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ideato per la cantante islandese Björk e diretto dal regista e fotografo francese

OLTRE LE CORNICI Pareti come scherm

N. Y., Y – A Day in New York (1957) (fig 11-12) è un film a colori realizzato dal pittore e cineasta Francis Thompson e accompagnato da una musica jazz del

68) ideato per la cantante islandese Björk e diretto dal regista e fotografo francese

Stéphane Sednaoui119. In questo video l’interprete realizza il playback ballando su di una lunga piattaforma di un camion in movimento lungo le strade di New York, avvicinandosi e allontanandosi continuamente dalla camera, fissata ad un’estremità della pedana. Dell’opera esistono due versioni (una filmata di giorno e una di notte), entrambe comunque fotografate con un intenso bianco e nero. Pur nella sua sorprendente semplicità, il video anche in questo caso comunica un’equilibrata eleganza compositiva che fonde perfettamente la performance della cantante con lo scenario sullo sfondo della città in movimento. Spostandosi costantemente nel campo dell’inquadratura, Björk attraversa progressivamente le varie gradazioni della scala dei piani e dei campi cinematografici e diventa una sorta di scultura plastica e coreografica che sembra rivaleggiare con le stesse architetture di Manhattan.

I rapporti e le dinamiche di scala che si stabiliscono tra figura umana e architettura metropolitana sono il fulcro comune di diverse ricerche della sperimentazione audiovisiva contemporanea: dalle arti visive al cinema, alla videomusica.

Un caso emblematico è quello di Michael Snow e della sua serie della Walking Woman (fig. 69). Tra il 1961 e il 1967 l’artista e filmmaker canadese concepisce una serie di silhouette femminili realizzate con forme e tecniche differenti (collage, fotografia, pittura, scultura) che espone in diversi luoghi e situazioni. In particolare, Four to Five è una documentazione fotografica di una installazione multipla organizzata a Toronto sistemando numerose sagome della Walking Woman nel tessuto urbano della città. In questo modo Snow cerca di provocare e smontare le consuete logiche prospettiche insite nelle forme urbane e architettoniche ordinarie. Il rapporto problematico e illusorio tra la bidimensionalità e la tridimensionalità della Walking Woman si apre alla condizione urbana e la sua presenza nella città diventa la manifestazione di un momento di crisi e di rottura ludica delle oppressioni tra figura umana e sfondo. La Walking Woman è anche il motivo figurativo cardine del film New York Eye and Ear Control girato da Snow a New York nel 1964 (fig. 70). Questa volta il profilo della Walking Woman è ritagliato al di sopra delle immagini della città americana, decretando un legame eccentrico sia tra superficie e sfondo metropolitano, sia tra forma filmica e scultorea.

Il film andrebbe letto – osserva Antonio Bisaccia – come un’opera sulla Walking Woman e sull’impatto che tale figura totemica ha sulla città di New York. […] La Walking Woman non è il supporto del film, essa è il film. Non si tratta di sculture cinematografate, ma di

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Sull’opera dell’artista cfr. il dvd con booklet The Work of Director Stéphane Sednaoui, Palm Pictures, New York, 2005.

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cinema della scultura. Il supporto delle “giustapposizioni” è di tipo scultoreo e si svolge, pur nella bidimensionalità dell’immagine filmica e nella supposta e pretesa cancellazione della prospettiva rinascimentale, secondo un’intenzione di tridimensionalità120.

In alcuni music video contemporanei persino i rapporti di scala tra corporatura umana e struttura architettonica possono subire inaspettate alterazioni. In questi casi la configurazione del corpo della star musicale assume una sembianza gigantografica, omologa all’architettura metropolitana circostante. Il prototipo di questi esperimenti è sicuramente il music video Love is Strong (1995) del gruppo rock The Rolling Stones, diretto dal regista cinematografico David Fincher (figg. 71-72). Nel video i componenti della band e vari ragazzi e ragazze hanno fattezze da giganti e vivono una giornata a New York: si svegliano tra i grattacieli, corrono lungo le autostrade, scavalcano ponti, sfiorano aerei e dormono sui tetti. La centralità del corpo della star esaltata nel music video si traduce in una figurazione iconografica esasperata, dove sono gli stessi corpi dei protagonisti a diventare, per conformazione e dimensione, delle forme architettoniche. Love is Strong indugia principalmente sulla bizzarria della circostanza e sull’irriverenza comportamentale dei personaggi, ma molte delle soluzioni visive detengono una plasticità anomala e perturbante che ricorda le fattezze mastodontiche di Anita Ekberg discesa da un manifesto pubblicitario nelle strade dell’Eur nell’incubo notturno dell’intransigente censore protagonista de Le tentazioni del dottor Antonio (1962) di Federico Fellini (figg. 73-74). Se in Fellini la deformazione fisica è principalmente espressione di un’ossessione sessuale repressa e il corpo della donna è visto fondamentalmente come la minaccia di una condotta morale inflessibile, in Fincher invece la sproporzione dimensionale assume un connotato di pura superficie: un “effetto” plastico-figurativo, privo di qualsiasi approfondimento psicoanalitico.

