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I caratteri costitutivi della compagnia »

I. Il teatro comico nel primo Settecento Il caso della compagnia del teatro San

7. I caratteri costitutivi della compagnia »

Il segno del carattere anfibio, polimorfo, della truppa comica del San Samuele si misura sia nell‟estrema varietà del repertorio sia nella specializzazione degli interpreti. Nel suo trattato Dell‟arte rappresentativa premeditata ed all‟improvviso Andrea Perrucci scriveva che «deve […] la composizione sciegliersi secondo il gusto del paese, dell‟uditorio, e dell‟abilità de‟ rappresentanti, perché alle volte chi sarà buono per lo tragico, non sarà buono per lo comico, e chi esprime bene il patetico si confonderà nel grave, o nel ridicolo».124 Come si avrà modo di vedere nei prossimi capitoli, i nostri attori erano senza dubbio meno rigidi di quelli descritti da Perrucci, e i casi di Sacco o Casali a cui ho accennato lo dimostrano ampiamente; ma è altrettanto vero che un sistema di specializzazioni esisteva anche nella loro compagnia. La spia di questa „divisione dei ruoli‟ è l‟ampiezza della formazione, che giunse negli anni Quaranta a contare quasi trenta persone e che coinvolgeva negli spettacoli tragici un gran numero di comparse. Si tratta di un fatto non usuale per le formazioni del tempo, che in gran parte erano ancora costruite secondo gli schemi formalizzati degli scenari dell‟Arte e che sommavano pochi elementi alle due o tre coppie di innamorati, i due Vecchi, i due Zanni, la Servetta.

Per capire quale doveva essere l‟impegno dei comici di Imer, si leggano le memorie redatte da Ercole Antonio Riminaldi circa la loro presenza al teatro Scroffa di Ferrara nella primavera del 1747. Si tratta di un documento abbastanza unico nel suo genere per la dovizia dei particolari:

“Comedie della compagnia di S. Samuele di Venezia del famoso Sacchi” […], tra cui: Il

Demetrio […] “con gl‟intermezzi musicali” (28 [aprile]), L‟Ulisse il giovine “tragicomedia”

dell‟abate Lazzarini di Padova (2 [maggio]), La contessina “comedia” “in musica” […] (4 [maggio]), Giunio Bruto dittatore romano “tragicommedia” (13 [maggio]), Maometto alla

Mecca “tragedia di buon carattere”, Li ovi in puntiglio “comedia ridicola” (18 [maggio]), Pantalone impresario d‟opere in musica “comedia”, La nascita del primo genito figlio d‟Arlecchino (6 [giugno]).

La stagione doveva aprirsi il 10 IV, ma non fu possibile “aspettandosi le donne comiche da Venezia, che ritardano, a causa de‟ venti contrarii al loro imbarco” (15 [aprile]); […] la compagnia è “composta di soggetti di molto credito, e di vecchia esperienza, essendovi stato finora un affollatissimo concorso. […]” (29 [aprile]); “Le comedie hanno un affollatissimo concorso, essendo limitato il prezzo di un paolo lo ingresso, e mezzo paolo il sedere […] q<ue>sta tragicomedia […], che in Scena rappresentò la morte di cinque personaggi, ebbe un

