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4.2 Il Museo demoetnoantropologico

4.2.1 I progetti negli anni

Il museo demoetnoantropologico all’interno degli antichi rioni di Matera rappresenta il più datato programma di recupero pensato per la città ormai sfollata. L’idea originale risale addirittura agli anni Sessanta ad opera del medico e studioso Rocco Mazzarone che ipotizzò il riutilizzo di parte del Sasso Caveoso per la realizzazione di un museo etnologico che testimoniasse il modo di vivere, le abitudini, il lavoro e gli oggetti della civiltà contadina che aveva vissuto in queste grotte per un così lungo tempo. La proposta arrivava in occasione di un ripensamento della città, quando ormai si erano gradualmente spente le critiche verso una capitale contadina trogloditica ed arretrata ed iniziava a farsi largo la necessità di ripensare i Sassi. Questo accadde dopo l’attuazione della legge 619/1952: «Fu da quel momento, infatti, nel passaggio dal pieno al vuoto che si diffuse la percezione del valore dei Sassi come un complesso unico e pittoresco (…) che bisognava integrare nella città moderna» (Mirizzi 2011: 343). La proposta venne dunque accolta con molto entusiasmo e sembrava essere quella più coerente per ricordare ai cittadini il loro passato e mostrare ai futuri turisti quali erano le abitudini e lo stile di vita della popolazione. Il pericolo a cui si andava incontro dopo gli sfollamenti era quello della graduale perdita della memoria, della cancellazione di un periodo storico sicuramente duro per la popolazione, ma che proprio per questo era necessario raccontare a chi non l’aveva vissuto in prima persona. Però a questo si aggiungeva ancora una volta il rischio di riportare la storia di una comunità immobile nei secoli, di fotografare un “momento” che diventasse storia statica e permanente della città. Andava rivista quindi l’antica concezione leviana che aveva causato questi

fraintendimenti e il museo doveva necessariamente svilupparsi come relazione tra il passato e il presente, tra i Sassi, il Piano ed i nuovi borghi appena creatisi.

Malgrado gli sforzi ed i pareri positivi da parte di intellettuali autorevoli, il progetto del museo non riuscì a trovare solide basi su cui avviare la propria storia e l’idea venne accantonata per diversi anni. Nel 1990 fu ancora una volta la Fondazione Zétema, molto attiva sul piano culturale, a farsi carico del progetto, che evidentemente riteneva rilevante per le sorti della città, e ad affidarne lo studio a Giovanni Battista Bronzini, professore e antropologo materano. Anche in questo caso però, dopo studi e ricerche, non si riuscì a giungere allo stadio successivo dei lavori. Lo stesso progetto venne ripreso e giudicato pertinente e tra i più coerenti per il riutilizzo di questo spazio più tardi, quando si esplicitarono i piani per la realizzazione del Secondo Programma Biennale di attuazione della legge 771/1986. Tutta la porzione del Sasso Caveoso che comprende buona parte dei rioni Malve e Casalnuovo avrebbe dovuto, secondo i progetti del Secondo Programma, essere restaurata ed ospitare vari spazi sia allestitivi che di gestione o di esplicazione del territorio che aveva permesso l’evoluzione della città. I lavori andarono ancora una volta per le lunghe e dopo il 1994, anno di adozione del Secondo Programma, il Comune affidò a degli specialisti il rilievo completo del territorio e delle architetture che ricadevano nell’area individuata. Al termine delle misurazioni ci si rese conto che il progetto era troppo vasto e complesso per poter rientrare nel budget del Programma e nelle tempistiche individuate. Per questa ragione il Comune decise di non procedere alla fase esecutiva pur senza abbandonare del tutto l’idea iniziale. Oltre alla grandezza dello spazio dedicato al progetto, dai rilievi emerse tuttavia molto chiaramente che la zona individuata era la più integra a livello strutturale, quindi ricca di abitazioni, testimonianze ipogee ed ambienti rupestri ancora intatti. Malgrado i problemi operativi ed economici per la realizzazione del progetto, la zona individuata risultò per questo motivo essere la più idonea e significativa allo scopo.

Nel corso degli anni successivi, grazie a nuovi fondi derivati da un Accordo di

programma quadro71 tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e la Regione, il

Comune di Matera decise di affidare la redazione di un Piano di fattibilità all’Università La Sapienza di Roma. La Facoltà interpellata per questo studio fu quella di architettura a cui venne richiesta soprattutto un’analisi dell’ambiente e delle

71 Strumenti di accordo tra lo Stato e le Regioni per la realizzazione di programmi specifici in differenti ambiti.

zone entro le quali il museo avrebbe dovuto collocarsi. Quasi al termine del lavoro, però, ancora una volta i fondi vennero destinati alla realizzazione di altri progetti considerati più facilmente e velocemente attuabili.