Nella metropoli contemporanea l’alterazione di scala della grandezza umana è un fenomeno oramai ricorrente e abituale. Dai videowall dei media building alle maxi- affissioni pubblicitarie sulle facciate dei monumenti in restauro (figg. 75-76), il corpo umano e i suoi dettagli anatomici sono incessantemente rilocati nello spazio urbano, tanto da diventare delle presenze figurative ordinarie della cultura visiva della città contemporanea, costantemente riciclate in conformità con le teorie postmoderne e le recenti esperienze della postpubblicità121. Ad ogni modo, che si tratti di superficie pubblicitaria, architettonica o elettronica, è ancora una volta il dispositivo-schermo – espanso, esploso, rilocato – il vero centro della sperimentazione espressiva.

Nel music video Strong Enough (1999) diretto dal regista Nigel Dick, ad esempio, la cantante statunitense Cher è rappresentata prevalentemente attraverso degli schermi: dai monitor televisivi e informatici alle proiezioni pubbliche sugli edifici

(figg. 77-78). La visione mediata dell’interprete celebra il carattere di “superficie”

dello star system musicale: prodotto artificiale e sintetico esposto al giudizio

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Antonio Bisaccia, Effetto Snow. Teoria e prassi della comunicazione artistica in Michael Snow, Costa&Nolan, Genova, 1995, pp. 81-82.

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Per un analisi di questo tipo cfr. Elio Grazioli, Arte e pubblicità, Bruno Mondadori, Milano, 2001, in particolare il cap. Il postmoderno e la postpubblicità.

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dell’opinione pubblica. Nel video l’immagine di Cher si propaga, infatti, come una sorta di virus elettronico che vampirizza schermi e spazi, ipnotizzando singoli spettatori e pubblico numeroso.

Negli ultimi anni anche nella videomusica italiana la raffigurazione colossale dell’immagine della star nel panorama urbano si è imposta come motivo figurativo sostanziale.

Il music video Gioca con me (2007), diretto dal regista Swan per Vasco Rossi

(figg. 79-80), sembra quasi comporsi come una catalogazione delle differenti

possibilità e usi dell’immagine nell’universo metropolitano contemporaneo. Swan, del resto, è uno dei pochi registi che si è immediatamente cimentato con i linguaggi e le piattaforme multimediali dei nuovi media. Oltre ai videoclip, agli spot pubblicitari, alle riprese di eventi live musicali, il regista ha recentemente realizzato anche dei prodotti audiovisivi per la telefonia mobile e per Internet (spot, format, templates, dirette tramite cellulari Umts)122. Gioca con me segue la giornata di una ragazza che va in giro per la città facendo diversi acquisti e in serata si reca al concerto di Vasco. Prima della sua apparizione nel finale, l’interprete è riprodotto e moltiplicato ininterrottamente nello scenario urbano attraverso formati e dispositivi differenti: dai monitor installati nelle metropolitane ai televisori esposti nei negozi di elettrodomestici, dai display dei telefonini ai cartelloni pubblicitari, alle facciate a vetri dei media bulding. Il corpo di Vasco diviene così una presenza ubiqua e onnipresente, che duplica in prima istanza la pervasività mediatica dell’immagine prodotta dalle nuove tecnologie nel sistema degli audiovisivi contemporanei.

