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HepG2 e flutamide altre famiglie geniche

proliferazione  cellulare attivita'  anti‐apoptotica

CTRL 2 (HUVEC)

altre famiglie geniche proliferazione cellulare attivita anti‐apoptotica

HUVEC e VEGF

altre famiglie geniche proliferazione cellulare attivita'  anti ‐apoptica

Se confrontiamo i risultati dell’espressione della famiglia genica coinvolta nella proliferazione cellulare e di quella ad attivita’ anti- apoptotica,vediamo che le HUVEC trattate con VEGF hanno un aumento di espressione di queste famiglie rispetto alle HUVEC di controllo. Ciò sta a significare che vengono prodotti dei fattori di proliferazione delle HUVEC che forse sono gli stessi che determinano una maggiore sopravvivenza delle HepG2 trattate col surnatante delle HUVEC (come è stato visto nel precedente esperimento).

Per quanto riguarda le HepG2, non si vede differenza di espressione delle famiglie geniche che fino ad ora abbiamo potuto analizzare tra le HepG2 trattate con EtOH e quelle trattate con flutamide.

Nell’attesa che vengano effettuate ulteriori analisi dei dati ottenuti, in considerazione di questi primi risultati , abbiamo voluto soffermarci sull’analisi di singoli geni che,a nostro avviso, possono giocare un ruolo importante nei processi rigenerativi epatici, per quanto riguarda la proliferazione endoteliale e/o quella epatocitaria. Dato che dai nostri studi si evince che le famiglie di geni coinvolte nella proliferazione cellulare e nei processi anti-apoptotici, sono maggiormante espresse nelle HUVEC trattate con VEGF rispetto alle HUVEC controllo, abbiamo voluto analizzare più attentamente la proteina smp30 di cui abbiamo già

parlato perchè potrebbe essere un possibile tassello mancante che aggiungerebbe nuove informazioni sui processi rigenerativi del fegato e potrebbe essere un importante punto di partenza per lo studio dei molteplici meccanismi di proliferazione epatocitaria, dipendenti dal VEGF.

Perciò abbiamo allestito un esperimento in PCR real time per studiare la regolazione dell’espressione di questa proteina nelle HUVEC trattate con VEGF rispetto alle HUVEC controllo.

REAL-TIME RT-PCR

La real-time PCR, definita anche PCR quantitativa (QRT-PCR) in tempo reale, è un metodo di amplificazione e quantificazione del DNA. La fluorescenza rappresenta la chiave di tale tecnica, in quanto il suo accumulo è rappresentativo della produzione di ampliconi durante ciascun ciclo di amplificazione.

Registrando la quantità di fluorescenza emessa ad ogni ciclo è possibile controllare la PCR durante la fase esponenziale quando il primo significativo aumento di prodotti della PCR è in relazione con la quantità di target iniziale. Ad un maggior numero di copie del gene target all'inizio della reazione corrisponderà un più rapido aumento significativo della fluorescenza. Il numero dei cicli necessari affinchè

un campione raggiunga il suo ciclo soglia (Ct) è inversamente proporzionale al numero di copie del target presente inizialmente in ogni campione.

Il vantaggio di questo metodo, rispetto alla PCR tradizionale, è dato dalla possibilità di quantificare il DNA al Ct, che è calcolato nella fase esponenziale della reazione di amplificazione; in questa fase infatti, i reagenti sono ancora lontani dall’esaurimento, gli elementi di variabilità sono ridotti al minimo e la reazione è al massimo della sua efficienza.

I metodi comuni di quantificazione includono l' uso di:

 coloranti intercalanti fluorescenti, come il Sybr-Green, che sono in grado di emettere fluorescenza se legati al DNA a doppia elica ma questo tipo di chimica per sua natura è di tipo aspecifico;

 sonde ad ibridazione, di forma diversa, le quali sono opportunamente modificate per l’inserimento di molecole fluorescenti; questa tipologia di probe permette un'analisi sequenza-specifica.

La real-time PCR sostituisce la PCR tradizionale nella RT-PCR per quantificare i livelli di espressione di specifici RNA. L’RT-PCR produce del DNA complementare a singolo filamento, detto cDNA,

mantenendo costanti i rapporti relativi di concentrazione tra gli RNA; questo permette di misurare l' espressione del gene di interesse.

Per il nostro esperimento è stato messo a punto un protocollo di Real- Time RT- PCR basato sulle sonde ad ibridazione di tipo Taqman.

