di legittimità costituzionale delle leggi, assurgendo a “legislatore negativo”.

Da qui, iniziano per Kelsen anni di alto impegno istituzionale, venendo eletto nel 1921 giudice vitalizio della Corte costituzionale austriaca, assolvendo alla sua carica in totale autonomia dai partiti politici, pur sposando le posizioni socialdemocratiche. La costruzione delle basi teoriche e costituzionali della corte costituisce un impegno costante del giurista praghese. Raggiunge, altresì, ottimi risultati sul piano accademico, ricoprendo il ruolo di decano della Facoltà di Giurisprudenza nel biennio 1921-22.

Kelsen è soprattutto un giurista, «che proviene dalle regioni di confine del giuridico, da discipline, come il diritto costituzionale e il diritto internazionale, esposte

nella sua biografia di Kelsen. Può risultare dunque utile una lettura di queste prime pagine kelseniane, per poterne verificare l’effettivo valore e cogliervi eventuali collegamenti con la problematica giuridica ed ideologica del Kelsen più maturo» (ivi, p. 1).

506

Cfr. G. Pecora, Il pensiero politico di Kelsen, Roma-Bari, 1995, p. 4, il quale rileva la “simultaneità” di tali scritti anche nel suo precedente La democrazia di Hans Kelsen. Un’analisi critica, Napoli, 1992.

più di ogni altra alle tentazioni del politico».507 Ma risulta un teorico del diritto, anche quando analizza la politica. Fedele all’idea di Stato come ordinamento giuridico, egli ritiene che la scienza giuridica sia competente circa la materia statuale. D’altronde, Kelsen propone le sue teorie, quella politica e quella giuridica, sempre come scientifiche o avalutative e non come filosofiche o valutative, sebbene quale teorico della democrazia sia più discusso da filosofi politici e storici delle dottrine politiche, piuttosto che dagli scienziati politici.508

Il primo Kelsen vive in una situazione politica in cui la democrazia non indica più il valore condiviso come per gli intellettuali in Europa dello scorso secolo, né un concetto da analizzare empiricamente, quanto piuttosto l’oggetto principale del dibattito tra le due guerre. Peraltro, le opere di Kelsen sulla democrazia sono valutate più per la difesa delle deboli istituzioni parlamentari in Austria e in Germania, suscettibili di essere attaccate sia dalla destra nazionalista e nazista, sia dalla sinistra marxista e filosovietica, che per l’analisi filosofica dei concetti politici.509

Sarà proprio Kelsen, tuttavia, in Sulla nascita della Dottrina pura del diritto a dichiarare di essersi sempre occupato di questioni di teoria politica accanto a quelle di dottrina giuridica e statale.510

Ciò risulta maggiormente dalle sue opere sulla teoria della democrazia dagli anni Venti in poi.

Nel 1920, pubblica la prima edizione di Vom Wesen und Wert der Demokratie (Essenza e valore della democrazia), esponendo da costituzionalista i principi giuridici, politici e filosofici alla base della democrazia moderna.

A Vienna, Kelsen si preoccupa principalmente di mantenere un minimo di continuità nelle istituzioni, attesa la profonda trasformazione del sistema costituzionale austriaco, come si evince in Democrazia nell’amministrazione.511

Sul piano scientifico, nel 1925, si segnalano due opere rilevanti circa la produzione kelseniana.

Nell’ambito del diritto pubblico, Allgemeine Staatslehre (Teoria generale dello Stato) è un’opera confinata nella teoria statale di Kelsen come fenomeno giuridico, in cui egli offre un notevole contributo alla Dottrina dello Stato e descrive la politica quale etica sociale e tecnica, o più specificatamente per un verso, quale filosofia politica, normativa o valutativa, concernente scopi politici, e per un altro, quale scienza avalutativa della politica, riguardante i mezzi necessari al raggiungimento di quegli scopi.512

507

M. Barberis, Introduzione a H. Kelsen, La democrazia, a cura di M. Barberis, Bologna, 1995, p. 8.

508

Ivi, pp. 19-20.

509

Ivi, p. 21.

510

H. Kelsen, Sulla nascita della Dottrina pura del diritto (1927) in Id. - R. Treves, Formalismo

giuridico e realtà sociale, a cura di S.L. Paulson, Napoli, 1992, p. 31.

