• Non ci sono risultati.

I pesticidi oggetto di questo lavoro sono i pesticidi clorurati, caratterizzati dalla presenza di anelli organici di varia complessità sostituiti con atomi di cloro; tali molecole presentano una struttura estremamente stabile a livello ambientale, tanto da non poter essere metabolizzati facilmente, anche se esistono specie batteriche in grado di effettuare reazioni parziali di degradazione degli stessi (Dolara, 1997). Hanno fatto la loro comparsa attorno agli anni ’40-’50 e costituiscono uno dei gruppi maggiormente incriminato e monitorato; I composti che ne fanno parte, presentano particolari proprietà chimiche quali:

 Una solubilità estremamente bassa in acqua

 Un’alta solubilità in sostanze idrofobe come i grassi degli esseri viventi e in molti solventi organici

Di questo importante gruppo fa parte anche il diclorodifeniltricloroetano (DDT); esso tende a degradarsi molto lentamente nell'ambiente; nel suolo è stato calcolato un tempo di semivita di 4.3 - 5.3 anni (Woodwell et al. 1971), e nell'acqua di mare di 15 anni (Edwards, 1973). Fu sintetizzato per la prima volta nel 1874, ma solo diversi decenni più tardi il chimico Paul Muller ne scoprì l’attività insetticida. Si tratta di una sostanza cristallina, apolare, con una solubilità in acqua inferiore a 2 ppm, mentre è solubile nella maggior parte dei solventi organici. Strutturalmente, una molecola di DDT è un etano sostituito; i tre atomi di idrogeno legati a uno dei due atomi di carbonio sono sostituiti da atomi di cloro, mentre due dei tre atomi di idrogeno legati al secondo carbonio, sono rimpiazzati ciascuno da un anello benzenico contenente un atomo di cloro in posizione para, opposta cioè alla posizione del carbonio che nell’anello è legato all’unità etano.

Questa molecola si rivelò un potente veleno da contatto per il sistema nervoso degli insetti; infatti durante la seconda Guerra Mondiale fu impiegato per combattere le varie epidemie delle truppe, soprattutto la malaria, il cui vettore, la zanzara del genere Anopheles, era risultato particolarmente sensibile a questo insetticida. L’azione di questa molecola si esplica sulle fibre nervose periferiche e sui loro recettori sensoriali inibendo le Mg2+, le Na+, e le K+- ATPasi, che controllano il trasferimento attivo di ioni attraverso il neurilemma (Joy, 1982; Murty, 1986). Gli effetti che determina negli insetti sono quindi di origine nervosa: riduzione della capacità di coordinazione, atassia e tremore delle zampe; tali sintomi possono essere seguiti da immobilità o morte (Joy, 1982). Dopo la guerra fu commercializzato per usi agricoli e forestali; i primi studi avevano dimostrato la bassa tossicità del DDT sull’uomo e sui mammiferi ed inoltre il suo assorbimento attraverso la pelle era risultato molto scarso (Kutz et al., 1991). Questo portò ad un incremento della produzione e dell’uso fino a raggiungere un massimo nel 1963. Già nel 1962, però Rachel Carson aveva lanciato un primo grido di allarme nei confronti della pericolosità del DDT pubblicando il libro “The Silent Spring”, in cui per la prima volta a questo insetticida venivano attribuite gravi disfunzioni nella biologia riproduttiva di alcune specie di uccelli; tali disfunzioni si manifestavano in vario modo, dal decremento delle nascite fino all’estinzione della popolazione (Carson, 1962). L’uso del DDT fu proibito negli USA solo nel 1972; negli anni seguenti altri paesi ne limitarono o vietarono l’utilizzo. Ancora oggi, tuttavia, in alcune regioni tropicali è impiegato per il controllo degli

insetti vettori della malaria, considerando i suoi effetti negativi come “il male minore”. E’ stato stimato che dal 1943 al 1977 siano state introdotte nell’ambiente più di tre milioni di tonnellate di DDT e che gli USA hanno rappresentato uno dei principali produttori anche se questo pesticida è stato utilizzato maggiormente in altri paesi. Nel 1971 la National Accademy of Sciences aveva stimato la quantità di DDT immessa nel sistema marino annualmente pari a 2,4 x 107 Kg. In quel periodo questo valore corrispondeva a circa un quarto della stima della produzione mondiale di DDT. Il DDT nell’ambiente è sottoposto all’azione di fattori abiotici (temperatura, acqua, luce) e biotici (attività degli organismi) e viene degradato a diclorodifenildicloroetilene (DDE) ed a diclorodifenildicloroetano (DDD); entrambe sono molecole che hanno proprietà simili a quelle del principio attivo (Van den Berg et al., 1995). Sia del principio attivo che dei suoi derivati esistono i due isomeri pp’ e op’; la miscela commerciale contiene un 70% di pp’ DDT ed un 30% di op’ DDT, il quale non ha proprietà insetticide. La diversa pressione divapore degli isomeri del DDT determina una differente capacità di vaporizzazione e di conseguenza percentuali diverse nell’atmosfera e nell’acqua degli isomeri stessi. In genere l’insieme del DDT e dei suoi prodotti di degradazione viene indicato con i termini di residui di DDT o DDT totale. Il DDT ed i suoi metaboliti hanno una elevata resistenza alla fotossidazione, una alta liposolubilità, e scarsa idrosolubilità, tutte caratteristiche che li rendono altamente stabili ed in grado di persistere per lungo tempo nell’ambiente; infatti quantità fino al 50% del prodotto applicato possono restare nel terreno per 10-15 anni (Fisher, 1999). Inoltre, in virtù del loro alto coefficiente di ripartizione lipidi/acqua, tendono ad accumularsi negli organismi, in particolare in tessuti ed organi ricchi di grasso (Joy, 1982). Da ciò consegue che l’uomo, posto all’apice della catena trofica, si trovi esposto ad alte concentrazioni di questo pesticida. L’uomo viene in contatto con il DDT soprattutto attraverso la sua diretta ingestione con l’alimentazione o tramite inalazione; il contatto dermico viene considerato insignificante (Joy, 1982). DDT e metaboliti sono stati riscontrati nella maggior parte dei prodotti alimentari (Guerranti et al., 2003b), anche se residui negli animali domestici sono decisamente diminuiti negli ultimi venti anni. Per quanto riguarda animali macellati, uova e latte si è riscontrata una diminuzione di concentrazione di circa dieci volte dal 1969 al 1979 (Tanabe et al., 1993) e la stessa tendenza può essere osservata nel pesce del Mar Baltico (Falandysz, 1985a, b, 1986a,b,c; Kannan et al., 1992). Da uno studio del 1992 in Vietnam, il DDT è risultato il più comune organoclorurato rilevato nel cibo e l’assunzione giornaliera di DDT e metaboliti è stata calcolata essere pari a 19 μg/persona/die mentre in India pari a 48 mg/persona/die. Tracce di DDT sono state rilevate nel latte umano in tutto il pianeta. In uno studio del 1993 nel latte di donne in quattro remoti villaggi in Papua