generale applauso, e giovedì sera si recitò la Contessina in musica, comedia di vaghissimo carattere, per cui il teatro fu tanto pieno, et affollato, che alle 24 a stento, dicesi, non potevasi trovar‟ingresso nella platea del sud[dett]o” (6 [maggio]); “Monsig[no]r V. Legato, il quale, essendo scrupoloso in sentire le comedie troppo licenziose, q<ue>sti ha fatto delle riprese alli comici, che regolino il loro parlare con più moderata saviezza, altrimenti al termine delle loro fatiche gliene renderebbono stretto conto: per verità comune è la voce, che siano assai bravi, e valenti, e molto più regolati, e solo sia un sofistico pensiero, e gusto assai diverso q<ue>llo di detto Monsignore: per cui svogliati li medesimi sembra (al dire della città) si siano raffreddati nel loro virtuoso operare, imbastardendo il mestiere” (20 [maggio]); “Le comedie, che sono vicine al terminarsi, essendovene ancora una decina di recite, fanno il suo spicco, et hanno un affollato concorso” (27 [maggio]); “Le comedie, il di cui partito cresce nel minuto popolo, sono comendate all‟estremo” (3 [giugno]); “Li comici terminarono le loro fatiche martedì sera, e passano q<ue>sti a Firenze a farvi l‟estate” (7 [giugno]); “Ieri sera nel giardino del Casino de‟ cavalieri (a richiesta della nobiltà ferrarese) furono replicati i bellissimi fuochi artificiati, e di rara, e pulita invenzione dal terzo Amante di comedia, d[ett]o il Ferentino, il quale in una sera della passata settimana in teatro gli esequì con tanto applauso, et aggradimento universale nella comedia intitolata, Pantalone impressario d‟opere in musica: varie sono le rappresentanze di tali fuochi or del ciel stellato or del sole in diversi aspetti, or della luna piena, or dell‟ecclise, et ora della stella mattutina, e sempre di colori diversi, e senza ombra di fumo, ma con un chiarore, che abbaglia l‟occhio” (10 [giugno]).125

Le puntuali annotazioni di Riminaldi hanno un valore eccezionale, perché forniscono conferme sulle questioni relative alla complessità del repertorio, alla moralità o licenziosità della recitazione e alla conduzione della compagnia.

La ricchezza e la diversità dell‟assortimento spettacolare è testimoniata dalla menzione di alcuni dei titoli messi in scena nelle quaranta recite fatte dal 22 aprile al 6 giugno: si tratta di quattro tragedie (Demetrio, forse in una riduzione da Pietro Metastasio; Ulisse il giovane di Domenico Lazzarini; Giunio Bruto di Antonio Conti; Maometto alla Mecca, forse il Maometto profeta tradotto da Voltaire),126 due commedie a soggetto (Pantalone impresario d‟opere in musica e La nascita del primogenito figlio d‟Arlecchino), un dramma musicale (La contessina di Goldoni) e un intermezzo (Gli ovi in puntiglio di Antonio Gori) recitato, pare, nella forma della «comedia ridicola». Sono presenti tutti i generi considerati nei paragrafi precedenti: quello tragico sembrerebbe prevalere sugli altri, ma le informazioni contemplano un campione di titoli troppo ristretto rispetto alla rosa degli almeno quaranta componimenti rappresentati sulla scena ferrarese.

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La ricostruzione cronologica degli eventi descritti da Riminaldi è stata compiuta da Maria Chiara Bertieri (Id., Cronologia e indici del teatro Scroffa, in I teatri di Ferrara, a cura di Paolo Fabbri, Lucca, LIM, 2002, to. 2, pp. 551-617: 563-564), da cui cito (le integrazioni tra parentesi uncinate sono dell‟autrice della scheda, mie invece quelle tra parentesi quadre).

126 Cfr. Luigi Ferrari, Le traduzioni italiane del teatro tragico francese nei secoli XVII e XVIII, Paris, Champion, 1925 (rist. anast. Genève, Slatkine, 1974), pp. 149-153.

Ad arricchire ulteriormente la già variegata gamma spettacolare contribuisce un evento abbastanza singolare negli ultimi giorni di permanenza della compagnia nella piazza emiliana: l‟esibizione del terzo Amoroso in uno spettacolo pirotecnico nel «giardino del Casino de‟ cavalieri». Occorre sottolineare la premura con cui Giuseppe Imer, ancora una volta, si era accaparrato il miglior fuochista sulla piazza: il «Ferentino» di cui parla Riminaldi è infatti Giuseppe Simonetti, accolto in compagnia nel 1738 o 1739, che si distinse «recitando, e facendo de‟ fuochi artificiati, pe‟ quali aveva moltissima pratica».127

Il capocomico genovese sfruttò questa peculiare abilità del compagno per aumentare il quoziente spettacolare delle commedie e, presumo, facendo eseguire la speciale performance durante il Pantalone impresario d‟opere in musica per imitare la grandiosità scenotecnica dell‟opera lirica.128

127 Bartoli, Notizie istoriche, cit., p. 430. L‟appellativo «Ferentino» potrebbe essere il risultato di una sbagliata interpretazione delle sue origini toscane: egli era infatti nativo di Lucca.

