• Non ci sono risultati.

Identità, spa2Ìo e vita quotidiana

s o SO O

Stephen Vizinczey, I DIECI COMANDAMENTI DI UNO SCRITTORE, trad. dall'inglese di Chiara Basso Milanesi e Chiara Ghizzi, pp. 317, € 18, Marsilio, Venezia 2004

Che bella sorpresa è stato, la scor-sa stagione, l 'E l o g i o delle donne matu-re di Stephen Vizinczey, un romanzo del '65 mai tradotto prima in italiano, scritto in inglese da un giovane autore ungherese, con bel passo stendhalia-no, piglio aforistico, e una leggerez-za che non ha niente da invidiare al Kundera migliore e meno in smania di Nobel, quello del Valzer degli addii e

degli Amori ridicoli. La conferma del va-lore e, direi, della salubrità di Vizinczey giunge ora con questa raccolta di sag-gi più o meno occasionali, risalenti in parte agli anni settanta, e per questo paradossalmente molto attuali qui alla periferia dell'impero. Introdotti da un decalogo prezioso per ogni aspirante scrittore (il quarto e il quinto comanda-mento sono: "Non sarai vanitoso" e "Non sarai modesto"; e il nono: "Scri-verai per far piacere a te stesso"), i saggi tracciano, con piacevole asiste-maticità, la "tradizione" di Vizinczey, che elegge a propri numi tutelari Heinri-ch von Kleist, Stendhal, Mark Twain, il Balzac dei Contes drolatiques e delle Il-lusioni perdute. Non meno godibili sono le sue antipatie: per Goethe, innanzitut-to, il "genio leccapiedi", "esempio su-premo dell'artista venduto", "vergine fi-no all'età di trentasette anni"; il Melville di Billy Bud, che "rimpolpa la più gros-solana e vile m e n z o g n a di tutta la lette-ratura, la m e n z o g n a che un uomo pos-sa amare il proprio carnefice"; il Na-bokov di Lolita, cui si rimprovera l'irre-sponsabilità dell'"arte per l'arte"; o Wil-liam Styron, autore di "spazzatura se-ria" come Le confessioni di Nut Turner

(che Vizinczey stroncò a suo tempo, ini-micandosi per sempre l'establishment

letterario americano). Quello che, detto dal solito professore-censore puzze-rebbe di moralismo politicamente cor-retto, sulla p a g i n a di Vizinczey è la so-stanza morale di cui si nutre l'opera ori-ginale: la quale poi sarà a sua volta, co-me giusto, al di là del bene e del male. Intanto questi saggi sono un autentico lavacro contro il nemico numero uno della creazione, la mediocrità: vuoi che Vizinczey se la prenda con Sainte-Beu-ve, che r a c c o m a n d a v a "moderazione nel pensiero"; con Henry Troyat, olimpi-co biografo di Gogol'; o olimpi-con un film di successo come Amadeus, grondante indispettita falsità quando "si sforza di convincere che essere un genio come Mozart sia facile, mentre essere un me-diocre c o m e Saiieri sia estremamente difficile".

FRANCESCO ROGNONI

. Michel Faber, A VOCE NUDA, ed. orig. 2002, trad. dall'inglese di Giovanna Granato, pp. 115, €9, Einaudi, Torino 2005

Michel Faber torna con una storia bre-ve ma densa di suggestioni, in cui ro-manzo psicologico, racconto umoristico e ghost story si intrecciano in un equili-brio dinamico. Protagonista è la quaran-tasettenne Catherine, donna fragile, vitti-ma delle proprie vitti-manie e insicurezze e profondamente inibita dal senso di infe-riorità nei confronti del marito Roger. Questi, che dirige il Coro Courage, in cui lei milita come soprano, conduce il quin-tetto canoro dall'Inghilterra al Belgio per partecipare a un importante festival mu-sicale. Riuniti in un castello isolato per le prove di un'esibizione ardita e intellet-tuale fino al ridicolo, i personaggi vengo-no presentati al lettore attraverso il rac-conto agile di Michel Faber, che sa tene-re desta l'attenzione permeando il testo di un umorismo leggero e gioviale. Ac-canto a Catherine e Roger, coppia di mezza età in crisi, appaiono il giovane e bizzarro Julian, il corpulento e riservato Ben e la tedesca Dagmar, ragazza ma-dre di un disciplinatissimo neonato. Gra-zie all'interazione con la singolare cer-chia di colleghi, la protagonista prende a interrogarsi sulla propria vita e sui propri desideri, intraprendendo un percorso di apertura e di crescita destinato a cam-biarla. A tratti prendono il sopravvento gli elementi gotici, com'è d'obbligo per una narrazione ambientata in un lussuo-so castello cui sembra essere legata una misteriosa leggenda. Alle suggestioni del vicino bosco, sempre avvolto in un silenzio innaturale e inquietante, si af-fiancano inoltre le immagini di morte evo-cate dall'aspirante suicida Catherine. Così l'autore crea una tensione sempre crescente, spezzata di tanto in tanto da siparietti comici, che si risolve con mo-dalità del tutto imprevedibili.