Più controverso e polemico è invece il music video Colombo (2007) realizzato da Stefano Poletti per il gruppo indie rock dei Baustelle (figg. 81-82). L’opera si concentra sulla relazione mercificata che si crea tra artista e pubblico nel sistema musicale contemporaneo, mostrandone le ambiguità costitutive e le connivenze strumentali. Nel video, infatti, un gruppo di “ricchi benpensanti” ascolta entusiasta l’esibizione “live” di un monitor posto al centro del palco, che teletrasmette la performance della band e ne sostituisce la partecipazione diretta. L’arrivo dei veri membri del gruppo sulla scena porta sdegno nel pubblico, che tornerà soddisfatto solo quando il solista getterà su di loro una valigetta piena di banconote. Nella videomusica contemporanea l’immagine della star è più significativa, appagante e rassicurante della stessa presenza materiale dell’artista. Il video gioca con la duplicità speculare e perversa dell’immagine anche a livello figurativo. I vari membri del complesso si muovono, infatti, in una città tappezzata dalle immagini di loro esibizioni live, che sono intarsiate negli spazi della cartellonistica pubblicitaria. Anche in questo caso, l’architettura metropolitana si fa veicolo di una cultura musicale e audiovisiva merceologica, che riduce il corpo della star a prodotto scenico da esporre pubblicamente su grande scala.

Più vicini alle forme della videoarte contemporanea e alle pratiche della videoinstallazione urbana sono invece i lavori del filmmaker sperimentale e

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videoartista Fabio Massimo Iaquone e dell’artista visivo e videomaker Luca Attilii123. Da sempre affascinati dalla “fisicità” dei corpi e degli spazi scenici, i due artisti hanno recentemente spostato la loro attenzione anche ai luoghi della metropoli contemporanea124. Secondo Iaquone, infatti, «alcune superfici architettoniche si prestano ad essere sede di proiezioni di immagini in movimento»125. In linea con le idee sviluppate per il Digital Visual Theatre (DVT) – un complesso sistema di videoproiezione che suddivide la scena teatrale in differenti piani prospettici sui quali vengono proiettati dei video appositamente realizzati –, nei lavori di Iaquone e Attilii lo spazio metropolitano viene “ri-costruito” nei suoi ordini spaziali e temporali attraverso proiezioni multiple, effetti di luci e suoni. Esempi emblematici di queste sperimentazioni sono sicuramente le videoinstallazioni: Miko (2006), organizzata a Roma negli spazi della manifestazione Portal al Lungotevere Castel Sant’Angelo, e Hermes – Passaggio d’autunno (2004), realizzata sempre nella capitale durante la Notte Bianca sulle facciate del Palazzo Altemps. In questi lavori, lo spazio architettonico – come già quello teatrale, performativo ed espositivo – diviene un ambiente avvolgente e circolare, basato sulla reciproca compenetrazione e stratificazione di immagini. A differenza dei casi precedenti, nelle opere dei due artisti l’architettura non è mai intesa come mera estetica di supporto – semplice superficie bidimensionale, sede di una proiezione, come accade nei media-building o nei tradizionali visual a sfondo dei concerti musicali – bensì come luogo di contatto tra corpi ed edifici. Emblematiche sono a questo proposito le opere nate dalla recente collaborazione video-musicale con Antonella Ruggero per il music video Attesa (2008) e l’operazione Bastian Contrario (2007), concerto multimediale e music video dell’omonimo album di Ivana Gatti & Gianni Maroccolo. Come ha notato Di Marino, «le brevi opere video di Bastian Contrario non nascono per avere un utilizzo esclusivamente televisivo, piegandosi così a determinate logiche commerciali, ma ambiscono a “vestire” la musica senza regole, pronte casomai a diventare installazioni, fruibili nello spazio»126. Una concezione dell’opera musicale e dello spettacolo live come ambiente sonoro da “vestire” con le immagini, che Iaquone aveva, d’altronde, già indagato con Katia Labèque e il gruppo B for Bang proponendo il concetto di «Quadri Musicali»: brevi opere video che accompagnano i cd musicali e che possono essere fruite collocate nello spazio come dei quadri, magari anche nelle stesse abitazioni domestiche attraverso gli schermi a cristalli

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Sull’opera di Fabio Massimo Iaquone e Luca Attilii cfr. il sito degli artisti:

www.iaquoneattilii.com/index.htm e la sezione dedicata a Fabio Massimo Iaquone nel booklet del dvd Bruno Di Marino (a cura di), Video in Italy 1, Raro Video, Roma, 2006, pp. 22-23.

