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2. Possibili implicazioni del cambiamento climatico sulla biodiversità e funzionalità degl

2.3 I “sistemi sentinella” del cambiamento climatico globale

Come è stato sottolineato dal Quarto Rapporto di Valutazione dell’ IPCC (2007), il riscaldamento globale rappresenta probabilmente la minaccia più pervasiva fra quelle attualmente individuate come incombenti sulla biodiversità e sulla funzionalità degli ecosistemi, considerato che variazioni di temperatura anche minime possono condurre a trasformazioni irreversibili e possono innescare fenomeni imprevedibili. Sebbene gli effetti del cambiamento climatico avranno una ricaduta importante a livello globale, non saranno uniformemente distribuiti, dato che le regioni poste a latitudini e altitudini più elevate mostrano oggigiorno tassi di incremento delle temperature particolarmente accelerati rispetto al resto del pianeta (IPCC 2007). Gli ecosistemi appartenenti a queste aree vengono pertanto considerati come “sistemi sentinella” per il monitoraggio del cambiamento climatico globale, nel senso che possono essere indicatori precoci di cambiamenti in atto a fronte di un segnale climatico ancora non molto evidente. Inoltre, attraverso l’analisi dei pattern di variazione delle componenti strutturali e funzionali di questi ecosistemi impattati, possiamo prevedere gli effetti degli scenari ambientali futuri su sistemi maggiormente complessi appartenenti alle regioni climatiche più calde (Füreder, 2007; Woodward et al. 2009; Perkins et al. 2010).

Gli ecosistemi d’acqua dolce nelle regioni artiche, boreali e alpine presentano strutture trofiche funzionali estremamente semplificate, in cui la componente biotica è dominata in prevalenza da specie stenoterme fredde che mostrano un’elevata sensibilità agli effetti dei cambiamenti climatici. Queste comunità, infatti, presentano basse densità numeriche, scarsa diversità tassonomica e specie con lunghi tempi di generazione, e quindi con meno occasioni di adattamento. Inoltre, gli organismi svolgono le funzioni vitali (alimentazione, rifugio, riproduzione, riposo ecc. ) in prossimità del limite di tolleranza

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fisiologica e gli habitat che sostengono tali comunità stanno divenendo sempre più ridotti e frammentati dai processi del riscaldamento, riducendo così la disponibilità di rifugi dalle temperature in crescita (Milner et al., 2008).

Negli ultimi anni, sono state condotte numerose ricerche per identificare le possibili risposte adattative del biota al surriscaldamento globale, e le conseguenti implicazioni ecologiche, in regioni poste a latitudini o altitudini maggiori (Milner et al. 2000; Burgmer et al., 2007; Durance & Ormerod, 2007; Milner et al. 2008; Frieberg et al. 2009).

Interessanti risultati sono stati raggiunti da osservazioni in natura condotte in una serie di torrenti appartenenti ad un singolo bacino di drenaggio islandese che mostravano un range di temperature molto ampio (5-25°C) generato da fonti geotermali, ma simili caratteristiche chimico-fisiche delle acque. Woodward e collaboratori (2010) hanno dimostrato che la temperatura era il principale fattore a determinare la diversità e la struttura tassonomica delle comunità macrobentoniche e ittiche, con variazioni nella dominanza dei ruoli trofici assunto dalle specie all’interno della catena alimentare. In particolare, all’aumentare della temperatura al di sopra del limite dei 12 C°, la diversità tassonomica diminuiva drasticamente e la comunità macrobentonica passava dall’essere dominata da collector, in prevalenza chironomidi di cui molte specie stenoterme fredde, a grazer di dimensioni più grandi come il gasteropode Radix peregra. Ad una diversa composizione tassonomica corrispondeva una variazione nei tassi di importanti processi ecosistemici, quali la decomposizione del materiale alloctono e la produzione algale, con tassi più veloci nei fiumi più caldi. Inoltre, i pesci erano più abbondanti e di taglia maggiore nei torrenti con temperature più alte, così come la lunghezza della catena trofica risultava maggiore. Si è quindi potuto dedurre che l’aumento delle temperature previsto per i prossimi 100 anni nelle regioni Artiche (IPCC, 2007) avrà degli effetti rilevanti su questi ecosistemi dove il clima è il principale regolatore, con la variazione dei flussi di energia tra i livelli trofici e l’aumento dei tassi di importanti processi ecosistemici.