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In margine a questo ragionamento sulla straordinaria eterogeneità del repertorio della compagnia del San Samuele, va detto che essa, così come la duttilità degli attori, non erano un merito esclusivo. Esisteva un canone produttivo extraveneziano, probabilmente esteso a tutta l‟Europa per mezzo degli stessi vettori che dal secolo precedente avevano intrapreso con successo tournées estere, esportando il sapere spettacolare di matrice italiana sia per quanto riguarda la recitazione che in materia di apparati scenografico-macchinistici. La circolazione degli artisti italiani dello spettacolo si allargò progressivamente verso l‟Europa dell‟est fino in Russia, mentre continuava il flusso migratorio verso la Francia, la Spagna, la Germania e l‟Inghilterra, dove alla metà degli anni Venti del Settecento approdò anche una formazione proveniente dal San Samuele di Venezia. Il rapporto di somiglianza tra la proteiforme produzione del teatro Grimani negli anni 1726-1749 e quella dei teatri delle foires parigine, ad esempio, o della seconda Comédie Italienne, rinvia proprio alla trasmissione oltreconfine di competenze consolidate e repertori teatrali estremamente ampi. Non è possibile approfondire in questa sede l‟esame delle relazioni tra le pièces foranee e le commedie allestite al San Samuele, laddove un confronto potrebbe dimostrare l‟effettività di una veicolazione intensa dei temi, dei modi, degli stili e della tecnica produttiva fra Italia e Francia. Questa continuità e contiguità dei repertori trova un fondamento, credo, nell‟unione di due elementi. Da un lato risultano essenziali i giri o i trasferimenti delle compagnie italiane: si veda ad esempio il caso di Giovan Battista Costantini, operativo alle fiere parigine di Saint-Germain e Saint-Laurent nel secondo decennio del Settecento e il cui successo derivava dallo sfruttamento «di spunti di attualità e di satira di costume», «ricerca degli effetti più spiccatamente spettacolari» e dalla «grande importanza assegnata […] all‟elemento musicale» (Renzo Guardenti, Le fiere del teatro. Percorsi del teatro forain del primo Settecento. Con

una scelta di commedie rappresentate alle Foires Saint-Germain e Saint-Laurent [1711-1715], Roma,

Bulzoni, 1995, p. 79); oppure si consideri l‟importanza, per la nascita dell‟opera-comique, delle rappresentazioni di intermezzi fatte a Parigi dalla coppia di buffi composta da Antonio Ristorini e Rosa Ungarelli sul finire degli anni Venti (cfr. Andrea Fabiano-Michel Noiray, L‟opera italiana in

Francia nel Settecento: il viaggio di un‟idea di teatro, Torino, EDT, 2013, pp. 10-13). In secondo

luogo, come ho già detto, un ruolo fondamentale nella frammentazione del repertorio delle compagnie comiche fu giocato dalla necessità di confrontarsi con le maggiori realtà spettacolari del tempo; questo avvenne tanto in Italia che in Francia, «pena non solo la sopravvivenza, ma addirittura la rinuncia al proprio statuto di teatro professionistico» (Renzo Guardenti, Varietà di forme spettacolari: l‟esempio

della Seconda Comedie Italienne, in Fortuna europea della Commedia dell‟Arte. Atti del convegno di

studi [Roma, 2-5 ottobre 2008], a cura di Myriam Chiabò e Federico Doglio, Roma, Torre d‟Orfeo, 2010, pp. 45-58: 54). Per un ulteriore approfondimento sul teatro francese delle fiere e sulla estesissima produzione della seconda Comédie Italienne, cfr. anche Id., Commedia dell'Arte e Théâtre