La tecnologia TaqMan

La tecnologia TaqMan consente la rilevazione dell’amplificato simultaneamente alla sua amplificazione. È un saggio di amplificazione in cui, grazie al particolare disegno delle sonde marcate con i fluorocromi e allo sfruttamento dell’attività 5’-3’ esonucleasica di alcune polimerasi, è possibile produrre durante la PCR un segnale fluorescente con intensità direttamente proporzionale al target di interesse. Più in dettaglio, il saggio TaqMan, oltre ai due primers, utilizza un terzo oligonucleotide complementare a uno dei due filamenti del prodotto da amplificare, il cui scopo è quello di generare un segnale fluorescente ogni volta che viene prodotto un nuovo frammento.

Nel saggio TaqMan una speciale sonda fluorogenica complementare alla sequenza del DNA bersaglio compresa tra il “forward” e il “reverse” primer viene aggiunta alla miscela di PCR.

Durante l’amplificazione, alla fase di “annealing”, sia i primer che la sonda si ibridano al templato e la sonda, essendo bloccata al 3’ non può essere estesa dalla polimerasi. Durante l’estensione del primer, la Taq incontra la sonda ibridata e la idrolizza, ogni qual volta la sonda viene tagliata si libera in soluzione una molecola fluorescente che genera il segnale rivelabile dal detector.

Il saggioTaqMan prevede 4 fasi:

Fase 1 - Polymerization: Due coloranti fluorescenti, un colorante reporter (R) e un colorante quencher (Q), sono legati alle sonde TaqMan .

Fase 2 - Strand Displacement: Quando entrambi i coloranti sono coniugati alla sonda, l’emissione del colorante reporter è bloccata. Si parla di effetto di quenching.

Fase 3 - Cleavage: Durante ogni ciclo di estensione, la Taq polimerasi taglia via il colorante reporter dalla sonda;

Fase 4 - Polymerization completed: Una volta separato dal quencher, il colorante reporter emette la sua caratteristica fluorescenza ( vedi figura A).

Figura A

La sonda TaqMan e i primers specifici per il gene smp30 e per la b- actina, sono stati disegnati attraverso il programma Primer Express 3 (Applied Biosystems).

Analisi della proteina smp30 con PCR real time nelle HUVEC

Materiali e metodi

Per i nostri esperimenti l’RNA totale è stato estratto dalle colture cellulari di HUVEC trattate per 24 ore con VEGF (45 ng/100 µl ) e da HUVEC controllo, usando il il Kit PureLink Total RNA (Invitrogen). In seguito l'RNA è stato dosato allo spettrofotometro NanoDrop1000 e la sua integrità verificata usando il bioanalizzatore Agilent 2100.

Ogni reazione di sintesi del cDNA è stata eseguita a partire da 1 ug di RNA totale utilizzando il Kit M-MLV cDNA Synthesis (Invitrogen). La reazione è stata effettuata in un volume finale di 20 ul in accordo con le istruzioni fornite dal kit. La PCR real-time è stata eseguita sullo strumento 7300 dell'Applied Biosystems.

La mix finale di reazione conteneva 5 ul di cDNA, 900 nM di ciascun primer, 200 nM di probe, master mix buffer 2X, in un volume finale di 50 µl.

Tutte le reazioni sono state eseguite in triplicato. Come controlli negativi (NTC) sono state eseguite reazioni in cui il cDNA è stato sostituito da un ugual volume di acqua sterile.

La reazione è stata eseguita secondo il seguente profilo termico: •2 min a 50°C;

•40 cicli di 15 min a 95°C in cui si ha la denaturazione; •1 min a 60°C fase di annealing ed estensione.

VALUTAZIONE DELL'ESPRESSIONE GENICA:

I livelli di espressione genica del nostro target sono stati calcolati tramite il metodo comparativo del 2-∆∆Ct, normalizzando i livelli di espressione del gene di interesse rispetto al gene housekeeping β- actina, il cui trascritto non varia nelle nostre condizioni sperimentali. I calcoli consistono nell’eseguire una differenza (∆CT) tra i valori del ciclo soglia del target e del normalizzatore:

∆CT = CT (target) - CT (normalizzatore)

Questa differenza è stata calcolata per ogni campione in esame. Inoltre uno dei campioni è stato scelto come riferimento per gli altri campioni (calibratore). Successivamente è stata calcolata la differenza tra il valore soglia del campione ed il valore soglia del calibratore

∆CT= CT (target o calibratore) - CT (normalizatore) ∆∆CT= ∆CT (target) – ∆CT(calibratore)

Quantità relativa del trascritto genico si ottiene applicando la formula 2- ∆∆CT

RISULTATI

I dati Real-Time PCR, ottenuti applicando il metodo comparativo relativo, hanno confermato i risultati dei microarray; infatti, come si può evincere dalle relative curve, i livelli di espressione del gene smp30 aumentano nelle cellule HUVEC dopo trattamento con VEGF (fig. A e B).

