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identità idem: nella definizione di Crespi, ripresa dalle idee di P Ricoeur, è la possibilità di identificazione con le forme di determinazione culturalmente stabilite e socialmente riconosciute

Nel documento La Buona vita: materiali per una ricerca (pagine 101-105)

III. Intermezzo: appunti sulla teoria della persona

1. identità idem: nella definizione di Crespi, ripresa dalle idee di P Ricoeur, è la possibilità di identificazione con le forme di determinazione culturalmente stabilite e socialmente riconosciute

che fondano e assicurano la similarità dei soggetti: garantendo la prevedibilità delle aspettative e le regole fondamentali dello scambio comunicativo. E’ il campo vasto dei ruoli sociali (= insiemi articolati di modelli di comportamento che orientano l’agire nell’adempimento delle diverse funzioni sociali –ruoli familiari, professionali, politici, ecc.)

2. identità ipse, secondo l’idea di Ricoeur già richiamata: il termine “identità” rinvia alla singolarità dell’individuo, in quanto unico, diverso da tutti gli altri: col presupposto di una continuità cosciente del suo sé e del suo proprio corpo, attraverso le molteplici, particolari vicende della sua vita e le trasformazioni che in essa hanno avuto luogo. Questa seconda figura dell’identità non è definibile verbalmente: si tratta piuttosto di una identità sentita, con riferimento a un nucleo del sé che persiste attraverso le successive trasformazioni.(Aggiunge il seguente pensiero: ovviamente, questo sentire si nutre di elementi culturali diffusi, di uso collettivo; ma il materiale cognitivo, nonché espressivo, diciamo così, di cui è fatta la sensibilità individuale, è filtrato da bisogni, visioni, esigenze e preferenze del soggetto: all’interno del discorso che il soggetto intrattiene con se stesso, utilizzando codici personali evidentemente riferiti alle proprie particolari esperienze di vita) (TAS, p.285); è certo opportuno notare che le due dimensioni interagiscono sempre, l’una esistendo in vari modi grazie all’altra: la distinzione è più analitica che reale).

Qualche parola va spesa sulla natura particolare della identità singolare o ipse: l’idea è che il soggetto sia animato da spinte corrispondenti alle due forme di identità, ossia tenda sia a uniformarsi al mondo sociale-culturale seguendo l’esempio offerto dagli altri più prossimi, sia a differenziarsi per “realizzare” se stesso. Così, l’individuo sperimenta nel corso della sua vita appartenenze a contesti sociali e culturali diversi, e lo fa mosso da un’esigenza intima, che è

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quella di essere riconosciuto nella sua singolarità irriducibile, cioè non completamente riconducibile, alle forme di oggettivazione disponibili e prevalenti in quegli stessi contesti. La possibilità di passare gradualmente dall’identità prevalentemente fornita dal SI anonimo dei modelli codificati nel mondo di senso comune a un’identità elaborata in modo personale, sulla base di una riflessione sui propri vissuti precedenti, nei loro risvolti consci e inconsci, configura l’esperienza come una “traversata da sé a sé” (Romano: L’evenement et le monde, 1998, p. 201) che conserva un carattere infinito, in quanto la comprensione di sé e di ciò che si è fatto non può mai essere esaurita al livello

semantico delle categorie interpretative.

E’ importante quel che Crespi afferma in conseguenza. Ecco, in sintesi: a) il carattere riduttivo di ogni forma di definizione del soggetto

b) l’indeterminatezza propria dell’identità intesa come singolarità o differenza (al contrario, pare di poter desumere, di quella generica o di ruolo, assai più prevedibile)

c) la terza idea è che la vaghezza incodificabile dell’identità soggettiva non soltanto tende a eludere (in parte almeno) lo sguardo dell’altro, ma crea un differenziale di significati nel cuore riflessivo del soggetto medesimo: un essere cosciente non può essere mai identico all’idea che ha di sé, in quanto la riflessività lo porta sempre al di là della determinazione di sé verso altre possibilità ancora inesplorate. (TAS, p.285)

d) per questo si può parlare di una molteplicità di sé (riferiti a un unico soggetto): le complesse dimensioni presenti nell’individuo possono trovare espressione nelle più varie forme di determinazione, anche contraddittorie tra loro. E continua: esiste una identitànarrativa sviluppata nel corso del tempo attraverso successive identificazioni con valori, norme, modelli di azione reperiti negli spazi sociali e culturali di riferimento. All’interno di questa possono manifestarsi quelli che Crespi in accordo con altri autori (vedi ad es. Bauman) chiama fenomeni di dissonanza cognitiva: eventuali incongruenze tra la struttura cognitiva del soggetto e le sue azioni effettive, nonché la tendenza a dissimulare o ridurre tali incongruenze tramite strategie interiori di autoinganno e processi di razionalizzazione (TAS, p.285; qui Crespi fa riferimento a: Elster 1985: The multiple self; Festinger 1973: Teoria della dissonanza cognitiva).

e) Con tutto ciò, l’identità è ancora unità: malgrado trasformazioni, contraddizioni o incoerenze tipiche dello sviluppo dell’identità personale, una certa unità della persona viene normalmente mantenuta ferma e non viene incrinato il sentimento di una fondamentale permanenza dell’io (p.285). Crespi cita ancora Elster: a parte i casi patologici, non dobbiamo prendere troppo sul serio l’idea della molteplicità dei sé: “in genere, noi abbiamo a che fare esattamente con una persona, né più né meno. Questa persona può avere problemi cognitivi e qualche conflitto motivazionale, ma è affar suo risolverli” (Elster 1985, 30).

