Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sono contaminanti organici presenti diffusamente nell’ambiente, considerati come una unica classe di POPs (Persistent
Organic Pollutants). Si formano per combustione incompleta di materiali organici,
in particolare legno e combustibili fossili. Derivano si da fonti naturali, come incendi di foreste ed eventi vulcanici, ma in particolar modo gli IPA derivano da attività antropogeniche, quali la combustione di carbone, prodotti petroliferi, gas, legno, tabacco, rifiuti e altre sostanze organiche. Studi condotti sulla natura di queste sostanze hanno determinato che è possibile evidenziarne la provenienza. Le distribuzioni di IPA dominate dai costituenti alchilici sono rappresentative di fonti di petrolio infatti, mentre quelli non alchilici da sorgenti di natura pirogenica (Sporstol et al. 1983).
Le molecole degli IPA sono costituite da tre o più anelli benzenici, alcune costituite solo da idrogeno e carbonio, altre contengono anche atomi di altra natura come l’azoto e lo zolfo. Alla famiglia degli IPA appartengono alcune centinaia di composti molto eterogenei tra loro. Il benzo(a)pirene (BaP), un particolare composto a cinque anelli, è considerato un buon indicatore dell’inquinamento ambientale dell’intero gruppo degli IPA perché è usuale riscontrarlo nell’ambiente a concentrazioni significative ed è dotato della più elevata tossicità.
Ad oggi, la US Environmental Protection Agency (EPA, 1987) ha individuato tra le tante molecole 16 congeneri di importanza primaria per la salute umana e per gli organismi acquatici, sia mammiferi che non. Le sostanze più tossiche sono le molecole aventi dai quattro a sette anelli benzenici. La figura 2.1. riporta i 16 IPA elencati dall’USEPA, composti caratterizzati da 2-6 anelli fusi, con pesi molecolari (MWS) compresi nel range di 128-278 g/mol. La loro solubilità (S) e pressione di vapore (Vp) sono i principali fattori fisici/chimici che ne controllano la distribuzione tra i componenti solubili e le particelle dell'atmosfera, idrosfera e biosfera.
Mediterraneo orientale, alte concentrazioni di IPA (fino a 625 mg/L) sono state segnalate essere associate al trasporto di petrolio ed operazioni di raffineria per gli effluenti (Yilmaz et al. 1998).
Generalmente, le concentrazioni negli impianti di trattamento di acque reflue urbane (rifiuti domestici) sono inferiori (5 mg/L).
Nei mari, le concentrazioni di IPA totali sono molto variabili, con range che vanno dal non rilevabile a 11 mg/L. La distribuzione è infatti controllata dalla solubilità e idrofobicità dei diversi IPA. Di norma, la frazione legata a particolato è dominata dalle molecole con 4, 5 e 6 anelli benzenici, mentre le fasi disciolte tendono ad essere dominate da specie con 2 o 3 anelli. In ambiente acquatico quindi avviene una ripartizione degli IPA, tra frazioni disciolte e legate al particolato, a seconda della solubilità delle singole molecole e la disponibilità dei substrati vincolanti, quali le particelle in sospensione. Analisi condotte in campioni di acqua di mare provenienti da USA, Regno Unito e Cina, hanno evidenziato elevati livelli di naftalene negli ultimi due luoghi, mentre i dati americani mostrano livelli molto più bassi del congenere. Questo perché per i campioni americani si è utilizzato solo la frazione di particolato di acqua, nella quale il naftalene non è previsto essere presente in grande quantità, considerando la sua elevata solubilità in acqua. Lo studio (Latimer e Zheng, 2003) ha concluso quindi che i congeneri con elevato peso molecolare sono quelli fortemente associati con il particolato. Anche la natura dei sedimenti stessi risulta un importante fattore di variabilità nelle concentrazioni di IPA nell’ambiente marino.
In generale, in ambiente marino è stato riscontrato un gradiente in cui le concentrazioni off-shore sono più basse, seguite da quelle in fascia costiera (inshore) ed infine dal microstrato marino superficiale (sea surface microlayer o SSM).