Nuova Guinea il DDT fu rinvenuto nel 100% dei campioni (Fisher, 1999). In Italia Focardi et al. (1984), in un’indagine compiuta su latte umano proveniente dalla Toscana centrale, confermano la presenza di DDT in tutti i campioni analizzati, inoltre stimano che i neonati assumano quotidianamente da 2,7 a 15,1 μg di questo insetticida attraverso il latte materno. Negli organismi, uomo incluso, il DDT viene trasformato in DDE che, per le sue proprietà idrofobiche, va incontro a biomagnificazione nella catena trofica (Van den Berg et al., 1995). Un altro metabolita è il DDD, le cui proprietà chimico-fisiche sono simili a quelle del DDT e che persiste nell’ambiente essendo solo lentamente degradato a composti meno attivi. Questi due metaboliti sono poi trasformati in DDA (acido diclorodifenidiclorolacetico) che, essendo solubile in acqua, può essere escreto con le urine.

Metabolismo del DDT C CCl3 H Cl Cl C CCl2 Cl Cl DDT DDE C Cl Cl HCCl2 H C H Cl Cl COOH DDD DDA

Il DDE si accumula prevalentemente per assunzione diretta in seguito alla degradazione di DDT nell’ambiente (Kutz et al., 1991; Van den Berg et al., 1995). Nell’uomo esso tende quindi ad accumularsi in organi e tessuti particolarmente ricchi di lipidi come il tessuto adiposo, in quanto mantiene quelle proprietà idrofobiche proprie del DDT. La capacità di trasformare il DDT in DDE sembra essere il fattore principale nella sopravvivenza degli insetti esposti; essi sono così in grado di “bloccare ” il DDT nel processo di trasformazione che si realizza a livello della cute e dell’intestino, in modo tale da non fargli raggiungere il sistema nervoso centrale (Van den Berg et al., 1995). Eppure, è stato osservato che il DDT e i suoi metaboliti possono presentare effetti neurotossici acuti e cronici anche sull’uomo, a causa di una certa similarità tra il sistema nervoso degli insetti e quello dei mammiferi.

In particolare, Il DDT riesce ad interferire con il trasporto di cationi attraverso le membrane cellulari del sistema nervoso, provocando una irritabilità neuronale e un aumento dell’eccitabilità del sistema nervoso centrale (Weiss, 2004). Il DDT e il diclorodifenildicloroetano (DDD), infatti, sono sostanze che per la loro particolare struttura chimica hanno mostrato, come già detto in precedenza, un’efficace azione tossica bloccando i canali ionici della cellula nervosa. Non altrettanto efficace nel blocco dei canali ionici si è rivelato il diclodifenildicloroetilene (DDE), che per la sua struttura planare (mancanza di carboni tetraedrici) non è in grado di inserirsi efficacemente in tali strutture cellulari e conseguentemente di esercitare un’azione tossica pari a quella sortita dai suoi analoghi (DDT, DDD). Inoltre, già nel 1947, alcuni ricercatori avevano osservato che, somministrando alte dosi di DDT ai ratti, il fegato sviluppava dopo un certo tempo cellule tumorali; altri studi inoltre hanno evidenziato la stretta relazione tra la somministrazione di DDT e lo sviluppo di epatocarcinoma (IARC, 1974). Esiste inoltre un legame tra DDT e cancro, infatti la IARC ha classificato il DDT come possibile cancerogeno umano (Gruppo 2B) sulla base di risultati ottenuti su esperimenti con animali da laboratorio (Falk et al., 1992; Wolff et al., 1993). Il DDT è risultato altamente tossico anche verso le forme di vita acquatiche; molte specie di pesci, infatti, presentano effetti dovuti alla presenza di questo contaminate (Zhang , 2008).

4.0 CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE E BIOLOGICHE DELLA