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LE IDEE ALLA BASE DEL PIANO BEVERIDGE

Nel documento INDICE INTRODUZIONE (pagine 53-56)

CAPITOLO II: THE BEVERIDGE REPORT

2. LE IDEE ALLA BASE DEL PIANO BEVERIDGE

Prima di analizzare le idee che stanno alla base del progetto di William Beveridge sembra corretto riassumere brevemente il dibattito sulla previdenza sociale che a partire dal 1786 aveva fatto da sfondo ad ogni iniziativa riformatrice.

La posizione conservatrice, dominante all’epoca delle Poor Law, che vedeva tra le sue file personaggi del calibro di Edmund Burke, Thomas Malthus e Jeremy Bentham, vedeva la povertà come lo stato naturale della maggioranza del genere umano; i destinatari dell’aiuto dello stato dovevano essere solo coloro che erano impossibilitati a lavorare per cause naturali o di infortunio.

Tale dibattito affondava in un clima temperato dalle idee di Adam Smith106 e dal saggio di Malthus del 1798107.

Parallelamente si svilupparono idee di ripresa del pensiero evangelico, filosofia che collegava la competizione ed il mercato alla crescita morale e spirituale. Il sostegno ai lavoratori era quindi parte della legge di Dio.

La teoria sviluppata da Beveridge era ben distante da queste idee, tanto dalla povertà come fattore naturale, quanto dal principio assistenzialista della carità evangelica, mentre si allineava con le moderne teorie basate sulle nuove frontiere produttive aperte dalle società industriali basandosi su tre principi base108: il primo, che il periodo aperto dalla guerra, periodo che per forza di cose è rivoluzionario, sia il terreno ideale per la creazione di una proposta che superi quelli che sono gli interessi di categoria e di dettaglio e vada invece verso il bene comune; il secondo, che l’assicurazione sociale sia trattata come parte di una comprensiva politica di progresso                                                                                                                

106 Ci si riferisce alle teorie enunciate dal celebre filosofo e economista politico nel suo libro An Inquiry

into the Nature and Causes of the Wealth of Nations del 1776. Nel libro Smith si schierava contro i

sistemi esistenti, quello agricolo e quello mercantile, prendendo posizione a favore di un sistema che poggiasse sulla libertà naturale del commercio, che era in grado di autoregolarsi, un sistema in cui esso assumeva sempre crescente importanza nelle relazioni economiche degli stati, sia per quanto riguarda quelle interne che per quelle internazionali. Le teorie di Smith fecero da mattone fondante della teoria del liberismo economico. Cfr. D. Winch, Oxford Dictionary of National Biography: Vol. 51, Oxford, Oxford University Press, 2004, pp. 15-28.

107 Per quanto riguarda Malthus ci si riferisce alla sua opera principale, An essay of the principle of the

population as it affects the future improvement of society, del 1798. Nel saggio trae origine l’immagine

della celebre curva malthusiana, ovvero dell’equilibrio della crescita tra popolazione e risorse. Aumentando le risorse in maniera aritmetica e la popolazione in maniera geometrica si arriva ad un punto in cui la seconda assume delle proporzioni che non sono sostenibili. Si ha quindi un periodo di calo finché le proporzioni non sono nuovamente a favore delle risorse e si apre quindi un nuovo ciclo in cui la popolazione riprende a crescere. Cfr. J. M. Pullen, Oxford Dictionary of National Biography: Vol. 36, Oxford, Oxford University Press, 2004, pp. 365-370. Nel contesto del discorso tale teoria viene usata per giustificare il fatto che la condizione di povertà di una grande fetta della popolazione sia una naturale componente di questo ciclo.

sociale, finalizzata all’abbattimento dei cinque giganti che sono la Miseria, la Malattia, l’Ignoranza, l’Ozio e lo Squallore; infine il terzo, che il benessere collettivo sia raggiungibile attraverso una stretta collaborazione tra stato e individuo, che non soffochi quindi l’iniziativa individuale, ovvero il liberalismo economico, e consenta all’individuo «a provvedere più di quel dato minimo, per sé stesso e per la sua famiglia».

