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Dopo aver letto la seconda recensione della Cronaca ed aver chiarito alcuni dei suoi contenuti politici sulla base delle Etimologie, vorremo ora provare a leggere la seconda recensione della Historia.

Questa esattamente come la Cronaca viene revisionata nel 626311, crediamo secondo lo stesso intento celebrativo da un lato e parenetico, didascalico dall’altro.

Siamo convinti sia possibile ravvisare nella Historia lo stesso messaggio politico della Cronaca, maggiormente sviluppato e chiarito in linea con la natura più discorsiva e meno annalistica del genere in questione, un messaggio che come per la Cronaca viene marcato in modo più esplicito passando dalla recensione del 621 a quella del 626.

Sulla Laus Hispaniae312 e sulla Recapitulatio313 (nella fattispecie le due

interpolazioni più significative assieme ai capitoli dedicati a Suintila) è stato scritto moltissimo e la natura propagandistica e “patriottica” del loro contenuto è generalmente riconosciuta, per questo motivo noi vorremmo dedicarci alla lettura delle altre numerose interpolazioni ed omissioni che distinguono la recensione del 621 da quella del 626.

Cominciamo dal titolo e dal capitolo 1, vediamo cosa cambia da una recensione all’altra.

La versione del 621 è intitolata Historia Gothorum, quella del 626 è intitolata De origine Gothorum.

311 I. Velázquez Soriano, La doble redacción de la Historia Gothorum de Isidoro de Sevilla, op.

cit., pp. 91-93; C. Rodriguez Alonso, Las historias de los godos, vàndalos y suevos de Isidoro de Sevilla, Estudio literario, op. cit., pp. 9-66; M. A. Rodríguez de la Peña, Los reyes sabios, Cultura y poder en la antiguidad tardía y la alta edad media, op. cit., pp. 278-281

312 C. Rodriguez Alonso, Las historias de los godos, vàndalos y suevos de Isidoro de Sevilla, op.

cit., p. 168 e 170

Ora vediamo come cambia il capitolo 1:

Gothorum antiquissimum esse regnum certum est…314

Gothorum antiquissimam esse gentem…315

la stesura del 626 sostituisce regnum con gentem.

Crediamo che con il nuovo titolo si intenda sottolineare maggiormente la natura dell’opera come storia di una gens, dove origo da un punto di vista retorico suggerisce l’idea dell’antichità e quindi della nobiltà della stirpe. Questa intenzione è confermata dalla correzione del capitolo 1 che cambia di fatto il soggetto dell’opera: non abbiamo di fronte la storia di un regno (e quindi dei suoi re) ma di una stirpe. Isidoro nella seconda redazione mette in primo piano da subito la gens, anticipando chi sarà l’oggetto del panegirico.

Ulteriore riprova del nuovo indirizzo dell’opera la incontriamo già al capitolo 2:

…Per multa quippe saecula et regno et regibus usi sunt…316

…Per multa quippe retro saecula ducibus usi sunt, postea regibus… 317

Dai reges della prima recensione passiamo ai duces della seconda. La correzione per certi versi è questione di precisione storiografica: la gens esiste da molto prima dei re, sicché questa non può essere necessariamente la storia di un regno, tuttavia l’impostazione narrativa comporta una gerarchia nuova dei soggetti storici che colloca la gens al di sopra dei reges. Abbiamo visto tanto nella Cronaca quanto nelle Sentenze come Isidoro non

314 Ibidem, p. 172 315 Ibidem, p. 172 316 Ibidem, p. 174 317 Ibidem, p. 174

utilizzi mai gens per indicare l’oggetto del potere dei re, crediamo che il principio della seconda redazione della Historia confermi quest’idea del rapporto che corre tra gens e regalità.

Leggiamo ora il capitolo 3:

3. Anno ante aeram conditam XII, dum pro arripiendo rei pubblicae imperio consul Pompeius et Gaius Caesar arma civilia commovissent, Gothi ad praebendum Pompeio auxilium in Thessalia adversus Caesarem pugnaturi venerant…isti prae ceteris ei fortius restiterunt: quorum Caesar copia et virtute turbatus fatur fugam meditasse, nisi nox proelio finem dedisset.318

i Goti combattendo con il console Pompeo spaventano Cesare.

Il capitolo 3 è presente solo nella seconda recensione e al di là dell’esaltazione del valore militare dei Goti crediamo che Isidoro, nel sottolineare che Pompeo è console, intenda attribuirgli una connotazione positiva in linea con l’immagine del consolato che troviamo nella Cronaca e soprattutto nelle Etimologie, e quindi intenda collocare i Goti dalla parte della legittimità nel contesto di una guerra civile.