ILARIA RIZZATO

Identità, spa2Ìo e vita quotidiana

a cura di Antonio De Simone

Questo libro, interpretando trasversalmente le metamorfosi del rapporto tra identità, spazio e vita quotidiana, nell'esperienza della modernità e della globalizzazione, si presenta come una "guida critica" per leggere le trasfor-mazioni del legame sociale lungo i sentieri che solcano gli orizzonti spazio-temporali della complessità umana, caratterizzanti nei loro problematici in-trecci non solo le logiche del dominio ma anche le sfide culturali e le aporie del nostro tempo.

Saggi di:

B. Accarino, G. Cacciatore, F. D'Andrea A. De Simone, S. Fornari, D. Losurdo, V. Mele, D. Niccolini, C. Pasqualini, M. Picchio, A. Pimi, C. Portioli. Dello stesso curatore:

Leggere Sirnmel. Itinerari filosofici, sociologici ed estetici

(2004, pp. 248, €23,50)

www.edizioniquattroventi.it

Anita Brookner, R U E LAUGIER, ed. orig. 1995, trad. dall'inglese di Elena Dal Era, pp. 269, € 15, Giano, Varese 2004

Dopo Guardatemi (2002) e La prossima avventura (2003), Giano propone un altro intenso romanzo di Anita Brookner. La tra-duzione di Elena Dal Pra ripercorre con estrema precisione la struttura sintattica e lessicale del testo, restituendolo in tutta la sua forza analitica e introspettiva. La vi-cenda di Maud Gonthier prende le mosse da una serie di minuscoli frammenti, ap-punti ritrovati su un vecchio taccuino a partire dai quali la figlia Maffy intesse la storia dell'incontro e del matrimonio dei propri genitori. Maud vive la prima

giovi-nezza nella provincia francese degli anni sessanta, ma una va-canza estiva in casa della zia Germaine le offrirà l'occasione per una vita diversa da quella semplice e mo-notona della madre Nadine. Riservata e in-troversa, la ragazza è vicina al giovane Edward Harrison, ma subisce ii fascino di Tyler, che fa della pro-pria capacità di sedu-zione un'arma per ot-tenere tutto ciò che desidera. La passione per Tyler la porterà a Parigi, in rue Laugier, cuore cittadino del ro-manzo dove gli equili-bri si spezzano e tutto accade in una dimen-sione più libera, lonta-no dalla presenza

censoria delle madri. Qui Maud cono-scerà le gioie dell'amore e il sapore del-l'inganno, e scoprirà l'impossibilità di una vita senza vincoli e la limitatezza degli orizzonti di una donna. Il destino non sarà molto più generoso con gli uomini: se Edward è oppresso dal senso del dovere, Tyler resta prigioniero del proprio fascino dionisiaco e del bisogno di piacere e se-durre senza mai costruire un vero legame. Il romanzo presenta tre generazioni di donne, quella di Nadine e di Germaine, quella della protagonista Maud e quella della narratrice Maffy, che per sua stessa ammissione ha finito per assomigliare alla madre, e raccontandone la storia non fa che parlare di se stessa: dar voce alla mi-steriosa vita della madre, colmandone le lacune, equivale a svelare qualcosa di sé. Teatro della vicenda non è solo la Francia, ma anche l'Inghilterra degli Harrison, do-ve Maud trascorre la sua esistenza di mo-glie e di madre. Su questo sfondo, oltre che nei libri che Maud divora con passio-ne e avidità, sono i fantasmi di Flaubert e di George Eliot, incarnati rispettivamente dalla provincia francese e da quella ingle-se. Equidistante da questi due mondi op-pressivi e limitanti è il cuore urbano del ro-manzo, la Parigi palpitante e vitale di rue Laugier.