Insomma, abolizione dal bisogno, giudicato uno scandalo che poteva essere eliminato già prima dello scoppio del conflitto mondiale, ma senza che l’individuo rinunci a quelle libertà fondamentali di tradizione liberale, pur conciliate con la convinzione ormai interiorizzata che l’intervento dello stato fosse provvidenziale nella regolazione dell’economia.

Da un punto di vista pratico, quando si trova a stendere il suo Report, l’autore esprime in maniera esplicita tali concetti alla base del suo Piano e quali sono gli scopi della sua proposta di riforma:

L’espressione “protezione sociale” significa garantire un reddito che rimpiazzi gli stipendi interrotti per disoccupazione, malattia, od infortuni; provvedere per l’andata a riposo per limite di età; per la perdita di sostegno od aiuto causata dalla morte di terze persone; a provvedere per spese speciali, quali nascita, matrimonio e morte109.

Vi sono poi tre premesse, considerate dall’accademico fondamentali per creare un soddisfacente sistema di protezione sociale110: la necessità di sussidi fino a 15 anni111, la necessità di estesi servizi sanitari per la prevenzione e la cura di malattie e la riabilitazione al lavoro, e infine la prevenzione della disoccupazione di massa attraverso la conservazione degli impieghi.

A queste premesse corrispondono tre metodi distinti che sono combinati nel Piano: assicurazioni sociali per i bisogni primordiali della vita, assistenza nazionale per casi speciali; assicurazione volontaria per aumentare le provvidenze di base.

Interessante riportare anche la riflessione fatta da Michael Sullivan sul concetto di «just Beveridge?»112.

                                                                                                               

109 Ivi, p. 63.

110 Ibidem.

111 Arrivando ad anni 16 se dura il periodo di tirocinio scolastico.

Lo studioso, nel suo libro The Development of the Welfare State, si interroga sul quesito se dietro la creazione di quello che può essere considerato il nucleo originario di tutte le moderne politiche di welfare, come è stato riportato da parte della storiografia, ci sia solamente la figura di William Beveridge, come genio fondatore della materia, oppure se il suo contributo sia invece frutto di più esperienze venutesi ad unire in concomitanza di fattori straordinari.

Scrive Sullivan: «Many accounts of this period see the figure of Sir William Beveridge striding the historical landscape like a colossus, changing the direction of British social policy unaided»113.

La conclusione è invece che, per quanto straordinario sia stato il contributo della persona di Beveridge alla Relazione sulla Protezione Sociale, esso fu influenzato in maniera determinante da una serie di fattori politici ed economici: un fattore fu l’impatto che ebbe sulla visione del riformatore la forte fase di recessione dovuta alla guerra, che lo portò ad avere un atteggiamento neo-liberale riguardo la relazione tra stato e società civile, e alla convinzione dell’efficienza e della moralità dell’intervento del governo in politica sociale.

Visione che non era affatto scontata e che in altri periodi della sua vita era ben diversa.

Ebbe una notevole influenza, e questo può essere considerato un secondo fattore, il rapporto con l’amico Maynard Keynes che, anche se liberale a sua volta, aveva una visione più positiva riguardo l’intervento statale nella regolazione del mercato interno.

Anche sull’idea del Full Employment sembra fondamentale l’aiuto di Keynes, nonché dei funzionari che collaborarono alla stesura del progetto.

Un altro fattore che guidò la penna di Beveridge fu la pressione di alcuni gruppi di interesse al di fuori della politica ma allacciati con il mondo del labour, soprattutto le Trade Unions, per accordarsi con le quali Beveridge, anche in ragione dei dissensi avuti durante il periodo al Board of Trade, spese notevoli energie.

Sul concetto di libertà dell’individuo poi, non si può non vedere l’influenza della Carta Atlantica, come dello svilupparsi in Inghilterra e all’estero di «a more general collectivists impulse, of wich Beveridge was a part and a reflection, but wich went wider»114.

                                                                                                               

113 M. Sullivan, The Development of the British Welfare State, cit., p. 21.

Nel documento INDICE INTRODUZIONE (pagine 53-56)