La riconosciuta partecipazione (solo) agli utili dell’impresa familiare, ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato, viene ritenuta avere com-portato, come già in precedenza evidenziato, «una riduzione sin troppo significativa (…) delle tutele spettanti al “convivente” rispetto a quelle riconosciute al “familiare” dall’art. 230 bis c.c.»51. Al riguardo, ormai suf-ficientemente chiara la diversa scelta operata dal legislatore della novella se confrontata con l’impianto dell’art. 230 bis c.c. in ragione di quanto già esplicitato all’inizio di questa trattazione a giustificazione delle differenze
48 In tal senso, con riferimento all’art. 230 bis c.c., Cass., 16.6.2010, n. 14580, in Fallimento, 2010, 1146 s., con nota di TRenTini, Impresa familiare e fallimento dei partecipanti, che evi-denzia la necessità di verificare, ai fini dell’estensione del fallimento del titolare dell’impresa familiare agli altri componenti della stessa, se vi sia stata la spendita del nomen della società o quanto meno l’esteriorizzazione del vincolo sociale, l’assunzione delle obbligazioni sociali ovvero un complessivo atteggiarsi idoneo ad ingenerare nei terzi un colpevole affidamento in ordine all’esistenza di un vincolo societario.
49 Il richiamo è, rispetto al familiare di cui all’art. 230 bis c.c., alla pronuncia di T. Torino, 25.3.1991, in Fallimento, 1991, 1193 ss.; conformemente T. Cassino, 23.1.2001, in Giust. civ., 2002, I, 225 ss.
50 La puntualizzazione, sempre rispetto all’impresa familiare ex art. 230 bis c.c., si deve a Cass., 24.3.2000, n. 3520, in Fallimento, 2001, 281 ss., con nota di minuToli G., Impresa fami-liare a gestione individuale o collettiva e società di fatto; similmente, in precedenza, T. Roma, 5.7.1995, in Dir. fall., 1996, II, 776 ss., con nota di Di GRavio, L’estensione del fallimento alla moglie del farmacista, con riguardo alla dichiarazione di fallimento di una società di fatto tra due coniugi in ordine alla gestione di una farmacia.
51 quaDRi G., Le prestazioni di lavoro del convivente, cit., 611.
tra le due fattispecie, riflesso della diversità tra matrimonio (o unione civile) e convivenza, non può comunque escludersi l’appropriato riferimento alle soluzioni a cui sono giunte dottrina e giurisprudenza in ordine alla operativa individuazione e determinativa consistenza dei (comuni) diritti patrimoniali.
Ora, ricavato l’ammontare dell’utile una volta dedotti i debiti di impresa e ferma la relativa commisurazione al lavoro prestato, il criterio preferibile di determinazione della quota spettante al convivente che presta la propria opera, per potere così determinare in concreto la misura degli utili da attri-buire, rimane pur sempre quello convenzionale52, potendosi cioè riferire ad un atto di predeterminazione (delle relative quote di partecipazione) da utilizzare, con valore di elemento presuntivo (dovendosi dunque, per chi affermasse diversamente, dimostrare il contrario), nelle controversie rela-tive alla misura della partecipazione agli utili53. In ordine, poi, al momento a partire dal quale matura il diritto di partecipazione agli utili, può segna-larsi, mutuando quanto elaborato rispetto all’art. 230 bis c.c., la cessazione dell’impresa familiare rispetto alla collaborazione del singolo partecipante o l’estinzione in senso proprio dell’impresa familiare, in assenza di diverso patto tra i partecipanti relativo alla distribuzione periodica degli stessi, in quanto tale diritto non si pone in termini di compenso dotato del carattere di corrispettività ma appare condizionato (e, pertanto, qualificabile solo a posteriori) dai risultati raggiunti dall’azienda54; si ritiene pertanto che
52 In merito quaDRi G., Le prestazioni di lavoro del convivente, cit., 614.
53 In tal senso, con riguardo all’art. 230 bis c.c., Cass., 17.6.2003, n. 9683, in Foro it., 2003, I, 2628 ss. e in Famiglia e dir., 2004, 81 ss.; sul carattere indiziario, agli effetti del riparto dei conferimenti, della scrittura effettuata ai fini fiscali (ai sensi dell’art. 9, l. 2.12.1975, n. 576, contenente disposizioni in materia di imposte sui redditi e sulle successioni), ricognitiva dell’apporto effettivo di ciascun partecipante, v. Cass., 20.3.2007, n. 6631, in Banca dati Utet giuridica; conformemente Cass., 5.9.2012, n. 14908, in Famiglia e dir., 2014, 249 s., con nota di CiliBeRTo, La partecipazione agli utili nell’impresa familiare; il valore probatorio degli atti di predeterminazione delle quote; da ultimo Cass., 16.3.2106, n. 5224, in Banca dati Utet giuridica.
