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I PROBLEMI DELLE CATEGORIE ARTIGIANE E COMMERCIAL

Nel documento ESEMPIO DI TESI AD ART (pagine 107-115)

4.1 I problemi di produzione

Ad un anno dalla ricostituzione dell’Associazione degli Industriali, il panorama che si presentava agli occhi di qualsiasi imprenditore era ancora disastroso. Era ormai ben chiaro a tutti che bisognava ancora lavorare molto per ricostruire in ogni campo della vita nazionale. Per far ciò era necessario produrre e

avere a disposizione uomini e capitali.95

Tutto ciò poteva esser fatto superando gli ostacoli che ritardavano la ripresa del Paese e l’iniziativa privata. Blocchi delle materie prime, difficoltà e costi enormi dei trasporti, costi sempre crescenti dei lavoratori, polverizzazione del capitale per effetto della svalutazione della moneta e difficoltà pertanto di sopperire sia alle spese di ricostruzione e di impianto così come a quelle di gestione. E tutto questo non bastava. Ai rischi già ingigantiti a causa di questi problemi, si aggiungeva il disprezzo della categoria politica per l’imprenditore, considerato un parassita che doveva essere prima controllato e poi eliminato. E’ interessante notare come, stando alle affermazioni di De Micheli, in circa sessant’anni sia cambiata la considerazione

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Era il pensiero di De Micheli”Occorre soprattutto produrre. E per produrre occorrono uomini e mezzi. Impegno degli uomini prima ancora dei mezzi.”, 12 ottobre 1945. Nascita di un giornale, cit. p. 7.

pubblica verso la figura dell’imprenditore. Pensiamo solo al fatto che oggi, in Italia, un imprenditore è a capo del governo; anche se si tratta di un imprenditore piuttosto estraneo all’ establishment confindustriale.

Secondo De Micheli, era quindi indispensabile che sia gli uomini che i partiti riflettessero sulle conseguenze di atteggiamenti, dichiarazioni e metodi che erano lontani dall’incoraggiare l’iniziativa privata.

4.2 L’artigianato

Nel piano della ricostruzione, l’artigianato occupava una posizione di primaria importanza, sia dal lato della produzione, per i bisogni del Paese, sia da quello più vasto dell’esportazione. Pensando alle condizioni dell’industria, quasi a terra per le immani devastazioni subite, ed alle richieste dei mercati internazionali che erano orientati tutti all’assorbimento della produzione artigiana, vediamo che veramente gli artigiani erano la forza più viva sulla quale l’Italia, e per conseguenza gli organi responsabili dovevano veramente contare.

In un’economia costituita dalla mancanza della grande industria e dalla prevalenza di quella piccola e media, l’artigianato era il comparto dopo l’agricoltura, che deteneva il maggior numero di occupati.

E come tutti gli altri settori (agricoltura, industria) molti erano i problemi da risolvere. I principali erano la fornitura di materie prime, l’esportazione del prodotto finito, l’istruzione

professionale delle maestranze, il credito per le botteghe artigiane, l’assistenza sociale, le Cooperative, la patente di mestiere ecc., problemi tutti della massima importanza che dovevano essere trattati con urgenza attraverso il coinvolgimento della Camera Confederale del Lavoro.

4.3 L’Artigianato e l’esportazione

L’artigianato era uno dei settori dell’economia fiorentina che pur essendo stato gravato dai problemi della guerra aveva tutte le caratteristiche per imporsi come settore trainante dell’economia. Pur mancando i dati statistici, risulta che anche prima della guerra l’esportazione artigiana aveva raggiunto notevoli risultanti. I prodotti che uscivano finiti dalle mani dei maestri artigiani erano molto apprezzati soprattutto all’estero.

Col normalizzarsi della situazione anche nel campo commerciale, molte ditte, vecchi commissionari e improvvisati, domandavano continuamente indirizzi e notizie sulla produzione artigiana per la conseguente esportazione.

In alcune riunioni che si erano tenute presso l’Associazione degli Artigiani, era stato fatto presente la necessità di costituire un gruppo denominato Artigiani Esportatori, avente un proprio marchio fiorentino di protezione, che doveva garantire la produzione artigiana nella qualità e che conseguentemente sarebbe stato concesso a quegli artigiani ritenuti meritevoli.

Pertanto una volta convogliata la produzione verso i Paesi esteri questa poteva essere apprezzata nel suo giusto valore artistico e per l’ottima esecuzione.

4.4 L’apprendistato

L’apprendistato nelle botteghe artigiane era fenomeno già in crisi. Molti giovani, infatti, nelle categorie artistiche disertavano le botteghe.

Varie erano le cause: fra le principali vi era l’impossibilità di assunzione, da parte degli artigiani di apprendisti per il gravame costituito dagli oneri contrattuali verso elementi che, specie nei primi periodi di occupazione, mentre non davano alcun rendimento, recavano l’aggravio rappresentato dal necessario tirocinio, cio è perdita di tempo per insegnare, consumo di materiale, ecc.