511

Cfr. R. De Capua, Hans Kelsen e il problema della democrazia, Roma, 2003, p. 29.

512

H. Kelsen, Dottrina dello Stato, Napoli, 1994, passim. Mentre General Theory of Law and State del 1945 mostrerà l’intera teoria dello Stato kelseniana all’interno della sua teoria giuridica, venendo definita un’opera “magistrale” di scienza giusfilosofica e politica, che recupera alcune teorizzazioni politiche

Nell’alveo della teoria democratica, Il problema del parlamentarismo del 1925 è l’opera in cui Kelsen afferma la saldezza del rapporto tra democrazia e parlamentarismo e rileva un contrasto tra il concetto democratico della identità di governanti e governati, che legittimerebbe soltanto la democrazia diretta, e il contesto moderno della divisione del lavoro, che pretenderebbe la democrazia rappresentativa.

L’ultima parte di tale contributo, in cui Kelsen si scaglia contro Schmitt, e gli scritti del 1926, l’articolo Zur Soziologie der Demokratie (sulla sociologia della democrazia) e la relazione al quinto congresso dei sociologi tedeschi Democrazia approntano il maggiore contributo di Kelsen sulla democrazia, ossia la seconda edizione di Essenza e valore della democrazia del 1929, dall’impianto teorico quasi immutato rispetto alla prima edizione,513 in cui sono rielaborati temi già affrontati, ma portati ad uno stadio ulteriore di astrazione.

Nel 1929, Kelsen pubblica anche il saggio Juristischer Formalismus und Reine

Rechtslehre (Formalismo giuridico e teoria pura del diritto), ove intende difendere il

proprio metodo dalle critiche mossegli. Il contributo punta dritto verso la battaglia sui metodi e i fini (Methoden- und Richtungsstreit) nella Repubblica di Weimar. Nell’ambiente politico incandescente del periodo weimariano, Kelsen è un protagonista degli aspri dibattiti circa il diritto pubblico. Dietro la battaglia succitata si celano differenze politiche e rancori personali. La teoria normativa dello Stato di cui alla teoria pura è attaccata a destra e a sinistra. Il suo formalismo è denunciato dai conservatori come “liberalismo” e dai marxisti come “fascismo”.514

Nel periodo di tale pubblicazione, la democrazia austriaca affronta un periodo critico antecedente alla revisione costituzionale del 1929: muta la situazione politica viennese per lo squilibrio del sistema politico e costituzionale che dal 1918 sino a quel momento si è retto sul partito cristiano-sociale e su quello socialista. Ciò comporta notevoli problemi a Kelsen, il quale viene costretto a dimettersi dall’incarico alla Corte costituzionale austriaca e lascia volontariamente quello all’Università.515

La dimostrazione del’insofferenza di Kelsen per il mutamento avvenuto è offerta nei suoi stessi scritti sulla democrazia, in cui il giurista viennese non manca di evidenziare la «funzione insostituibile dei partiti politici» e la «esigenza di mantenere l’azione del partito di governo entro limiti che risultino accettabili anche per il partito all’opposizione».516

usate precedentemente (G. Pecora, Il pensiero politico di Kelsen, cit., p. 88). Per un approfondimento del Kelsen impegnato nel diritto pubblico, si veda M. Jestaedt (Hrsg.), Hans Kelsen und die deutsche

Staatsrechtslehre, Tübingen, 2013.

513

Cfr. G. Gavazzi, Introduzione a H. Kelsen, La democrazia, a cura di G. Gavazzi, Bologna, 1981, p. 12.

514

C. Jabloner, Hans Kelsen. Introduction, in J. Jacobson-B. Schlink (eds.), Weimar, cit., p. 70.

515

M.G. Losano, Presenze italiane in Kelsen, in H. Kelsen - U. Campagnolo, Diritto internazionale e

Stato sovrano, a cura di M.G. Losano, Milano, 1999, pp. 30-31.