54 Si tratta di orientamento giurisprudenziale consolidato: Cass., 16.4.1992, n. 4650, in Giur. it., 1993, I, 1, 1052 ss., con nota di BalesTRa, Sugli effetti dell’atto di determinazione delle quote di partecipazione agli utili dell’impresa familiare; Cass., 18.12.1992, n. 13390, in Nuova giur. comm., 1993, I, 609 ss., con nota di BonTempi, Impresa familiare e retribu-zione; Cass., 22.10.1999, n. 11921, con nota di BalesTRa, Sulla decorrenza degli interessi sugli utili spettanti al partecipante all’impresa familiare; Cass., 23.6.2008, n. 17057, in Famiglia e dir., 2009, 229 ss., con nota (dubitativa) di DelmonTe, Sulla maturazione del diritto agli utili nell’impresa familiare: la discutibile soluzione della Suprema Corte; da ultimo Cass., 8.4.2015, n. 7007, in Famiglia e dir., 2015, 1080 s., con nota (adesiva) di BaRillà, Partecipa-zione all’impresa familiare, sorte degli utili non ripartiti e prova della comunione; Cass., 2.12.2015, n. 24560, cit.; Cass., 16.3.2016, n. 5224, cit.; conformemente, in dottrina, Colussi,
da tale data decorrano rivalutazione e interessi ai sensi dell’art. 429 c.p.c., disposizione ritenuta applicabile in ragione della riconducibilità della rela-tiva controversia tra quelle di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c.55. In senso contra-rio si eccepisce tuttavia, a favore della distribuzione pecontra-riodica degli utili, che la disciplina di cui all’art. 230 bis c.c. «ancorché con modalità diverse rispetto a quanto normalmente accade, è sostanzialmente volta a retribuire la prestazione di lavoro dei familiari. Il diritto di partecipazione a contenuto patrimoniale è quindi da considerare come compenso, sia pure non in senso tecnico, dell’attività svolta»56, conformemente, peraltro, a quanto sostenuto da chi distingue il diritto di partecipazione agli utili, ritenuto appunto matu-rare periodicamente, dalla liquidazione concernente la quota di utili e incre-menti non distribuiti, collegata invece al venir meno della collaborazione del familiare57. Tuttavia la stessa eventuale periodicità (ad es. annuale, in quanto commisurata all’esercizio) può rilevarsi non appropriata per il convivente, differentemente da quanto accade per il familiare lavoratore «che riceve un compenso periodico per l’attività lavorativa svolta già attraverso il diritto al mantenimento ad esso riconosciuto dall’art. 230 bis c.c.»58.
Quanto, infine, alla relativa imputazione ai fini fiscali, alla luce della normativa di settore che individua il soggetto passivo nell’imprenditore titolare, quale soggetto produttore di reddito, l’indirizzo dei giudici di legit-timità è nel senso di ravvisare nei familiari che prestano attività lavorativa nell’impresa familiare dei semplici collaboratori, con esclusione, dunque,
Impresa familiare, in Riv. dir. civ., 1981, I, 690; anDRini, Impresa familiare, cit., 225, ad avviso della quale tale diritto agli utili (così come pure quello agli incrementi) «nella sua con-sistenza patrimoniale, potrà essere determinato solo alla cessazione del rapporto, mentre la percezione degli stessi, a seguito della redistribuzione annuale operata dall’imprenditore, non è che un acconto sui futuri dividendi»; nuzzo M., L’impresa familiare, in Il diritto di famiglia, Tratt. Bonilini-Cattaneo, II, 2a ed., Torino, 2007, 485.
55 Il riferimento è a Cass., 16.4.1992, n. 4650, cit.; Cass., 22.10.1999, n. 11921, cit.; Cass., 23.6.2008, n. 17057, cit.; Cass., 5.9.2012, n. 14908, in Formazione Domani, 2014, 249.
56 BalesTRa, Attività d’impresa, cit., 542; similmente pRospeRi, Impresa familiare, cit., 193 ss., a cui avviso il diritto di partecipazione agli utili deve ritenersi maturare «periodicamente, alla chiusura di ogni esercizio economico che si ha con l’approvazione del bilancio di eserci-zio» (195); diversamente da ultimo, in giurisprudenza, Cass., 23.6.2008, n. 17057, cit.