Nelle Etimologie il console è un modello positivo contrapposto al re come modello potenzialmente negativo. La figura del console chiama in causa tutta una serie di temi concretamente politici cari ad Isidoro dal servizio, alla consultazione, al consenso, all’elezione come garanzia di legittimità. Cesare invece nella Cronaca proprio con la guerra civile ha restaurato la monarchia a Roma. Ci sembra chiaro per Isidoro quale sia il modello positivo e quale il modello negativo.

Ovviamente abbiamo di fronte innanzi tutto un aneddoto edificante per la storia militare dei Goti, un esempio concreto del loro valore, dato che sono gli unici ad aver spaventato Cesare.

Tuttavia siamo convinti che Isidoro vada a celare accanto alla smaccata celebrazione del valore militare un contenuto politico basato sulla scelta del

giusto campo. I Goti hanno scelto la parte del console nel quadro di una guerra civile, la parte legittima contro la parte illegittima rappresentata da un Cesare prossimo dittatore.

Inoltre vediamo che la regalità che Isidoro ha tolto dai primi due capitoli per sostituirla con la gens, nella seconda redazione compare solo al capitolo 3 in chiave negativa e contrapposta al modello positivo di un console.

Dopo i capitoli 4 e 5 che celebrano di nuovo il valore guerriero della gens

fortissima319 (si afferma che sconfiggerli è il vanto più grande per gli imperatori), al capitolo 6 Isidoro racconta l’inizio della regalità presso i Goti. Leggiamo la prima recensione:

Aera CCCVIII, anno Valentis V Gothorum gentis administrationem Athanaricus accepit, regnans annos XIII, qui persecutionem adversus fidem communem voluit exercere contra eos qui in locis suis Christiani habebantur; ex quibus plerique, quia idolis immolare non adquieuerunt, martyrio coronati sunt, reliqui autem coacti sunt de regno suo exire et in Romanam transire regionem. 320

ora vediamo la seconda recensione:

6. Aera CCCCVII, anno V imperii Valentis primus Gothorum gentis administrationem suscepit Athanaricus regnans annos XIII, qui persecutione crudelissima adversus fidem commota voluit se exercere contra Gothos qui in gente sua Christiani habebantur; ex quibus plurimos, quia idolis immolare non adquieuerunt, martyres fecit, reliquos autem multis persecutionibus adflictos, dum prae multitudine horreret interficere, dedit licentiam, immo magis coegit de regno suo exire atque in Romani soli migrare provinciam.321

la seconda redazione modera la crudeltà pagana di Atanarico che rimane comunque un efferato persecutore. Inoltre si specifica che i cristiani che Atanarico perseguita appartengono alla gens, in una distribuzione dei ruoli

318 Ibidem, pp. 174-176 319 Ibidem, pp. 176-178 320 Ibidem, p. 180 321 Ibidem, p. 180

che associa questa al cristianesimo e il monarca alla persecuzione in un velato bipolarismo.

Interessante il cambiamento del verbo che indica l’ascesa di Atanarico al potere: da accipio Isidoro decide di passare a suscipio. Forse è solo di una sfumatura, ma trattandosi del primo re dei Goti diventa fondamentale per Isidoro scegliere accuratamente le parole che descrivono la nuova sovranità in quanto definiscono il rapporto del re con il suo potere, e del re con la

gens. In questo senso crediamo che suscipio accentui il tema della responsabilità nella misura in cui il re non prende il potere sulla gens, ma se ne fa carico.

Un intento didascalico da parte dell’autore spiegherebbe molto bene questa seppur minima correzione.

Osserviamo comunque come tra i capitoli 6 e 7 l’inizio della monarchia non sia affatto felice. Riportiamo prima la recensione del 621, poi quella del 626:

Aera CCCCXV imperii Valentis Gothi in Istrium aruersum se in Athanarico et Fridigerno divisi sunt, alternis se caedibus populantes; sed Fridigernum Athanaricus Valentis imperatoris auxilio superans, huius rei gratia cum omni gente Gothorum in Arrianam haeresim devolutus est.322

7. Aera CCCCXV, anno XIII imperii Valentis Gothi in Istrium adversus semet ipsos in Athanarico et Fridigerno divisi sunt, alternis sese caedibus populantes; sed Athanaricus Fridigernum Valentis imperatoris suffragio superans huius rei gratia legatos cum muneribus ad eundem imperatorem mittit et doctores propter suscipiendam Christianae fidei regulam poscit. Valens autem a veritate catholicae fidei devius et Arrianae haeresis perversitate detentus missis haereticis sacerdotibus Gothos persuasione nefanda sui erroris dogmati adgregavit et in tam praeclaram gentem virus pestiferum semine pernicioso transfundit sicque errorem, quem recens credulitas ebibit, tenuit diuque servavit.323

322 Ibidem, pp. 180-183 323 Ibidem, pp. 180-183

da un lato vediamo che la divisione del potere conduce alla guerra civile, un tema questo su cui l’Historia tornerà più volte associandolo quasi sempre alla divisione dinastica dell’autorità.