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Nell’ultimo ventennio sono stati intrapresi numerosi studi volti a conoscere le dinamiche ecologiche che regolano i corsi d’acqua alpini d’alta quota (Milner & Pett, 1994; Ward 1994; Füreder et al., 2001; Hieber et al., 2005; Brown et al., 2006; Füreder, 2007; Hannah et al. 2007; Brown & Hannah, 2008), ma non sono ancora chiare le possibili risposte delle comunità biologiche al cambiamento climatico. Recenti studi hanno rilevato che il clima delle regioni alpine ha subito profonde modificazioni durante il XX secolo, con un aumento delle temperature minime fino a 2°C, un incremento più modesto delle temperature massime, un trend in aumento delle precipitazioni con una maggior proporzione di precipitazioni liquide rispetto a quelle solide, e una generale diminuzione delle ore di luce (Beniston, 2006). Inoltre, si sta assistendo ad una fase di riduzione delle masse glaciali, in cui si hanno maggiori portate estive associate a più ampie fluttuazioni giornaliere nei corsi d’acqua dominati dal contributo glaciale (McGregor et al., 1995). In seguito, quando le masse glaciali saranno ridotte, si avranno invece minori portate estive associate a moderate fluttuazioni giornaliere (Hagg et al., 2007). Lo spostamento verso l’alto del limite delle precipitazioni nevose farà aumentare le portate invernali e diminuire la disponibilità di acqua in estate. Le tipologie fluviali tipiche dei corsi d’alta quota alpini caratterizzate da consistenti apporti idrici di origine glaciale e nivale (rispettivamente Kryal e Rhithral) tenderanno a perdere la loro peculiarità, uniformandosi a sistemi prevalentemente alimentati dai contributi di acque sotterranee (Krenal), (Barnett et al. 2005; Brown et al. 2006). Modificando l’origine degli apporti idrici, questi sistemi subiranno alterazioni di importanti aspetti geomorfologici, idrologici e qualitativi delle acque. Inoltre, la durata dello scioglimento delle nevi e dei ghiacciai è anche determinante per l’inizio dei cicli vegetativi di molte specie, così come l’anticipo dello scioglimento delle nevi ridurrà la durata del loro periodo riproduttivo (Keller & Körner, 2003). In questo scenario di drastici cambiamenti ambientali, si prospetta l’estinzione locale o globale di molti endemismi alpini o a forti contrazioni numeriche e ulteriore frammentazione delle popolazioni. Tra gli effetti già manifestati, quelli più compromettenti per la stabilità e funzionalità di questi ecosistemi sono l’anticipo di tutte le fasi vitali delle specie vegetali (emissione delle foglie, fioritura, fruttificazione) e lo spostamento altitudinale sia di specie animali che vegetali, accompagnato da una contrazione degli habitat e fenomeni di competizione, in particolare fra le

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specie endemiche e le specie in arrivo da aree localizzate a quote inferiori (Brown et al., 2007; Heino et

al., 2009). Per quanto riguarda le specie arboree, si prevede che a lungo termine la linea boschiva si

sposterà verso altitudini maggiori di diverse centinaia di metri (Holten & Carey, 1992). Anche la biodiversità dei sistemi fluviali alpini subirà una forte contrazione in tempi brevi per gli effetti del cambiamento climatico globale (Schröter et al., 2005). I sistemi acquatici alpini sono sottoposti a condizioni ambientali limitanti, con valori estremi giornalieri e annuali dei venti e delle basse temperature, lunghi periodi di copertura nivale e bassi livelli di umidità e precipitazioni. Le temperature annuali e il regime idrologico appaiono essere il principale fattori limitanti delle comunità biotiche che, per tali ragioni, sono caratterizzate da poche specie con densità ridotte, e presentano bassi tassi di crescita e produzione. A seconda della tipologia degli apporti idrici, i corsi d’acqua alpini sono sottoposti a condizioni ambientali più o meno avverse. Nei torrenti di origine glaciale, fattori ambientali come la velocità di corrente, la temperatura e la concentrazione di nutrienti nella colonna d’acqua raggiungono livelli di condizioni estreme, e solo poche specie ben adattate riescono a sopravvivere. Recenti studi hanno dimostrato che la diversità dell’habitat, la disponibilità di risorsa trofica, la ricchezza tassonomica e quella funzionale aumentano al diminuire dell’estensione dei ghiacciai (Brown et al., 2006; Füreder, 2007). Nei sistemi alimentati dallo scioglimento delle nevi e da affioramenti sotterranei, le condizioni ambientali sono meno limitanti e permettono la coesistenza di più specie con tassi di produzione più elevate; la ricchezza specifica rimane relativamente bassa, ma aumenta la densità delle singole specie. Anche in questo caso gli effetti del cambiamento climatico porteranno a variazione dei fattori ambientali: la copertura nivale si ridurrà portando ad un’alterazione delle portate giornaliere e annuali. Di conseguenza, i tassi di produzione primaria e secondaria aumenteranno, favorendo la disponibilità della risorsa trofica per le comunità acquatiche, e incentivando di conseguenza la biodiversità. Anche la stabilità dell’alveo tende ad aumentare con l’incremento dei tassi di scioglimento dei ghiacciai e nevai, fornendo così maggior numero di rifugi per la fauna acquatica (Füreder, 2007).

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