Campioni Ct T Ct E ∆Ct ∆∆Ct 2^-∆∆Ct

Huvec 26 27 -1 0 1

Huvec + VEGF 25 27 -2 -1 2

Fig. A: Curva di amplificazione del gene SMP30 nei campioni (Huvec e Huvec + VEGF)

Figura B:Curva di amplificazione del gene housekeeping nei campioni Huvec e Huvec + VEGF

Da questo esperimento in real time si evince come la proteina smp30 subisca una up-regulation di 2 volte nelle HUVEC trattate con VEGF rispetto alle HUVEC controllo e ciò ci fa dedurre che è probabile che anche questa molecola sia coinvolta nella maggiore sopravvivenza delle HepG2 trattate con EtOH e col surnatante delle HUVEC (trattate con VEGF) rispetto alle HepG2 trattate con solo EtOH.

Poichè il VEGF agisce con diversi meccanismi in modo indiretto sugli epatociti si apre una nuova prospettiva nello studio della terapia delle patologie epatiche,se si dovessero confermare i nostri studi. Riteniamo

opportuno sottolineare il fatto che a tutt’oggi stiamo procedendo con la valutazione dell’espressione ottenuta col microarray di altre famiglie di geni, lavorando in parallelo sull’ espressione genica delle HepG2 trattate con i farmaci epatotossici usati e quella delle HUVEC trattate con VEGF.

Crediamo utile approfondire la tematica del possibile uso del VEGF nella rigenerazione epatica per i diversi e multiformi meccanismi molecolari che questa molecola scatena ma anche di un possibile uso diretto di quelle molecole la cui sintesi è provocata e aumentata dal VEGF stesso,le quali possono svolgere un ruolo non secondario nei meccanismi di riparazione del danno del fegato,come appunto la proteina che è stata oggetto del nostro ultimo esperimento cioè la smp3.

Conclusioni

I complessi meccanismi che stanno alla base del danno epatico operato da diversi fattori, si intersecano tra loro e vedono coinvolti diversi sistemi molecolari, in grado di provocare epatotossicità con diverse modalità. Le sostanze tossiche coinvolte determinano alterazioni nelle cellule epatiche anche a livello genico, modulando i processi di espressione genica che stanno alla base delle funzioni più o meno importanti della cellula.D’altra parte il fegato ha un’ottima capacità rigenerativa ed è in grado nella maggior parte dei casi di riparare il danno subito e ripristinare la massa epatica non funzionante o mancante. Questo processo vede protagoniste diverse molecole che agiscono secondo delle vie differenti ma a volte interdipendenti e spesso sinergiche tra loro. Tra queste molecole il VEGF assume un ruolo da protagonista, non solo per la sua capacità di ricreare una vascolarizzazione in un tessuto danneggiato ma anche per la sua azione indiretta sulla proliferazione delle cellule di natura epatocitaria. Il processo che porta alla rigenerazione del fegato vede coinvolte anche l’IL6 come mediatore del VEGF, o indipendentemente dal VEGF stesso, l’ERK 1 e 2 attivati dal VEGF e implicati nel nella proliferazione delle cellule endoteliali, il TNF che inibisce la fosforilazione e l’attivazione del recettore FLK1 del VEGF, inibendo la proliferazione delle cellule

endoteliali, l’HGF(Hepatocites Growth Factor) che lavora in sinergia col VEGF stimolando la proliferazione epatocitaria e la neovascolarizzazione. Nuovo capitolo è quello rivolto allo studio di una molecola, la smp30, avente funzione anti-apoptotica e con un possibile ruolo chiave nei meccanismi rigenerativi del fegato. La complessità degli eventi legati alla rigenerazione epatica e la presenza attiva delle molecole che interagiscono tra loro ha portato la scienza ad occuparsi con sempre maggiore interesse dello studio di questo processo, analizzandolo da diverse prospettive. Il nostro percorso è stato quello di seguire l’attività del VEGF e di sottolinearne la multifunzionalità e il suo coinvolgimento in diverse vie di attivazione di segnali cellulari. Dai nostri esperimenti in vitro su cellule di natura epatica di tipo neoplastico trattate con sostanze epatotossiche (EtOH) si è evinto che il VEGF non ha un’azione diretta sulla proliferazione di tali cellule. La probabile assenza di recettori per questo fattore posti sulla superficie della cellula HepG2 non implica tuttavia che il VEGF non possa agire in sinergia con altre molecole e che si comporti diversamente in modelli sperimentali allestiti con epatociti. L’utilizzo nel nostro studio di colture cellulari e quindi l’assenza di elementi normalmente presenti nelle sperimentazioni in vivo (sangue, liquido interstiziale, cellule limitrofe) ha impedito di fare luce sull’eventuale ruolo giocato da tutti questi elementi. Il successivo studio