57 La distinzione tra quanto spettante (e determinato) alla chiusura di ogni esercizio eco-nomico (in corrispondenza all’approvazione del bilancio di esercizio) e quanto computabile alla cessazione della partecipazione si deve a pRospeRi, Impresa familiare, cit., 193 ss. e 276 ss.
58 quaDRi G., Le prestazioni di lavoro del convivente, cit., 616; in merito, altresì, Tola, Famiglia, famiglie e discriminazioni, cit., 894, rilevando che proprio per l’assenza del man-tenimento al convivente deve essere riconosciuto il diritto alla percezione degli utili al termine di ogni esercizio economico.
della contitolarità; i compensi percepiti dai partecipanti vengono quindi qua-lificati in termini di redditi di puro lavoro, non assimilabili pertanto a quelli di impresa, in assenza tuttavia di previa determinazione (prima cioè dell’ini-zio dell’anno finanziario) delle quote di partecipadell’ini-zione agli utili dell’impresa medesima, potendosi invece in questo caso imputare i redditi ai singoli fami-liari collaboratori59, comunque nella misura massima del 49%, dovendosi imputare il rimanente 51% all’imprenditore, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 5, 4° co., d.p.r. 22.12.1986, n. 917, recante il testo unico delle imposte sui redditi60. La disposizione ora richiamata è stata espressamente ritenuta applicabile dall’amministrazione finanziaria anche al convivente di fatto di cui all’art. 230 ter c.c., atteso che il riferimento contenuto in quest’ultima (nuova) previsione normativa alla partecipazione agli utili dell’impresa fami-liare «consente di applicare anche a questa fattispecie i principi generali che hanno portato alla collocazione dell’impresa familiare all’interno dell’art. 5 TUIR»61, con la conseguenza che (nel caso di specie) il reddito spettante
59 In questo senso Cass., (ord.) 22.12.2017, n. 30842, cit., che ha coerentemente tratto dall’impostazione surriferita il principio di diritto per il quale nel giudizio di impugnazione avverso l’avviso di accertamento concernente la rettifica del reddito di un’impresa familiare non sussiste il litisconsorzio necessario tra il titolare dell’impresa medesima e i familiari che lo collaborano, atteso che l’accertamento tributario non estende i propri effetti alle quote di par-tecipazione dei collaboratori (per l’appunto titolari di redditi di puro lavoro). Nella medesima logica sembra poi porsi, prestando tuttavia il fianco a qualche rilievo critico, la recentissima decisione di Cass., (ord.) 7.6.2018, n. 14789, (solo massima) in Guida al lavoro, 22.6.2018, 26, 46, con nota di seRviDio, Impresa familiare ed imponibilità Irap, affermando che il contri-buente (nel caso di specie un agente di commercio), il quale svolge l’attività sotto forma di impresa familiare, nella propria qualità dunque di imprenditore familiare, avvalendosi della collaborazione di moglie e figli, è soggetto al pagamento dell’imposta sul reddito delle attività produttive.
60 Ai sensi dell’art. 5, 4° co., d.p.r. n. 917/1986 «I redditi delle imprese familiari di cui all’art. 230 bis del c.c., limitatamente al 49% dell’ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’imprenditore, sono imputati a ciascun familiare, che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell’impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili. La presente disposizione si applica a condizione: a) che i familiari partecipanti all’impresa risultino nominativamente, con l’indicazione del rapporto di parentela o di affinità con l’imprenditore, da atto pubblico o da scrittura privata autenti-cata anteriore all’inizio del periodo d’imposta, recante la sottoscrizione dell’imprenditore e dei familiari partecipanti; b) che la dichiarazione dei redditi dell’imprenditore rechi l’indicazione delle quote di partecipazione agli utili spettanti ai familiari e l’attestazione che le quote stesse sono proporzionate alla qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato nell’impresa in modo continuativo e prevalente, nel periodo d’imposta; c) che ciascun familiare attesti, nella propria dichiarazione dei redditi, di aver prestato la sua attività di lavoro nell’impresa in modo continuativo e prevalente».