L‟esaltazione della commedia a soggetto per mezzo della meraviglia dell‟apparato, la riduzione della tragedia classica a «tragicomedia», «tragedia di lieto fine» o «commedia di buon carattere», e la critica del melodramma veicolata dai drammi musicali e dagli intermezzi credo facessero parte di un‟unica strategia produttiva: allargando i confini della propria offerta spettacolare, la formazione del San Samuele si ergeva a centro dell‟attività performativa veneziana e concentrava su di sé l‟attenzione di una fetta sempre più consistente di pubblico. Essa operava in sostanza un doppio movimento, verso l‟esterno espandendo il proprio mansionario in termini di specializzazioni di genere, e verso l‟interno riconducendo tutte le diverse linee rappresentative al comune denominatore della teatralità più pura. In questo senso venivano smussate le spigolosità dei diversi campi, e le peculiarità dell‟uno e dell‟altro erano rimescolate nell‟unico calderone di una performatività quasi totale: la violenza della tragedia era stemperata nei toni da melodramma, o per mezzo dell‟introduzione degli intermezzi comico musicali tra gli atti; l‟opera seria si sbriciolava nella commedia in musica sotto le picconate parodiche di personaggi caricati alla maniera ridicola, o veniva abbassata al livello borghese e popolare negli intermezzi; la commedia Improvvisa si arricchiva degli effetti sensazionali della macchineria. Come un efficiente polmone, la compagnia del San Samuele assorbiva l‟utile dal panorama spettacolare rigettando il superfluo. Anche in questo consisteva il gioco d‟equilibrio dei teatranti nel primo Settecento: in attesa di una vera e propria rivoluzione come quella stimolata dalla riforma goldoniana, i professionisti avanzavano con generosità e arguzia, di novità in novità, verso il presentito rinnovamento, senza ambizioni riformistiche, ma con l‟unica preoccupazione di divertire il pubblico.

Il secondo luogo delle memorie di Riminaldi su cui mi pare utile soffermare l‟attenzione è quello riguardante la moralità dei comici e delle loro rappresentazioni. Alla data del 20 maggio egli appunta l‟intervento del legato pontificio, «il quale, essendo scrupoloso in sentire le comedie troppo licenziose, […] ha fatto delle riprese

de la Foire. Aspetti e problemi dell'apporto italiano, in Origini della Commedia improvvisa o dell'Arte. Atti del convegno di studi (Roma-Anagni, 12-15 ottobre 1995), a cura di Myriam Chiabò e

Federico Doglio, Roma, Torre d'Orfeo, 1996, pp. 345-367; Id., Motivi parodici dall‟Ancien Théâtre

Italien alla Foire, in Studi e testimonianze in onore di Ferruccio Marotti, III. Lo spettacolo dall‟Umanesimo al Barocco; la Commedia dell‟Arte, a cura di Guido di Palma et al., «Biblioteca

teatrale», n.s., 2011, 97-98, pp. 245-264; Emanuele De Luca, Il repertorio della Comédie-Italienne di

alli comici, che regolino il loro parlare con più moderata saviezza, altrimenti al termine delle loro fatiche gliene renderebbono stretto conto». Lo spettatore ferrarese attribuisce però questo giudizio negativo all‟eccessiva severità («un sofistico pensiero») del ministro, dal momento che, per quanto riguarda gli attori, «comune è la voce, che siano assai bravi, e valenti, e molto più regolati».