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Per una lettura di questo tipo della ricerca audiovisiva di Fabio Massimo Iaquone rinvio al mio saggio Fabio Massimo Iaquone. Percorsi intermediali tra arte e tecnologia in Giovanni Curtis (a cura di), Cinema Nostrum. Registi, attori e professionisti ciociari del cinema, Teseo Editore, Frosinone, 2010, pp. 102-108.

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Fabio Massimo Iaquone, intervista inedita rilasciata all’autore, maggio 2009.

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Bruno Di Marino, saggio presente nel booklet del cd-dvd di Ivana Gatti e Gianni Maroccolo,

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liquidi di ultima generazione127. In particolare nei video Presunti accenni che fan piovere (2007) (figg. 83-84) e Se vuoi (2007) (figg. 85-86) sulle immagini di strutture architettoniche, autostrade e scenari urbani notturni scorrono sovrimpresse le riprese dei volti dei cantanti e le evoluzioni del corpo nudo di una performer. Come in un dispositivo di proiezioni multiple, la figura umana si compenetra vicendevolmente all’architettura metropolitana: le facciate diventano volti e i corpi divengono paesaggi urbani.

Krzysztof Wodiczko è un videoartista polacco che a partire dagli anni ’80 ha creato in diverse nazioni numerose videoproiezioni su intere facciate di palazzi privati, costruzioni pubbliche e monumenti storici. Generalmente l’artista si concentra su dei particolari del corpo umano che proietta, in scala abnorme, sulla superficie architettonica, sovvertendo spesso la funzionalità simbolica dell’edificio (ad esempio, le immagini di mani che sollevano soldi sul prospetto di una banca). L’impegno sociale e politico è il perno dei suoi lavori, tutti incentrati sulla difesa dei valori civili e comunitari, dei diritti umani e della democrazia. Le minoranze etniche, gli emarginati e gli esclusi sociali sono i protagonisti delle videoinstallazioni, che vengono spesso chiamati a testimoniare nello spazio pubblico le violenze e i soprusi subiti nel privato.

In particolare nel 2000 Wodiczko realizza una imponente videoproiezione live sulla facciata circolare dell’Omnimax Theater del Centro Culturale di Tijuana (CECUT) in Messico (figg. 87-88). Lo scopo è quello di dare voce e visibilità alla condizione di sfruttamento lavorativo delle donne impiegate nelle maquiladoras della città: fabbriche in cui avvengono assemblaggi di componenti industriali temporaneamente esportati dai paesi industrializzati che ne controllano l’operatività, sfruttandone il regime di esenzione fiscale. L’artista costruisce un particolare dispositivo di ripresa, costituito da una videocamera, un microfono e una luce, che, attraverso un sostegno rigido, si integrano alla testa di una persona, offrendo una registrazione stabile e perfettamente a fuoco del solo volto dell’individuo. Il primissimo piano circolare della persona ripresa e la sua testimonianza sono trasmessi in diretta sulla forma sferica del centro culturale. I racconti delle ingiustizie e delle prevaricazioni patite dalle donne lavoratrici sono così istantaneamente condivise nello spazio pubblico dagli spettatori presenti nella piazza antistante all’evento. In quest’opera la superficie architettonica diventa una seconda pelle: supporto osmotico e trasparente dell’epidermide umana. Il volto deformato e ingigantito a dismisura delle donne è già di per sé espressione di un dolore e di una violenza figurativa che sovrasta e domina lo stesso spazio urbano. Wodiczko esalta fino all’eccesso la funzionalità allegorica e rappresentativa della forma architettonica, interpretando l’esteriorità dell’edifico come il luogo di «una pubblica intimità», seconda la bella espressione proposta dalla studiosa Giuliana Bruno128. L’immagine del volto umano e le vicende personali delle lavoratrici sono figure di un universo intimo e privato che

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Approfondiremo l’analisi di queste forme audiovisive nel capitolo 4 nel paragrafo Immagini a

tutto volume. La metropoli contemporanea dall’ambient video al visual, al Vj’ing.

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Cfr. Giuliana Bruno, Pubbliche intimità. Architettura e arti visive, Bruno Mondadori, Milano, 2009.

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si proiettano nella condizione pubblica attraverso la forma della maxiproiezione e della dimensione live dell’evento. L’esteriorità architettonica si fa così supporto di una interiorità sofferente e dolente, che trova nell’esperienza multimediale una condivisione e una possibilità di catarsi e liberazione dal trauma individuale vissuto.

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Capitolo 4

METROPOLI IN MOVIMENTO