Altra causa era che questi giovani, e con essi le famiglie, erano attratti da un più facile e rapido guadagno, tendenza che in qualche anno porterà alla scomparsa delle botteghe artigiane insieme al fatto che la possibilità di produrre in serie molti oggetti avrebbe reso troppo costosa la produzione artigiana, per quanto di qualità superiore. Ma a parte questa situazione, all’epoca la causa principale era la differenza che intercorreva, specie sul piano economico per il rendimento immediato, fra l’apprendista dell’impresa industriale e il tirocinante della bottega artigiana.

L’apprendista in un opificio o in una fabbrica poteva essere subito impiegato nei lavori più semplici, perché la suddivisione del lavoro ed il moderno macchinario creavano la possibilità di adibirlo ad un’opera redditizia e quindi era giusto che questi avesse il suo posto e la sua paga contrassegnata nella tabella salariale dei contratti.

Il tirocinante della bottega artigiana, al contrario, per un tempo più o meno lungo doveva stare a vedere, imparare a conoscere i segreti della materia, per applicare ad essa la tecnica della lavorazione, per essere poi adibito ad un lavoro semplice; solo dopo un periodo di apprendistato avrebbe potuto disimpegnare un lavoro redditizio ed arrivare mano a mano ad una completa conoscenza del mestiere, i cui coefficienti sarebbero stati la volontà, la predisposizione dell’apprendista e il genere di lavoro da lui prescelto. Queste, unitamente ad altre minori, erano le cause della rarefazione continua degli apprendisti e della decadenza, nel tempo, della produzione artigiana; quando i professionisti fossero scomparsi senza lasciare allievi formati alla loro scuola, sarebbe stata tutta una tradizione secolare di tecnica sapiente che sarebbe morta senza lasciare traccia di sé.

4.5 Il Commercio

Un'altra branca importante per la ricostruzione economica era il commercio. Ma perché questo potesse riprendere la sua funzione, nel pensiero degli industriali, e il suo ritmo, era indispensabile che fosse lasciato libero, cioè senza vincoli di sorta, che in un

modo o in un altro ne impedivano o ne limitavano i movimenti. Un esempio era offerto dalle limitazioni inflitte ai commercianti nell’acquistare generi alimentari, pelli e cuoiami, stoffe, ecc. Ma le interferenze non erano limitate solo a questi settori. Esistevano altre attività che commerciavano con il legno e il ferro che erano sottoposte ad una burocrazia vincolistica che, in definitiva, serviva a mantenere il mercato nero, come accadeva ad esempio con il sapone.

Quindi, per affrettare, almeno nel settore commerciale, la ricostruzione dell’economia, doveva essere data ampia libertà al commercio, non solo per operare liberamente, in Italia ma anche, appena possibile, con l’Estero.

4.6 Il commercio estero

Questa voce era stata molto importante durante gli anni che precedettero la guerra, però a causa di una politica governativa che non incoraggiava gli scambi con i Paesi Esteri, questa

importante funzione stentava a riprendere96.

La situazione poteva riassumersi nei seguenti termini: le materie prime e molti prodotti sul mercato internazionale costavano molto meno del prezzo che avevano sul mercato italiano. Di contro i prodotti finiti in Italia costavano molto di più del loro

96

Cfr. <<Gazzetta Economica>>, La politica del commercio estero, 7 dicembre 1945, p. 2.

valore sul mercato internazionale determinando l’alto costo della vita e l’impossibilità di esportarli.

I politici, gli imprenditori e i commercianti discutevano sull’opportunità o meno che il Governo intervenisse, importando direttamente a prezzi internazionali e rivendendo a prezzi interni realizzando ingenti proventi.

Con l’intervento statale sarebbe stata risolta la situazione monetaria italiana con l’annullamento di una cospicua massa cartacea. Per altri questo sistema sarebbe stato illusorio; in questo modo si mantenevano alti i prezzi e i costi e quindi il caro vita, rendendo modesta la capacità di acquisto della massa e soprattutto impedendo l’esportazione della produzione italiana e quindi rendendo in definitiva impossibile il pagamento delle importazioni.

Se poi fosse stato reintegrato il sistema dei premi di esportazione, gli utili che il Governo si riprometteva erano assottigliati o addirittura annullati.

Era noto che gli alti prezzi che lo Stato per primo applicava inducevano gli industriali a non preoccuparsi troppo dei costi di produzione, e quindi a lasciar fare su quanto poteva influirvi, perché pensavano che il mercato interno potesse assorbire senza limiti: La situazione del mercato era in grave trasformazione, le masse non avevano che una sempre più limitata capacità di acquisto e quindi gli alti costi non potevano più riversarsi sui consumatori senza ridurre il già limitato tenore di vita e creare ancor più gravi squilibri sociali.

L’unica azione che poteva essere to llerata dal Governo era l’acquisto e la rivendita a prezzo di mercato di quanto l’esecutivo

potesse acquistare con i mezzi propri (AM lire, UNRRA) e contemporaneamente lasciar libero ognuno di approvigionarsi sul mercato internazionale, creando quella concorrenza anche con i rifornimenti statali che era salutare per la massa dei consumatori.

CAP V

Nel documento ESEMPIO DI TESI AD ART (pagine 107-115)