516

P. Petta, Presentazione a H. Kelsen, Il primato del parlamento, a cura di C. Geraci, Milano, 1982, p. XIV.

Nel 1929, Kelsen lascia Vienna, in seguito allo scioglimento della Corte costituzionale proposta dal partito cristiano-sociale e all’offensiva dei suoi colleghi universitari. Così accetta l’offerta della cattedra di diritto internazionale all’Università di Colonia ‒ che abbandonerà nel 1933, venendo destituito dal governo nazista per le sue origini ebraiche.517

Quello di Kelsen in Germania è un tempo fatto di soddisfazioni a livello accademico nell’Università di Colonia, ove viene chiamato grazie al collega Fritz Stier- Somlo, sino al 1933, quando ormai la crisi della democrazia weimariana trova il proprio culmine nella nomina a cancelliere di Hitler, tanto quanto la carriera di Kelsen all’Università che lo licenzia senza nemmeno il riconoscimento della pensione. Ciò, peraltro in maniera illegittima, atteso che Kelsen non risulta più iscritto al partito socialdemocratico, nel momento in cui viene applicata la norma del 1933 sul pubblico impiego che prevede l’allontanamento degli iscritti alla socialdemocrazia dagli incarichi pubblici. Così i suoi colleghi intervengono attivamente in suo favore, domandando alle autorità il ritiro del provvedimento di “congedo” ai danni del giurista i cui scritti, tra l’altro, manifestano persino una critica al marxismo. Ma tale protesta non raggiunge l’obiettivo sperato ‒ ed è questo il dato interessante ‒ per la mancata firma sulla richiesta collettiva di reintegrazione proprio del professore universitario che prende il posto di Stier-Somlo grazie alla benedizione di Kelsen, al quale non ricambia il favore: Carl Schmitt.518

Se Kelsen, infatti, mette da parte l’avversione intellettuale nei confronti di Schmitt, appoggiando l’assegnazione della cattedra al suo “avversario”, quest’ultimo, invece, traduce il suo antagonismo teorico sul piano personale, provocando la cacciata del suo “nemico”.519

Nel periodo vissuto a Colonia, Kelsen si concentra sulla polemica con Smend per il suo Costituzione e diritto costituzionale del 1928, cui risponde con Der Staat als

Integration del 1930 e su quella con Schmitt per il suo Custode della costituzione del

1931, cui replica con Chi deve essere il custode della costituzione?, quest’ultimo annoverabile tra le opere sulla democrazia. Ciò sulla base dell’osservazione che il vero oggetto della disputa tra gli autori non è propriamente la giustizia costituzionale, ma la forma di governo. La querelle tra Kelsen e Schmitt, tra l’altro, prima dell’avvento di Hitler al potere ‒ con cui Schmitt diventa presidente dei giuristi nazionalsocialisti ‒ rimane nei confini della democrazia, in quanto la proposta di Schmitt di concedere poteri eccezionali al Presidente al fine di evitare l’approdo nazista al potere trova il

517

Cfr. F. Riccobono, Voce Kelsen, Hans, p. 536 oppure Id., La dottrina pura del diritto di Hans Kelsen, cit., p. 219 in nota e M.G. Losano, Presenze italiane in Kelsen, cit., p. 32.

518

R. De Capua, Hans Kelsen e il problema della democrazia, cit., pp. 31-32.

519

M.G. Losano, Presenze italiane in Kelsen, cit., p. 34 e M. Barberis, Introduzione a H. Kelsen, La

favore di tanti sostenitori della democrazia e non per un’adesione da parte di Schmitt ad una forma plebiscitaria di democrazia.520

Con Chi deve essere il custode della Costituzione? ‒ «uno degli scritti più significativi della polemica liberal-democratica di Kelsen»,521 un saggio «feroce come non mai», in cui la polemica dottrinaria kelseniana si colora «di passione politica»522 ‒ Kelsen si rivela nelle dispute dottrinali sempre «un avversario tagliente e feroce» anche se, sul piano personale, riconosce i meriti intellettuali dell’avversario.523

Per Kelsen garanzia della costituzione equivale a certezza di non oltrepassamento dei propri limiti, i quali necessitano di una sorveglianza da parte di soggetti diversi da coloro i quali hanno la possibilità di valicarli. Il potere di controllo non può essere assegnato al Parlamento che potrebbe minacciare con i propri atti di violare la Costituzione, né al Governo che potrebbe peccare di imparzialità risultando potenzialmente giudice e imputato al contempo, ma ad “una terza obiettiva istanza” al di sopra di Parlamento e Governo, “titolare di un potere neutrale”.524

La polemica con Schmitt, il quale sin dal periodo weimariano teorizza,

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