Nel 2008 iniziò l’interessamento al progetto da parte della Fondazione Carical, della Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania, la quale propose un partenariato con il Comune per la realizzazione del progetto. Il primo passo consisteva nell’affidamento di un nuovo piano di fattibilità attraverso un bando pubblico per l’elaborazione di un progetto concreto a livello gestionale ed esecutivo. Questa prima parte venne finanziata totalmente dalla Fondazione, ma, nel frattempo, al Comune spettava il compito di ricercare altri sponsor o proporre il progetto per bandi comunitari grazie ai quali ottenere i fondi necessari alla realizzazione. Durante questi anni è stato individuato anche un Comitato tecnico scientifico con il compito di supervisionare ai lavori, che ha redatto delle Linee guida per la realizzazione del museo. Da queste indicazioni emerge chiaramente come il museo dovrebbe essere letto non solo in un’ottica legata al passato, ma soprattutto come mezzo necessario per lo sviluppo futuro. L’architettura in grotta, ad esempio, rappresenta oggi una delle dimostrazioni più sostenibili del modo di abitare e molte tecniche o saperi possono essere ripresi per sostituire un’architettura più invasiva. Inoltre, in aggiunta ai progetti precedenti, emerge anche la proposta di sviluppare ulteriormente i luoghi del museo, non soffermandosi solo all’area individuata, ma incoraggiando il visitatore anche verso altri spazi collegati a ciò che ha potuto ammirare nel Sasso Caveoso. Ad esempio il punto di partenza privilegiato per tutto il percorso sembra essere stato individuato dal Comitato negli ipogei di Piazza Vittorio Veneto, recentemente aperti al pubblico, ma ancora in via di restauro per quanto riguarda alcune sezioni specifiche. Quest’area, che è quella di collegamento tra i Sassi ed il resto della città, potrebbe svolgere il ruolo di information point e di ingresso virtuale alle altre aree visitabili.

Ad oggi la prima fase del progetto denominata ideativa è stata portata a compimento grazie alle tre aziende vincitrici del bando (Cles srl, Studio Azzurro produzioni srl e Struttura srl); adesso bisognerà passare all’approvazione dello studio da parte del Comitato ed alle successive fasi pratiche.

Quasi contemporaneamente a tutti questi progetti sono stati destinati dei fondi per la realizzazione del museo anche nell’ambito del Programma Operativo Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (PO-FESR) per le annate di attuazione 2007-2013. Questi programmi, banditi dall’Unione Europea con lo scopo di migliorare le condizioni

infrastrutturali e di crescita delle zone più arretrate appartenenti alla Comunità, hanno la caratteristica di coinvolgere nella realizzazione dei progetti sia enti pubblici che aziende e soggetti privati attivi ed interessati al territorio. Il progetto individuato per il museo dovrebbe portare alla realizzazione di un piano funzionale (seconda fase dei lavori) partendo dalle informazioni e dagli studi a disposizione della Fondazione Carical, e da quest’ultima ancora finanziato per la maggior parte. I fondi richiesti fanno parte di un più ampio piano d’intervento e di sviluppo denominato “Accrescere il potenziale attrattivo e turistico della città di Matera”, che prevede anche altri ambiti d’attuazione, oltre al museo. Per quanto riguarda il nostro tema, però, gli studi precedenti non vengono dimenticati, ma si cerca di integrarli e rivederli; l’ambito individuato con il Secondo Programma Biennale, il numero 22, rimane infatti, anche in questo caso, quello di riferimento per i lavori e per la realizzazione vera e propria del museo.

Recentemente, grazie ai nuovi studi in materia e all’espandersi delle ricerche in ambito museografico, si è anche giunti alla denominazione specifica di “demoetnoantropologico” al posto di quella di museo “etnologico” proposta dal dott. Mazzarone. La nuova definizione allarga i confini dell’indagine e sottolinea come gli ambiti da includere nelle sale e nelle visite non si possano limitare solo alla popolazione, ma debbano includere ogni aspetto del modo di vivere, del folklore, del territorio e dei costumi. Al semplice stile di vita bisognerà aggiungere quindi anche la ricerca riguardo le tradizioni, le festività, l’artigianato e le abitudini culinarie.

Ad oggi le proposte per gli allestimenti si focalizzano maggiormente sul periodo immediatamente precedente lo sfollamento, la prima metà del Novecento, perché lo scopo principale è quello di mostrare la parte di storia che ha ancora testimoni da poter intervistare e coinvolgere nel progetto. Lo sforzo dovrebbe essere rivolto alla raccolta dei ricordi ancora vivi per poi risalire magari più indietro nel tempo e poter far conoscere la città da un punto di vista più vasto. In questo modo il museo potrebbe davvero diventare un luogo di aggregazione, un mezzo per raccontare le proprie vicende come parte in causa.

Nell’ultima sala del museo Ridola sono esposte delle teche contenenti alcuni timbri per il pane tipici della zona del materano e degli antichi cucchiai intagliati nel legno. Dietro questi oggetti si può leggere la scritta, probabilmente inserita per far riflettere il visitatore, “Nessuna storia senza memoria”. Da questa frase parte il viaggio dei materani alla riscoperta del proprio passato ed in essa si riscontra la preoccupazione

che, soprattutto a causa dello sfollamento, potessero andare perse le tradizioni e gli antichi rituali della popolazione.

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