Oltre a questo possiamo notare che la correzione del capitolo 7 da una versione all’altra della Historia è analoga a quella cui Isidoro sottopone il capitolo 349 della Cronaca. Nella Cronaca la colpa dell’eresia viene interamente addossata a Valente, lasciando fuori sia il re che la gens; nella

Historia la seconda redazione sostiene la buona fede di Fridigerno, quando nella prima invece si convertiva per gratitudine.

Da notare che nella seconda redazione a si perde il passaggio che vedeva la

gens sottomessa al re nella conversione (…cum omni gente Gothorum…); nella nuova stesura la gens rimane tam praeclara anche nell’errore, e dal racconto della conversione scompare il dato dell’obbedienza della gens al

rex.

Raffrontiamo ora le due stesure del capitolo 9:

Aera CCCCXVI, anno XIIII imperii Valentis Gothi, qui primum christianos a terra sua expulerant, postmodum ipsi ab Hunis expulsi sunt transitoque Danubio fluvio Valentis imperatoris potestati se non depositis armis dederunt, accepta ab eo ad habitandum Thracia. Sed ubi viderunt se opprimi a Romanis contra consuetudinem propriae libertatis, resumptis armis rebellando, Thraciam ferro incendiisque depopulant deletoque Romanorum exercitu ipsum Valentem iaculo vulneratum in quandam villam fugientem incendunt ut merito, iuxta cuiusdam sententiam, ipse ab eis temporali cremaretur incendio, qui tam pulchras animas ignibus aeternis tradiderat. 324

9. Aera CCCCXVI anno XIIII, imperii Valentis Gothi, qui primum christianos a sedibus suis expulerant, rursus ipsi ab Hunis cum rege suo Athanarico expulsi sunt transitoque Danuvio cum vim Valentis imperatoris ferre non possent sese non depositis armis tradunt, Thraciam ad inhabitandum accipiunt. Sed ubi viderunt se opprimi a Romanis contra consuetudinem propriae libertatis ad rebellandum coacti sunt Thraciam ferro incendiisque depopulantur deletoque Romanorum exercitu ipsum Valentem iaculo vulneratum in quandam villam fugientem succendunt

ut merito ipse ab eis vivens cremaretur incendio qui tam pulchras animas ignibus aeternistradiderat. 325

Al capitolo 9 vediamo che la regalità di Atanarico compare solo nella seconda redazione e viene associata alla sconfitta patita dagli Unni, mentre i protagonisti della vittoria di Adrianopoli sono i Goti.

Volendo possiamo notare come anche la sconfitta dell’esercito Romano sia associata alla figura di un monarca, ed alla sua presenza sul campo: Valente sconfitto e giustamente ucciso viene apertamente condannato dall’autore. Vedremo in seguito come le vittorie romane verranno attribuite sempre a valenti generali, mai agli imperatori con i quali l’autore crea un sottinteso dualismo tra figure esemplari e negative.

Sinora ci sembra che manchi nell’opera la celebrazione della regalità, che anzi subisce un certo ridimensionamento tra prima e seconda recensione, mentre si intravedono esemplificazioni di carattere politico in linea con quelle incontrate nella Cronaca.

Proprio a questo proposito possiamo vedere il capitolo 13 nel quale Isidoro racconta della divisione del potere tra Alarico e Radagaiso; come in precedenza riportiamo prima la versione del 621, poi quella del 626:

Aera CCCCXLVI, anno XIIII Arcadii et Honorii imperatorum post Athanaricum duo reges Gothis imperaverunt, qui pacis foedere rupta ad depraedandam Romaniam se dederunt.326

13. Aera CCCCXXXVII anno imperii Honori et Arcadi quarto Gothi in Alarico et Radagaiso divisi, dum semet ipsos in duabus partibus regni variis caedibus lacerarent, ob excidium Romanorum concordes effecti consilium in commune constituunt parique intentione ad depraedandas quasque regiones Italiae ab invicem dividuntur.327

mentre nella prima versione l’autore non esprime alcun giudizio, nella seconda definisce esplicitamente la divisione del potere come un male,

325 Ibidem, p. 186 326 Ibidem, p. 190

addirittura le due parti trovano un accordo solo allo scopo di sterminare i Romani, e i termini che Isidoro sceglie (excidium, depraedare) non gettano certo una luce eroica sulla campagna.

