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L’infezione da Helicobacter pylori (H. pylori) è la causa più comune della gastrite cronica ed è coinvolta nell’eziopatogenesi dell’ulcera peptica (gastrica e duodenale), nell’adenocarcinoma gastrico e nel maltoma (Helicobacter pylori di Pace e Vigneri).

Il batterio fu descritto per la prima volta nel 1892 quando Giulio Bizzozero, patologo dell’Università di Torino, studiando lo stomaco di alcuni animali riconobbe al loro interno batteri spiraliformi. Trascorse, però, oltre un secolo prima che due ricercatori australiani, Marshall e Warren, dimostrassero per la prima volta una correlazione tra questi bacilli ricurvi (dapprima classificati nel genere Campylobacter) e la patologia peptica gastrica. Il batterio fu classificato correttamente nel genere

Helicobacter soltanto nel 1989. Nel 2005 i due ricercatori australiani hanno ricevuto il

premio Nobel per la medicina per le importanti conseguenze che la loro scoperta ha apportato in ambito scientifico e clinico.

Il batterio Gram negativo di circa 6 x 0,35 micron (Figura 1.16), nelle colture fresche assume una forma a spirale che, a lunghi tempi di crescita, si trasforma in sferica (coccoide). Presenta multipli flagelli unipolari che terminano con un bulbo e una vivace motilità a spirale che gli permette di penetrare, attraverso il muco, entro le cripte ghiandolari gastriche. È microaerofilo e la sua crescita in coltura richiede un mezzo arricchito, un’atmosfera povera di ossigeno ed una temperatura ottimale di 37°C.

Figura 1.16: Immagine di H. pylori al microscopio elettronico 1.2-1a Epidemiologia dell’infezione

H. pylori infetta indistintamente maschi e femmine e la sua diffusione è

ubiquitaria. Sebbene la sua presenza sia endemica, si possono osservare differenze significative nella prevalenza sia tra gruppi di individui nello stesso paese sia nei differenti paesi. In generale, è ormai dimostrata una maggiore prevalenza

dell’infezione nei soggetti appartenenti a livelli socioeconomici più bassi. Questa correlazione sembra imputabile alle scadenti condizioni igienico-sanitarie, al sovraffollamento ambientale ed alle gravi carenze alimentari che sembrano favorire il contagio. In particolare, l’acquisizione naturale dell’infezione avviene durante l’infanzia. Una volta stabilitosi nella mucosa, il batterio persiste per tutta la vita. Alcuni studi, tuttavia, suggeriscono che nell’infanzia, prima di un’infezione persistente, si verifichino infezioni transienti. Contrastanti e ancora non del tutto chiare sono le ipotesi sul serbatoio dell’infezione, ma l’acqua e gli animali sono generalmente riconosciute come le principali fonti di contagio. È abbastanza chiaro invece che per la diffusione del batterio è fondamentale il contatto diretto con persone infette. Diversi studi hanno fatto ipotizzare che la trasmissione del batterio avvenga principalmente all'interno del contesto familiare. Il rischio relativo di un bambino di contrarre l'infezione da H. pylori rispetto alla norma è circa otto volte maggiore se la madre è infetta e circa quattro volte maggiore se il padre è infetto (Rothenbacher et al., 1999).

1.2-1b Trasmissione

Le modalità con cui l'H. pylori si trasmette sono ancora oggi sconosciute e attualmente l'uomo è il principale serbatoio. La modalità di trasmissione più probabile è quella orale o gastro-orale. Nella trasmissione oro-orale l'evidenza epidemiologica suggerisce che la placca dentaria possa rappresentare un importante serbatoio. Le secrezioni gastriche, invece, possono verosimilmente rappresentare la fonte di

Helicobacter pylori presente nello stomaco; diversi studi, infatti, mostrano come

reflusso gastrico e vomito possano essere fonti di infezione. La propagazione oro- fecale potrebbe ricorrere direttamente da persone infette o che vivono in condizioni di sovraffollamento o in condizioni sanitarie scadenti, come i soggetti istituzionalizzati. Una trasmissione oro-fecale indiretta potrebbe dipendere dall’acqua o cibi contaminati.

1.2-1c Fattori coinvolti nella colonizzazione, adesione e sopravvivenza

Nello studio delle malattie batteriche, la ricerca si concentra sui fattori di virulenza che distinguono un vero agente patogeno da organismi innocui capaci di colonizzare molte superfici del corpo. Uno degli aspetti critici per Helicobacter pylori, tuttavia, non è la sua capacità di danneggiare i tessuti dell'ospite, ma piuttosto la capacità di persistere per molti anni all'interno dell'ospite. Gran parte della patogenesi nelle infezioni da H. pylori è dovuta, infatti, alla persistenza del batterio capace di eludere le difese immunitarie piuttosto che ad una significativa tossicità mediata dal batterio stesso.

Il processo di colonizzazione si sviluppa in quattro fasi: (i) la trasmissione ad un nuovo ospite, (ii) l'adesione batterica in una specifica nicchia all'interno dell'ospite, (iii) l'elusione, la sovversione o lo sfruttamento dei meccanismi di difesa dell'ospite, e (iv) l'acquisizione di sostanze nutritive con conseguente successo di replicazione. La differenza principale tra la colonizzazione e la patogenesi è che la colonizzazione da sola non può portare ad evidenti danni ai tessuti.

Sono stati identificati vari fattori di virulenza che conferiscono ad H. pylori la capacità di colonizzare i tessuti gastrici, di promuovere un danno tissutale e, logicamente, fattori in grado di garantire la sopravvivenza del batterio nell’ambiente gastrico. La sua morfologia ricurva e la motilità polare promossa dai flagelli conferiscono al batterio la capacità di penetrare nello strato mucoso. Tale efficienza è tanto maggiore quanto più è viscoso il mezzo, ed è dipendente dal pH, riducendosi a valori inferiori a 4.

L’ureasi, uno degli enzimi chiave nella patogenesi di H. pylori, appartiene alla classe delle idrolasi e catalizza l'idrolisi dell'urea in biossido di carbonio e

ammoniaca. L’ureasi è quindi necessaria per mantenere un microambiente a pH neutro intorno ai batteri, e permettere la sopravvivenza nell’ambiente acido dello stomaco. H. pylori aderisce al muco e lega specificamente cellule gastriche sia in vivo che in vitro. Probabilmente nelle fasi iniziali il batterio interagisce con i microvilli delle cellule epiteliali gastriche e penetra tra le giunzioni strette delle stesse.

H. pylori destruttura i microvilli, provoca riarrangiamenti al citoscheletro e

promuove la polimerizzazione di actina nella porzione apicale della cellula. Tali processi sono garantiti da un efficiente sistema di adesine che riconoscono recettori cellulari rendendo stabile il legame con le strutture cellulari.

Le adesine sono proteine batteriche, glicoconiugate, che vengono coinvolte nelle fasi iniziali della colonizzazione al fine di mediare l'interazione tra il batterio e la superficie della cellula ospite. In tale senso le adesine sono generalmente considerate fattori di virulenza per il batterio. I recettori della cellula ospite sono lipidi, proteine, glicolipidi o glicoproteine. L'aderenza dei batteri innesca cambiamenti cellulari che includono cascate di trasduzione del segnale, con conseguente infiltrazione di cellule infiammatorie (neutrofili e monociti). Esempi di adesine sono la proteina esterna di membrana BabA, che lega l’antigene Lewis b, e SabA che lega antigene sialico-Lewis X.

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