Come ho già diffusamente tentato di dimostrare, non credo tuttavia che questa „regolatezza‟ sia da ricondurre a un programma più generale di moralizzazione del teatro, né tantomeno di riforma.129 Si può certo pensare a un approccio più ragionato alle opere da mettere in scena, come dimostra la scelta di un repertorio completo e comprensivo di un buon numero di testi „seri‟. Ma non si deve dimenticare che a questi facevano spesso da umoristico contraltare le farse e le commedie buffonesche di discendenza cinque-secentesca.130

La «voce comune» cui fa affidamento Riminaldi vale senza dubbio come testimone attendibile, poiché il pubblico contemporaneo aveva termini di paragone in quantità e, seppure talvolta ciarliero e cafone, frequentava abbastanza i teatri da saper comparare compagnie diversamente dotate. Ma è altrettanto vero che non fu quella la prima volta in cui Imer fu richiamato all‟ordine dalle autorità, segno di una condotta della sua formazione non sempre così sobria. Il racconto di un‟altra tirata d‟orecchi subita dai comici del San Samuele è offerto da Girolamo Zanetti nei suoi scritti memorialistici: il 9 febbraio 1743

gli illustrissimi del Magistrato alla bestemmia, fecero chiamare i comici di S. Samuel e

proibirono loro di far cantare gli orbi ne‟ cori del Rutzvanschad, e ciò perché li cantavano sul tuono che sogliono cantare le orazioni; questo accadde ieri.131

129 È quel che sembra sostenere Giuseppe Ortolani quando scrive che «desideri e tentativi di riforma non mancavano nel teatro di S. Samuele da parte della compagnia Imer, anche dopo l‟abbandono del Goldoni» (Ortolani, Appunti per la storia della riforma del teatro, cit., p. 31).

130 Credo che nel percorso artistico di Imer e Casali si possano riconoscere delle similitudini con quello di Pietro Cotta sul finire del secolo precedente: «dopo aver passato tutti i gradi gerarchici dell‟arte nella compagnia Calderoni dove rivestiva il ruolo d‟innamorato, Celio divenne “Chef d‟une Troupe” con la quale tentò in diversi modi d‟allargare i repertori e variare le tecniche produttive dei comici, più che per riformare il teatro, come sostiene Riccoboni, per sfuggire la monotonia in cui era caduto lo spettacolo barocco. Rivestì egli stesso la funzione di autore […]» (Guccini, Per una storia

del teatro dei dilettanti, cit., p. 286).

131 Girolamo Zanetti, Memorie per servire all‟istoria dell‟inclita città di Venezia, a cura di Federico Stefani, in «Archivio veneto», n.s., 1885, 15, fasc. 57, to. 29, parte I, pp. 93-148: 110. Gli orbi, chiamati anche orbini, furono i successori dei più noti cantastorie, dei quali ereditarono la professione all‟affermarsi della musica colta. Essi si esibivano nelle piazze cittadine in cambio di elemosina, ma la qualità delle loro performances era ormai in netto declino all‟alba del XVIII secolo. (Cfr. Corrado Ricci, I teatri di Bologna nei secoli XVII e XVIII. Storia aneddotica, Bologna, Successori Monti, 1888 [rist. anast. Bologna, Forni, 1965], pp. 61-66, n. 3).

La censura non perse tempo a intervenire, visto che lo spettacolo era stato dato al teatro Grimani la sera del 7 febbraio. Il nobile veneziano Zaccaria Valaresso aveva composto Rutzvanscad il giovine per parodiare quella che dagli eruditi del suo tempo era ritenuta la tragedia formalmente perfetta, Ulisse il giovane di Domenico Lazzarini.

Il modo in cui Zanetti riferisce la notizia della partecipazione degli orbini allo spettacolo sembra suggerire che l‟evento fosse abbastanza eccezionale; di certo il loro successo fu enorme.

Vi furono i cori degli orbi di piazza cantati da veri orbi di piazza, i quali da se stessi li posero in musica, o per dir meglio li concertarono, come dicesi, a orecchia, e fecero ridere sbardellatamente gli uditori.132

Il reale coinvolgimento di questi artisti di piazza nella satira ribadisce come il teatro Grimani offrisse una spettacolarità a trecentosessanta gradi. Imer non si limitò a fingere un coro di orbi in scena, ma si affidò a un corteo di cantimpanca d‟eccezione, forse gli ultimi „portatori sani‟ di una spettacolarità di piazza inquinata dall‟eccessiva miseria e degradata dal sempre più evidente divario con le sontuose rappresentazioni dei teatri pubblici.