Isidoro potrebbe utilizzare questo episodio allo scopo di celebrare il valore dei Goti più forti di Roma, decide invece di giudicare la divisione del potere tra due re, mettendo in cattiva luce tutta la vicenda. Che sia una scelta consapevole da un punto di vista pubblicistico lo dimostra proprio la differenza tra le due recensioni.

Il tenore della narrazione ci sembra in linea con i numerosi esempi analoghi tratti dalla storia imperiale e illustrati nella Cronaca.

Alla luce del fatto che ai tempi di Isidoro la sola forma di condivisione del potere conosciuta e praticata era quella dinastica (tramite l’associazione al trono del figlio del re), questo giudizio acquista un certo significato, ancor più se si pensa che Isidoro si ripeterà negli stessi termini a proposito di Leovigildo verso la fine dell’opera.

Al capitolo 14 Isidoro da una recensione all’altra peggiora nettamente il ritratto di Radagaiso e specifica che è stato sconfitto dal dux romano Stilicone. Nella prima recensione la figura di Stilicone non è presente, mentre nella seconda si crea una contrapposizione che crediamo metta il

dux in una luce positiva. Vediamo prima la versione del 621:

Quorum unus Radagaisus Scyta atque paganus cum CC fere milibus Italiam belli feritate aggreditur promittens sanguinem Christianorum diis suis litare, si vinceret. Cuius exercitus a Romanis in montuosis locis conclusus fame est potius quam ferro consumptus: ipse postremum rex captus et interfectus.328

Ora la versione del 626:

327 Ibidem, p. 190 328 Ibidem, p. 192

14. Aera CCCCXLIII, anno imperii Honorii et Arcadii X rex Gothorum Ragadaisus genere Scyta cultui idolatriae deditus barbaricae inmanitatis feritate saevissimus cum ducentis armatorum milibus Italiae partes vehementi vastatione adgreditur, spondens in contemptum Christi Romanorum sanguinem diis suis libare, si vinceret, cuius exercitus ab Stilicone duce Romano in montuosis Tusciae locis circumclusus fame est, potius quam ferro cinsumptus, ipse postremum rex captus et interfectus est.329

Isidoro non è esplicito tuttavia nella seconda redazione decide di dare un nome e un titolo al vincitore di Radagaiso, e data la connotazione completamente negativa del re dei goti, crediamo che il generale romano Stilicone assuma per contrasto un ruolo implicitamente positivo. Se Isidoro non avesse inteso contrapporre a Radagaiso un modello positivo avrebbe lasciato nell’anonimato il generale vincitore.

A ben vedere Isidoro non si limita a dare un nome al nemico di Radagaiso, ma nella seconda recensione specifica anche che quest’ultimo è il rex

Gothorum prima di ritrarlo come un predone sanguinario: certamente Isidoro non ha deciso di correggere questo capitolo allo scopo di dare lustro alla regalità dei Goti. In sostanza la seconda recensione mette a confronto un re goto sanguinario con un generale romano vittorioso.

Incontreremo ancora questo atteggiamento dell’autore nei confronti delle autorità militari romane.

Il capitolo 15 celebra Alarico, tuttavia ricorda che è un eretico e che si muove per vendetta. La seconda redazione racconta gli eventi bellici in modo significativo, leggiamola:

15. Aera CCCCXLVII, anno imperii Honorii et Arcadii XV extincto Ragadaiso Alaricus consors regni, nomine quidem Christianus, sed professione haereticus, dolens tantam multitudinem Gothorum a Romanis extinctam, in vindictam sanguinis suorum adversus Romam proelium agit obsessamque impetu magnae cladis inrumpit. Sicque urbs cunctarum gentium victrix Gothicis triumphis victa subcubuit eisque capta subiugavtaque servivit.

Tantum autem Gothi clementes ibi extiterunt, ut votum antea darent quod, si ingrederentur urbem, quicumque Romanorum in locis Christi, invenirentur, in vastationem urbis non mitterentur. Post hoc igitur votum adgressi urbem omnibus et mors et captivitas indulta est, qui ad sanctorum limina confugerunt. Sed et qui extra loca martyrum erant et nomen Christi et sanctorum nominaverunt, et ipsis simili misericordia pepercerunt. 330

L’eresia e le brutture della guerra riguardano il re, mentre la gloria e la misericordia sono dei Goti; la stessa impostazione del capitolo 9 sulla guerra contro gli Unni e la battaglia di Adrianopoli. Ancora al capitolo 18 continuano ad essere i Goti gli unici protagonisti della vittoria e della gloria, mentre Alarico viene chiamato in causa solo al momento della sua morte come riferimento cronologico:

18. Hac tempestate Gothi Placidiam Theodosi principis filiam, Arcadii et Honorii imperatorum sororem cum ingenti auro Romae capiunt adeptisque multis opibus Romanorum tertia die incensa eversaque in partibus urbe discedunt. Inde conscensis navibus cum Siciliam exiguo ab Italia fretu divisam transire disponerent, infesto mari periclitati multum exercitum perdiderunt. Quibus tanta fuit gloria de Romanae urbis obtentu, ut in eius comparatione nihil se mali passos tempestate illa arbitrarentur, damna naufragii eventu victoriae compensantes. Mors Alarici confestim secuta: vicesimo octavo regni anno defunctus Italia.331

In questi primi diciotto capitoli abbiamo visto come l’autore, in linea con il nuovo titolo e con i propositi del primo capitolo, abbia celebrato i Goti come stirpe attribuendo alla loro collettività le virtù e le vittorie. Di contro i re sono stati messi in secondo piano e associati agli aneddoti più negativi, responsabilizzati ed incolpati in una rappresentazione poco lusinghiera della regalità.

La celebrazione dei re è del tutto assente, in compenso per due volte viene apertamente deprecata la divisione del potere (scelta che dato il contesto nel quale Isidoro scrive crediamo adombri la disapprovazione della successione dinastica).

330 Ibidem, pp. 192-194 331 Ibidem, p. 200

Nell’insieme questi primi 18 capitoli, nell’attribuire ai re tutte le colpe ed alla stirpe tutti i meriti e pregi, danno l’idea di un’opera intesa all’ammonizione del sovrano, ed alla sua responsabilizzazione nei confronti di una stirpe tanto gloriosa.

Arriviamo così ai capitoli 19, 20 e 21 che nella creazione di un’alternanza chiaroscurale (espediente retorico molte volte incontrato nella Cronaca) esemplificano in modo esplicito il modello che Isidoro ha in mente. Vediamo il capitolo 19 in entrambe le redazioni, prima quella del 621 poi quella del 626:

…Athaulfus Gothis Italia regno praeficitur annis septem. Iste quinto regni anno de Italia succedit ad Gallias ibique Placidiam, filiam Theodosii principis, Arcadii et Honorii imperatorum sororem, quae a Gothis Romae capta fuerat, uxorem sibi adsumpsit.

Nullo ex ea semine subsistente.332

…Athaulfus Gothis Italia regno praeficitur annis VI. Iste quinto regni anno de Italia recedens Gallias adiit. Placidiam Theodosii imperatoris filiam, quam Romae Gothi ceperant coniugem sibi adsumpsit.

In quo prophetia Danihelis a quibusdam creditur esse conpleta, qui ait filiam regis austri coniungendam regi aquilonis, nullo tamen de germine eius subole subsistere. Sicut et idem in consequentibus propheta subicit dicens: nec stabit semen eius. Nullus enim de utero illius extitit genitus, qui patris in regnum succederet.333

rispetto alla prima la seconda redazione introduce un’indiretta disapprovazione della trasmissione dinastica del potere e della legittimità basata sul sangue.

Isidoro precisa che il matrimonio di Ataulfo aveva lo scopo di generare un erede al trono, ma come profetizzato da Daniele l’unione resta sterile: il passaggio viene sviluppato nella seconda recensione appositamente allo scopo di dare queste informazioni, che a nostro parere sottendono una

discreta quanto elaborata ammonizione contro i tentativi di dinastizzazione del potere.

Vediamo ora i capitoli 20 e 21:

20. Aera CCCCLIIII, anno imperii Honorii et Arcadii XXII post Athaulfum Gothis Sigericus princeps electus est. Qui dum ad pacem cum Romanis esset promptissimus, mox a suis est interfectus.334

21. Aera et anno quo supra Vallia Sigerico succedens tribus annis regnum tenuit belli causa princeps a Gothis effectus, sed ad pacem divina providentia ordinatus. Mox enim regnare coepit, faedus cum imperatore Honorio pepigit. Placidiam sororem eius, quae a Gothis capta fuerat, ei honorifice reddidit, promittens imperatori propter rem publicam omne certamen inolendum. Itaque ad spanias per Constantium patricium evocatus.335

Sigerico e Valia sono i primi due esempi espliciti di regalità elettiva, i due re che Isidoro sceglie per illustrare questo tipo di successione e sono anche i primi due cui Isidoro attribuisce il titolo di princeps, che nella sua lezione

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