Detto ciò, è importante però capire quant’è la frazione che diventa biodisponibile agli organismi acquatici per poterne definire un livello di tossicità dei contaminanti in questione. La biodisponibilità viene estrapolata utilizzando l'approccio dell'equilibrio di ripartizione (EPA 2000). In linea di massima, la sedimentazione rappresenta il processo primario di rimozione di IPA dalla colonna d'acqua, la quale avviene mediante adsorbimento da vari tipi di particelle. Una volta nei sedimenti, le particelle associate alle molecole IPA vengono mescolate in tutto il sedimento superficiale da processi fisici e biologici (ad esempio sospensione delle maree e bioturbazione). Alcuni congeneri (con basso peso molecolare) vengono microbiologicamente
degradati, specialmente nella zona aerobica. Altri (con alto peso molecolare) invece finiscono per sciogliersi nuovamente nella colonna d’acqua sovrastante o in acque interstiziali. Le differenze fondamentali di fonte (piro- o petrogenico) e persistenza degli idrocarburi influiscono in modo significativo con la loro biodisponibilità. Come risultato della biotrasformazione delle molecole IPA, in alcuni vertebrati e invertebrati, il trasferimento lungo catena alimentare e la conseguente biomagnificazione non sembrano esistere né in ambienti acquatici né terrestri, anche se alcuni consumatori primari e predatori detritivori possono incorrere all’accumulo di elevati livelli di IPA. Un confronto quantitativo dei livelli di IPA mostra che le massime concentrazioni si riscontrano in piante acquatiche, oligocheti e isopodi. Il processo che vede un decremento in concentrazioni al crescere del livello trofico viene definito
biominification (Campbell et al. 1988). È chiaro che i congeneri che si
riscontrano negli organismi superiori sono quelli a quattro o più anelli di benzene, più resistenti alla degradazione microbica e quindi con più probabilità di stabilirsi in sedimenti e ingeriti dai macroinvertebrati e vertebrati.
Le informazioni sulle concentrazioni tissutali nei mammiferi marini (Figura 2.2.), di interesse per questa tesi, sono paragonabili a quelle riportate per pesci. Sulla base degli studi pubblicati per tutti vertebrati marini, compresi i pesci, le concentrazioni di IPA totali possono raggiungere concentrazioni pari a 1-4 mg/kg di peso fresco (w.w.) nel fegato, rene, cervello, o tessuto muscolare La principale preoccupazione in merito all'esposizione agli idrocarburi policiclici aromatici è la potenziale reattività di alcuni metaboliti nel causare danni al DNA, RNA, e proteine cellulari. Anche se alcuni IPA sono stati ben studiati in laboratorio e su animali domestici, gli effetti di un'esposizione acuta o cronica a singole molecole IPA, o a miscele degli stessi, non sono noti per né mammiferi marini wild né per rettili, e solo parzialmente lo sono negli uccelli. Inoltre, in natura ci si trova davanti ad uno scenario in cui si ha a che fare con l’insieme di diverse classi di contaminanti, tra cui IPA, idrocarburi alogenati e contaminanti metallici, le quali possono comportare fenomeni di sinergismo o antagonismo, rendendo così difficile identificare per i ricercatori risposte biologiche causate
Figura 2.2. Concentrazioni IPA riscontrati in diversi mammiferi marini. Immagine tratta dal Cap. 13 "Effects of PAH on
Marine Birds, Mammals and Reptiles", Douben P.E.T. (2003). PAHs: An Ecotoxicological Perspective.
Ad oggi, gli sforzi di ricerca per indentificare gli effetti degli IPA sulle popolazioni o comunità di mammiferi marini sono pochi (Martineau et al., 1988; 1994; Hellou et al., 1990; Law & Whinnett, 1992; Marsili et al., 1997; 2001) e la maggior parte di questi sono conseguenti a catastrofi, come nel caso Exxon Valdez con la fuoriuscita di petrolio in Alaska e le indagini sugli effetti nella popolazione residente di beluga (Delphinapterus leucas).