(IR)

Jeanette Winterson, IL CUSTODE DEL FARO, ed. orig. 2004, trad. dall'inglese di Chiara Spal-lino Rocca, pp. 239, € 16,50, Mondadori, Mi-lano 2005

Fra i nativi degli Stati Uniti lo storyteller

è qualcosa di più di un narratore: è una fi-gura quasi sacra, a cui sono affidati la tradizione e i ricordi della comunità. Con quest'ultimo romanzo l'inglese Jeanette Winterson, autrice di Scritto sul corpo

(Mondadori, 2000), si conferma in un ruo-lo anaruo-logo, le sue narrazioni sono infatti risposte alla richiesta "raccontami una storia", che diventa qui leitmotiv, come in

Passione (Mondadori, 2001) era "ti sto raccontando delle favole, credimi". I suoi personaggi, del resto, sono quelli di tutte le storie della tradizione: amanti, padroni, ciechi veggenti, marinai. È un marinaio il padre di Silver, scomparso dopo un'uni-ca notte d'amore, è un padrone Pew, il custode del faro ma è anche il cieco veg-gente, il Tiresia che dice sempre la verità, cieco perché l'unica luce che importa è quella del faro, il resto può restare in om-bra. A raccontare questa storia è Silver, una bimba rimasta orfana all'età di dieci anni e affidata al custode del faro di Ca-pe Wrath, dai quale dovrà imparare il me-stiere: la luce va tenuta viva con il rac-conto, dice Jeanette Winterson, ma è co-me se dicesse che è il raccontare a man-tenere in vita. È infatti sul contrasto luce-ombra che si basa l'intero romanzo. La vi-ta nel faro, simbolo assoluto della luce, si svolge al buio, illuminata solo da qualche candela. A fondare il faro è Babel Dark ("scuro"), un uomo che ha una doppia vi-ta, simbologia che nasconde un doppio gioco, però, perché l'io alla luce del soie è quello realmente oscuro, è l'uomo infe-lice che maltratta la moglie e vive una vi-ta senza senso, che si illumina in quegli unici due mesi all'anno in cui può stare accanto alla donna che ama. L'ulteriore fascino della narrativa di Winterson è l'ammiccamento continuo al lettore con citazioni più o meno esplicite di cui la sua opera è costellata. Nel Custode del faro

troviamo brandelli dei capolavori del mo-dernismo inglese, rimandi a Forster e Eliot; il tema stesso del faro non può non far pensare a Virginia Woolf, e anche il bi-nomio luce-ombra, inteso come duplice lato della coscienza personale e della so-cietà, fu tanto caro a Woolf, che gli de-dicò il suo secondo romanzo, Notte e giorno.

ELISA BOLCHI

Audrey Niffenegger, L A MOGLIE DELL'UOMO CHE VIAGGIAVA NEL TEMPO, ed. orig. 2003, trad. dall'inglese di Katia Bagnoli, pp. 503, € 19, Mondadori, Milano 2005

Henry soffre di cronoalterazione, un di-sturbo genetico che lo costringe a viaggia-re nel tempo catapultandolo nel suo pas-sato o nel suo futuro. È durante uno di que-sti viaggi, all'età di trentasei anni, che vede per la prima volta sua moglie Clare, qui una bambina di appena sei anni intenta a giocare su un prato. Quando si rincontrano a Chicago nel presente lui ha ventotto anni e non la conosce ancora mentre è lei, di poco più giovane, a ricordare tutto; si rive-dranno così di continuo a età differenti, ogni volta costretti a separarsi all'improvvi-so e a restare all'improvvi-soli. Uscito negli Stati Uniti presso un editore indipendente, questo ro-manzo d'esordio rimanda alle trame ben congegnate della letteratura di fantascien-za ma è originale nell'opporvi due protago-nisti che ne emergono come persone vive. Punto forte è infatti la loro intensa storia d'amore: il lettore vi si appassiona perché nella sua fragilità ritrova quella sensazione di sapersi in balia del caso e dell'irreversi-bilità degli eventi. "Come ci si sente? - si chiede angosciato Henry. - C'è una logica, una regola in tutto questo andirivieni, in tut-to questut-to smarrirsi e dislocarsi? Esiste un modo per restare dove sono, abbracciare ii presente con ogni cellula?". Due perso-naggi che soffrono ma continuano a soste-nersi fino alla fine, contro una metafora esi-stenziale spietata sia per chi è assente sia per chi aspetta. Così infatti pensa tra sé e sé Clare, in apertura di romanzo, per col-mare il vuoto: "È dura essere quella che ri-mane (...) Perché l'assenza intensifica l'a-more? (...) Ogni minuto di attesa dura un anno, un'eternità. Perchè se ne va dove io non posso seguirlo?".