Zanetti aggiunge poi un dettaglio che mi sembra interessante, e che potrebbe essere applicato anche ad altri casi. Egli scrive che il Rutzvanscad «fu rappresentato ad eccellenza, caricando le tragedie già recitate le sere innanzi»:133 il 4 febbraio, appena tre sere prima, gli stessi attori avevano rappresentato Ulisse il giovane. Mi sembra plausibile che questo «caricare le tragedie» sia stato un vero e proprio modus operandi della compagnia veneziana, facilitato dalla vastità del repertorio. Seppure con intenti non esattamente parodici, secondo una concezione simile potrebbe aver agito Gaetano Casali adattando l‟Artaserse che era caduto al San Giovanni Grisostomo o le altre tragedie ricavate dai più celebri melodrammi. Le metamorfosi odiamorose e Il troiano schernito sbeffeggiavano la Didone abbandonata di Metastasio, acclamatissima al debutto veneziano nel 1725 e molte volte replicata, e viene quasi da sospettare che nel bagaglio della truppa comica fosse entrata anche una riduzione in prosa dell‟opera lirica, magari da combinare con le sue parodie in una serie di rappresentazioni ravvicinate.

132 Zanetti, Memorie, cit., p. 109. 133 Ibidem.

Per dirla in termini statistici, una strategia di questo genere, oltre a permettere un ampliamento multidirezionale del repertorio, avrebbe garantito alla compagnia una percentuale minima di successo del cinquanta per cento: qualora la tragedia non avesse incontrato il favore del pubblico, gli stessi interpreti potevano replicare alle critiche assecondando gli spettatori e allestendo la parodia della performance appena fallita. Ma in caso di buona accoglienza dello spettacolo tragico, avevano l‟opportunità di bissare il buon esito di quello creando una sorta di dittico tragico- comico, dove i due generi restavano formalmente divisi, ma concorrevano a un unico trionfo. Così le due rappresentazioni si sostenevano l‟un l‟altra, incalzando il confronto e il dibattito anche nel pubblico: su quale delle due fosse più capace di coinvolgere o divertire, quale fosse meglio interpretata da quello o questo attore, o su quale parte fosse più consona alle qualità di ogni comico. Forse questo gioco, portato al limite, può aver costretto talvolta le autorità a emanare restrizioni e richiami, ma i vantaggi per la truppa saranno stati certamente maggiori. In mancanza di riprove sistematiche di questa pratica, non si può tuttavia andare oltre la semplice congettura. Parlano invece più chiaro le notizie circa il metodo di conduzione della truppa comica del San Samuele. Come si è visto, nei suoi appunti Riminaldi scrive «compagnia di S. Samuele di Venezia del famoso Sacchi». Truffaldino era certamente una delle punte di diamante del gruppo, ma il suo ruolo come capocomico nel 1747 non è attestato. Sembrano smentirlo del tutto due documenti conservati presso il fondo del Consiglio di Reggenza dell‟archivio di Stato di Firenze, risalenti al novembre 1746 e al maggio 1747 e riguardanti la tournée fiorentina della compagnia nell‟estate di quest‟anno. Nel primo il ruolo di Giuseppe Imer appare ancora chiaramente caratterizzato da mansioni direttive che ne fanno l‟emblema della truppa:

[…] il signor Michele Grimani propone la compagnia di commedianti, che sta al suo servizio, di mandarla qua per far le sue recite dalla metà del giugno prossimo venturo fino alla metà di settembre; per esser questa una delle migliori compagnie, e per la raccomandazione di sì degno cavaliere, volentieri mi interesso a domandare all‟imperiale reggenza la permissione di poter recitare nel teatro di via del Cocomero per detto tempo, e

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