61 Risoluzione Agenzia delle entrate, 26.10.2017, n. 134/E, che tuttavia appropriatamente rileva come «La scelta del legislatore di introdurre una disciplina specifica per il convivente,
alla convivente di fatto, derivante dalla partecipazione agli utili dell’impresa del convivente, è a lei imputabile in proporzione alla sua quota di partecipa-zione. Diversamente, invece, è stato ritenuto dall’istituto previdenziale con riferimento ai diritti e agli obblighi di copertura previdenziale che, previsti per il familiare coadiutore e applicabili (oggi) anche alle parti delle unioni civili, non sono considerati operanti per i conviventi di fatto, atteso che la nuova normativa (ossia la l. n. 76/2016) «non introduce alcuna equiparazione di status né estende al convivente (…) gli stessi diritti/obblighi di coper-tura previdenziale previsti per il familiare coadiutore»62; più specificamente è stato sottolineato, a giustificazione della mancata applicazione della rela-tiva disciplina contributivo-previdenziale ai conviventi, che a questi ultimi l’art. 230 ter c.c. riconosce il diritto a partecipare agli utili ma non sono con-feriti gli stessi diritti di cui godono i familiari di cui all’art. 230 bis c.c., «poi-ché a tal fine il legislatore avrebbe utilizzato locuzioni idonee ad includere il convivente nella formazione del predetto articolo e non avrebbe al contrario introdotto un nuovo articolo, che disciplina separatamente i diritti del con-vivente che presti attività in un’impresa familiare»63.
In termini di diritto di credito a favore del convivente si pongono poi, con-formemente alla riconosciuta natura individuale dell’impresa familiare, sia la partecipazione ai beni acquistati con gli utili dell’impresa medesima (che dunque non debbono essere tutti distribuiti), dovendosi affermare la titola-rità esclusiva in capo all’imprenditore dei beni così acquistati64, sia la parte-cipazione agli incrementi dell’azienda, dovendosi avere riguardo «ad ogni accrescimento del patrimonio aziendale e del relativo valore, quando sia pur
diversa da quella dell’impresa familiare, regolata dal precedente art. 230-bis del c.c., riflette l’intenzione di mantenere su posizioni differenti la collaborazione del convivente rispetto a quella del familiare (o della parte civile, alla quale la disciplina dell’impresa familiare è appli-cabile), come si evince da alcune diversità di rilievo dei regimi previsti dagli articoli 230-bis e 230-ter del c.c.»; indicazioni, al riguardo, in feRRanTi, Impresa familiare, convivenze di fatto e unioni civili, in Corriere trib., 2017, 3575 ss. e spec. 3579 s. e in Capolupo, Imputazione degli utili dell’impresa familiare al convivente di fatto, in Fisco, 2017, 4307 ss., il quale, pur condi-videndo la conclusione degli organi centrali, si chiede se ciò «rispecchi la effettiva volontà del legislatore anche a voler ipotizzare che in sede di emanazione dell’art. 230-ter c.c. il problema fiscale non sia stato proprio affrontato» (4311).
62 Circ. Inps, 31.3.2017, n. 66.
63 Circ. Inps, 31.3.2017, n. 66; criticamente, in merito, feRRanTi, Impresa familiare, cit., 3580, ritenendo maggiormente condivisibile l’interpretazione (estensiva) dell’amministrazione finanziaria, sia pure in ordine alla diversa questione reddituale di cui si è dato conto, in prece-denza, in testo.
64 Similmente quaDRi G., Le prestazioni di lavoro del convivente, cit., 616.
sempre riconducibile allo svolgimento dell’attività d’impresa»65; in tal senso un consolidato orientamento giurisprudenziale, di recente ribadito, precisa che «la distinzione tra l’aspetto, interno, costituito dal rapporto associativo del gruppo familiare quanto alla regolamentazione dei vantaggi economici di ciascun componente, e l’aspetto esterno, nel quale ha rilevanza esclusiva la figura del familiare-imprenditore, effettivo gestore dell’impresa, comporta che gli acquisti di beni, ancorché eseguiti con i proventi dell’impresa, non rendono i partecipanti comproprietari di essi, siccome essi hanno esclusi-vamente diritti che si configurino come diritti di credito agli utili, ai beni acquistati con essi e agli incrementi proporzionali al lavoro prestato»66.
65 quaDRi G., Le prestazioni di lavoro del convivente, cit., 618.
66 Cass., 16.1.2004, n. 631, in Notariato, 2005, 486, con nota di manDRà, Impresa familiare e diritti sull’immobile acquistato in nome del titolare; in senso contrario in dottrina, per la tesi della contitolarità, auleTTa T., Diritto di famiglia, cit., 314; in precedenza BianCa C.M., Diritto civile, 2, cit., 373 s.; iD., La famiglia, cit., 504; iD., Diritto civile, 2.1, cit., 554 s.