SERENA CORALLINI

Philippe Claudel, L E ANIME GRIGIE, ed. orig. 2003, trad. dal francese di Francesco Bruno, pp. 211, € 13, E onte alle Grazie, Milano 2004

In un piccolo villaggio della Francia del nord, nel 1917, mentre a poche miglia di distanza la guerra dilania e mutila con spreco ai orrore centinaia di corpi, il cada-vere di una bambina di dieci anni scivola silenzioso nelle acque di un canale. Venti anni più tardi un poliziotto in pensione rico-struisce con cura meticolosa la scena del delitto, ne ripercorre le indagini e recupera testimonianze trascurate, finché una verità, semplice e limpida, si riveia. Il romanzo di Philippe Claudel è un no//" tutto virato in gri-gio, che deve molto del suo fascino alla suggestiva descrizione di un paese avvol-to nella nebbia e nell'umidità del nord, do-ve il fango che appesantisce il passo di ca-valli e persone invita a riscaldarsi al fuoco della legna e dell'alcol in osterie e locande. L'efficace descrizione ambientale, un soli-do intreccio e un'altrettanto abile caratte-rizzazione dei personaggi non sono i soli pregi di un romanzo che, senza sottrarsi al-lo schema del genere poliziesco, ne svi-luppa al meglio le opportunità, il confronto speculare tra i drammi intimi dei personag-gi e la storia trapersonag-gica dell'Europa in guerra rende convincente la vicenda romanzesca e la sottile analisi psicologica garantisce profondità a una riflessione, mai peregrina, sul contrasto fra realtà e apparenza. Tutto, infatti, si rivela più semplice di quel che ap-pare. O forse tutto appare erroneamente più semplice di quel che è, incluso il confi-ne tra colpevolezza e innocenza, che per-mane labile e sfuggente. Premiato dalla critica e dal pubblico, il romanzo di Claudel merita il successo ottenuto in Francia an-che grazie a una prosa raffinata senza es-sere pretenziosa, mai tradita dalla tradu-zione impeccabile, che ne restituisce l'ori-ginale intreccio di termini dotti, metafore pittoresche e tratti lirici.

N. 5 • D E I L I B R I D E L M E S E 39 L

Jean-Marie Laclavetine, I L ROSSO E IL

BIAN-CO, ed. orig. 1994, trad. dal francese di Livia

Cattaneo, pp. 187, € 12, Meridiano Zero, Pa-dova 2004

Cinquantenne, nato a Bordeaux - come a dire, dentro il calice di un grande rosso - , Laclavetine immerge l'essere umano nel vino come il chimico la cartina di tor-nasole nel preparato da testare. In dieci racconti limpidi e accattivanti, divertenti anche quando amari, il vino funziona da reagente e colora un'umanità scelta tra la più ordinariamente frustrata e fragile di una tinta scura, il rosso cupo e violaceo del cabernet sauvignon del Médoc. Scor-re rosso sangue, in molte storie: sangue vero, come in Amici, ingegnosa variazio-ne sul motto in vino veritas, che si risolve nell'allucinato autodafé cui si sottopone Joseph, determinato a conoscere la sua vera natura degradata ubriacandosi con il diabolico "vino di Noè"

imbottigliato dallo stre-gonesco bisnonno; sangue iperrealistico in Mosche sommerse,

sorta di "tranquillo weekend di paura" nel quale Rèmi, solitario uomo massa aspirante suicida, complice un rosso avvelenato (de-stinato in origine a se stesso), ristabilisce l'ordine da ossessivo in cui voleva calare la propria morte, ucci-dendo viceversa la coppia di stolidi

giova-nissimi ladri che irrompono nel suo buen retiro; sangue metaforico è la chiazza di vomito vinoso che dà fuori, dilapidando la propria umanità fasulla, l'io narrante di

Djinn, mezzo scrittore mezzo fallito di mezz'età, ripreso in una riuscita soggetti-va che rende plastico il senso dell'abisso in cui può precipitare un'intera esistenza. Mai consolatorio, il vino di Laclavetine ri-scatta soltanto il Lui e la Lei dell'ultimo racconto, Paradiso, dialogo tra una cop-pia di tracannatori cirrotici passati a mi-glior vita, per nulla pentiti di essersela go-duta sbevazzando, alla faccia dei tanti moralisti benpensanti.