Secondo Crespi il bisogno di identità (sia idem che ipse) è intimamente legato a quell’esigenza di rassicurazione, profondamente ontologica, che ci accomuna tutti: la destabilizzazione originaria è (…) un vissuto di insicurezza riguardo alla propria reale con-sistenza. La coscienza di esserci è anche consapevolezza del proprio carattere finito, ovvero della possibilità di non-esserci (p.286).

Per riuscire a convivere con tale insicurezza ontologica è innanzitutto necessaria una conferma che può provenire soltanto dal riconoscimento degli altri (qui il riferimento è alla dialettica hegeliana servo-signore: dal conflitto e dalla lotta per l’indipendenza del primo nasce il vero riconoscimento reciproco, quale riprova dell’esserci effettivo di ciascuno).

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Il processo di riconoscimento non è facile, e mostra chiaramente il dualismo che caratterizza l’identità:

1. da un alto, per ottenere riconoscimento è necessario adeguarsi ai modelli generalmente condivisi nel contesto sociale di appartenenza. Il processo di socializzazione equivale a un corso più o meno accelerato di acquisizione di identità fondata sulla similarità. Il riconoscimento appare condizionato: occorre seguire modelli di normalità diffusi, che si presume siano approvati e seguiti da tutti. L’adattamento ha i suoi evidenti vantaggi (tanto grandi che le persone sono disposte a pagare anche prezzi molto alti pur di guadagnarselo) ma comporta dei rischi: all’estremo, con un grado eccessivo di adattamento il comportamento è talmente prevedibile che il soggetto non è più riconoscibile: secondo C., chi si adegua totalmente ai ruoli sociali interpretati finisce per essere dato per scontato (287). L’eccesso di identificazione rischia di ridurre il singolo a una sorta di automa culturale, dice C. La conseguenza è una perdita di autonomia. 2. Per un compiuto e, potremmo dire, equilibrato riconoscimento del singolo in ambito sociale è necessaria dunque anche l’altra dimensione della identità: che Crespi qualifica come l’esigenza di essere riconosciuti nella propria singolarità. Ossia, possiamo aggiungere, nella propria originalità e differenza: nelle qualità che fanno di noi degli esseri speciali, pur nella marcata somiglianza di tratti, rispetto agli altri.

3. Perciò gli individui mantengono generalmente un rapporto ambivalente con il contesto sociale: secondo quella dialettica di appartenenza e distanziazione (o, potremmo dire: distacco) che Crespi pone in evidenza seguendo le tracce di Ricoeur (Du texte à l’action. Essais d’herméneutique II, 1986). Il beneficio derivante, in termini anche psicologici, cognitivi, affettivi, dall’integrazione e riconoscimento pubblico viene salvaguardato grazie al mantenimento di una (relativa) distanza dal ruolo: un margine di libertà, che consiste in una imprevedibilità più o meno grande dell’individuo, è secondo Crespi una condizione essenziale per lo sviluppo (e il mantenimento, e la conferma ripetuta) della relativa autonomia individuale (il riferimento in questo caso è a Goffman: Espressione e identità, 1979).

La complessa dinamica dell’appartenenza e distanziazione, interpretata da Crespi in termini sociologici e antropologici, sia pure con espliciti riferimenti a studi di ambito psicologico e psicoanalitico (come M. Klein), viene in vari modi e in diverse opere discussa anche da A. Carotenuto. Stabilito che l’essere umano va in cerca di relazioni, Carotenuto scrive che la nostra personalità si costruisce in una sorta di dialogo continuo tra interno ed esterno (Carotenuto, Vivere le distanza, 1998, 14), con, agli estremi, le due facce della introversione e della estroversione; e quelle costituite dalla riservatezza da un lato, e l’apertura, o disponibilità a condividere la propria esperienza interiore, dall’altro. Poi prosegue: ferma restando la motivazione di base, che è per tutti la ricerca di senso, l’uomo è spinto in due direzioni opposte: da una parte c’è il divenire e il sentirsi partecipe della vita di un gruppo, di un sistema, la ricerca dell’intimità e della relazione, l’essere amato, ammirato, rispettato; dall’altra, il bisogno di sentirsi separato, autonomo e autodiretto, protetto nella propria dimensione privata e individuale, e addirittura il bisogno di sentirsi unico relativamente ad alcune capacità e competenze(p.14). Esiste una dialettica, una tensione costante tra bisogni e realtà della vita differenti: il bisogno di affettività corrisponde alla necessità di trovare conforto negli altri, in forma di aiuto e riconoscimento. L’esigenza di autorealizzazione (la tendenza a realizzare quello che Carotenuto chiama, in accordo con Jung, “processo di individuazione”) diventa

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necessità di prendere le distanze, di tanto in tanto, di situarsi altrove e differenziarsi dagli altri, dall’ambiente sociale e culturale al quale pure si fa riferimento. Da qui nasce il tema della solitudine, che secondo Carotenuto è condizione costitutiva dell’umano.

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