con cellule di natura endoteliale (HUVEC) ci ha permesso di verificare che l’uso del medium con VEGF in cui tali cellule sono state fatte crescere ha fatto si che le cellule HepG2 poste in coltura resistessero all’esposizione tossica dell’EtOH. Questo ci ha portato a dedurre che il VEGF a livello delle HUVEC mette in atto dei meccanismi che portano in definitiva alla produzione di molecole ad attività mitogena o anti apoptotica nei confronti delle cellule epatocitarie. La sperimentazione in microarray sulle variazioni di espressione genica attuata contemporaneamente sulle HepG2 trattate con sostanze epatotossiche e sulle HUVEC trattate con VEGF ci ha permesso di avere una visione più chiara del comportamento di alcuni geni coinvolti nel processo di proliferazione e apoptosi cellulari .È stato valutato, quindi, in particolare il comportamento di una molecola che dai nostri studi appare correlata all’azione del VEGF,la smp 30.È stato interessante notare come il gene che codifica per questa proteina subisca nelle HUVEC trattate con VEGF una up- regulation di ben due volte rispetto alle HUVEC non trattate.Si potrebbe perciò sfruttare questa proprietà del VEGF e approfondire gli studi sulla smp30. Se tale molecola ha un effetto così potente la si potrebbe utilizzare da sola per favorire i processi rigenerativi del fegato oppure si potrebbe usare il VEGF quale agente promotore della sua produzione durante un danno epatico.

I nostri esperimenti ci portano alla conclusione che l’uso del VEGF potrebbe essere d’aiuto nei processi rigenerativi per lo meno per quanto riguarda il suo meccanismo di azione più strettamente legato alla stimolazione delle cellule endoteliali a produrre fattori che in qualche modo agiscono da mitogeni o che inibiscono l’apoptosi delle cellule di natura epatica. Ma questi fattori dovrebbero d’altra parte essere più attentamente studiati per la loro possibile capacità di agire anche indipendentemente dal VEGF. I nostri esperimenti, in definitiva, si sono focalizzati sui meccanismi, numerosi e complessi, che stanno alla base della rigenerazione epatica nei suoi due aspetti prevalenti:quello della proliferazione epatocitaria e quello altrettanto importante della neovascolarizzazione. Lo studio dei fattori che , a nostro avviso, hanno un ruolo rilevante in questi processi e l’osservazione di come questi fattori siano strettamente legati tra loro e agiscano in sinergia o dipendentemente l’uno dall’altro,ci apre una nuova prospettiva di approccio terapeutico, che va di volta in volta valutata, in correlazione all’entità del danno epatico e al tipo e dose di agente tossico cui è sottoposto il fegato. Data la complessità dei fenomeni legati alla tossicità epatica e alla riparazione del danno, diversi e numerosi altri studi devono essere portati avanti nella speranza di poter avere una panoramica più ampia dei fenomeni molecolari e genetici che stanno dietro alla

rigenerazione del fegato. Questi esperimenti sono la conseguenza del nuovo approccio che la scelta dei farmaci deve avere, per poter migliorare l’efficienza della terapia stessa e, al contempo, per ridurre la tossicità farmacologica. Comprendendo i meccanismi che stanno alla base del danno farmacologico si puo’ lavorare in diversi modi affinchè la molecola agisca senza o con minimi effetti collaterali. Gli studi di microarray si prestano bene allo scopo permettendo una chiara valutazione del coinvolgimento molecolare nei processi che stanno alla base del danno e della rigenerazione del fegato.

Molto altro resta ancora da chiarire riguardo ai segnali coinvolti nell’angiogenesi e nella rigenerazione del fegato e molte altre molecole vanno studiate attentamente e in associazione tra loro, poichè i meccanismi sono integrati tra loro e interdipendenti.

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