SILVERIO NOVELLI

Paolo Paci, CUOCHI, ARTISTI, VISIONARI. STO-RIE DI VIAGGIO DA M I L A N O A S T . M O R I T Z , pp. 270, € 14, Feltrinelli, Milano 2004

Paolo Paci, giornalista e viaggiatore, scrive un libro denso e coinvolgente di difficile definizione. All'inizio viene pre-sentata al lettore una mappa dettagliata dell'itinerario percorso a partire da Lecco,

lambendo la Valtellina e passando per la vai Bregaglia, fino a giungere all'alta En-gadina elvetica. Le prime pagine chiari-scono che il viaggio nasce da una scelta di riposizionamento sul mercato da parte dell'editoria per la quale Paci lavora. Le ri-viste di viaggi e turismo non tirano più; i lettori vacanzieri sono stati dappertutto. È giunta l'ora dei giornalismo enogastrono-mico. Dal mondo alla regione; dal globa-le al locagloba-le; dall'esotico al tipico. E Paci parte da Milano verso nord: assapora il quartirolo in Valsassina; cerca gli agoni nel Lario perché quei "pesciolini argenta-ti", grigliati e messi sotto aceto in barilotti di legno, si trasformano in prelibati mis-soltini; assaggia i caviadini, burrosi bi-scotti tostati; beve il rosso sfursàt nei erot-ti della Valtellina; e via così, forchette in resta e bicchieri alla mano. Tra descrizio-ne di luoghi, incontri e dialoghi con pro-duttori e osti e scandagli lanciati nella

profondità della storia locale (bella quella della pietra oliare di Piuro), l'autore informa con precisione e intrat-tiene con brio e ironia. Ma ci sono un paio di "però" che fanno del li-bro qualcosa di diver-so da un'aggiornata appendice del Ghiot-tone errante di Paolo Monelli. Il primo sta nell'amore di Paci per la montagna e, in par-ticolare, per le monta-gne che si innalzano come quinte lungo i la-ti delle valli percorse. Paci, viaggiando, racconta di se stesso giovane, alle prese con scalate e arrampicate. Questo rac-conto di sofferte e liberatorie ascensioni costella tutto il libro. Nella seconda parte del testo, quando Paci su commissione di una casa editrice continua il viaggio in vai Bregaglia per ricalcare le orme del gran-de pittore divisionista e simbolista Gio-vanni Segantini, anima anelante l'assolu-to, che in Engadina decise di fermarsi do-po una vita randagia, diventa chiaro che il controcanto memorialistico delle passa-te ascensioni mira a evolversi in un'asce-si più spirituale. Messe da parte enoga-stronomia e storia locale, qui Paci cerca, attraverso varie testimonianze, di empa-tizzare poetica e sguardo dell'artista che fu rapito dalla luce dei monti engadinesi e trasforma il movimento lineare del viaggio in un'inquieta oscillazione tra natura e umanità. Paci compie la sua riuscita pro-va d'iniziazione all'esercizio della parte di sé più vibratile e visionaria, che la conso-nanza spirituale con Segantini gli ha fatto portare alla luce, liberata da strati di quar-tirolo, missoltini e pizzoccheri.

( S . N . )

Enrico Remmert e Luca Ragagnin, ELOGIO DELLA SBRONZA CONSAPEVOLE. P I C C O L O VIAGGIO DAL BICCHIERE ALLA LUNA, prefaz. di Pruno Gambarotta, pp. 213, € 13, Marsilio, Venezia 2004

Improntata alla logica del "mettici den-tro tutto" (secondo Bruno Gambarotta, prefatore divertito e divertente), questa alticcia scorribanda citazionistica nel be-re tanto e nel bebe-re (mai) troppo (che ri-serva un piccolo spazio anche ai "mode-rati", in una logica da maggioritario sec-co), è stata allestita dai due scrittori tori-nesi con una vitalistica allegria che si tra-smette tutta al lettore, annettendolo a una variegata famiglia di illustri e meno illustri beoni: in gran parte scrittori, dall'antichità dei "precursori" (i classici greci e latini, ma anche gli illuminati cinesi) fino alla contemporaneità di minimalisti (Bret Ea-ston Ellis) e postmoderni (DeLillo); in mi-nima parte, attori, cantanti, signatures im-probabili da forum elettronico (Il Sudato), apocrifi (segnalati dalla glossa "forse", che segue la firma), personaggi dei car-toon (il "mitico" Homer Simpson, con una delle migliori battute del libro), gli autori stessi che non rinunciano al piacere di miscelarsi con gli ingredienti di questo

Documenti correlati