• Non ci sono risultati.

In quest’ultima sezione mi concentrerò, sempre a partire dalle fonti scritte, su alcuni aspetti che riguardano più da vicino il rapporto tra la famiglia di Alessandro IV e il castello di Jenne.

Comincio dalla stessa definizione di Jenne come castello, castrum, perché riguarda anche le vicende di Ildemondo. A partire da Pierre Toubert se non prima, buona parte degli studiosi che vi hanno riflettuto hanno proposto un confronto tra un privilegio di papa Leone IX per Subiaco dell’anno 1051, inserito nel Regestum Sublacense, e la nota epigrafe dell’abate Umberto ancora oggi conservata in loco, datata al 1052. Il diploma ci parla di un fundus Gehenne, l’epigrafe parlerebbe invece di castrum. È così che il processo di incastella- mento avrebbe coinvolto Jenne tra 1051 e 1052. In realtà l’epigrafe menziona semplicemente Gennam senza aggiungere altro. Ma allora quand’è che Jenne è divenuta castrum? E come mai il processo di incastellamento dei beni subla- censi non l’ha coinvolta fin da subito? Credo che una buona risposta a questi

26 A. Paravicini Bagliani, La mobilità della corte papale nel secolo XIII. Riflessi locali, in Società

e istituzioni dell’Italia comunale. L’esempio di Perugia, Perugia 1988, pp. 155-278, sp. pp. 236-237; familiares sono attestati a Jenne nel 1250: AS, Arca XXVI, 4 (Federici, n. 308; Andreotta, n.

3); Arca XXVI, 5 (Federici, n. 321; Andreotta, n. 4).

27 Per gli affreschi vedi Paniccia, Frammenti inediti, da lei datati agli anni di pontificato di

quesiti venga dalla ricostruzione proposta diversi anni or sono da Lucia Tra- vaini: fino alla metà dell’XI secolo, Jenne appartenne alla diocesi di Trevi e «restò di fatto esclusa dal dominio dell’Abbazia». Soltanto dopo il 1059-1061 venne annessa alla diocesi di Anagni insieme all’intero territorio di Trevi, e solo a partire da quel momento gli abati cercarono di prenderne il pieno e concreto controllo28. Un’esclusione del genere, così come l’inserimento nel territorio dell’antica città romana di Trevi nel Lazio, spiegherebbero bene sia l’estraneità di questo fundus al primo incastellamento sublacense (sec. X-XI), sia l’insistente presenza dei trebani nella storia del luogo tra i secoli XI e XII, sia pure la scelta compiuta da Ildemondo: rispetto a tanti luoghi fortificati, un agglomerato di villaggi e aziende rurali sarebbe stato più semplice da conqui- stare. Ancora si parla di fundus nel privilegio di Pasquale II del 1114 copiato nel dossier giudiziario (cf. supra); soltanto nel 1116, quando dopo un conten- zioso un giudice papale impone ai seniores Trevenses di restituire Jenne all’abate di Subiaco, la sentenza parla finalmente di castrum. Alla luce dei conflitti che coinvolsero l’abate, i trebani e Ildemondo tra la fine dell’XI secolo e i primi anni del XII, si può pensare che la fortificazione del luogo sia avvenuta pro- prio nel corso di questi primi conflitti e nel più generale contesto di ridefini- zione signorile di Subiaco29.

Dal 1116, nonostante i ripetuti tentativi di conquista ed esproprio e nono- stante le investiture feudali, la proprietà in senso giuridico del castello rimarrà per secoli a Subiaco: è per questo che l’archivio monastico conserva diversi atti 28 Andreotta, pp. 110-112; Toubert, Les structures cit., pp. 387 e 800-801; L. Travaini,

Rocche, castelli e viabilità tra Subiaco e Tivoli intorno ai confini territoriali dell’abbazia sublacense (X-XII secolo), in «Atti e memorie della Società tiburtina di storia e d’arte», 52 (1979), pp. 65-97, sp.

pp. 96-97. Sull’epigrafe si veda M. Orlandi, L’epigrafe dell’abate Umberto. Analisi storica, archeolo-

gica e topografica della valle Sublacense, in Le valli dei monaci cit. (nota 4), pp. 637-690. Il privilegio

di Leone è in Il Regesto Sublacense cit, n. 21: contenuto in AS, Arca VI, 1, f. 56v, il fundus Gehenne è scritto sopra una rasura e, come pensa anche Travaini, ha tutta l’aria di essere interpolazione tardiva di un toponimo in principio diverso. L’altro testo del Regesto che menziona un fundus

Gennae (n. 8 dell’edizione), è attribuito a un Giovanni papa ma, privo di escatocollo, come già

notato da Toubert e dagli editori ha tutta l’aria di essere fortemente interpolato.

29 AS, Arca I, 1 (Federici, n. 210); Chronicon Sublacense cit., p. 19 (qui i trebani affermano

che Jenne era «non iuris S. Benedicti sed sui»); Il Regesto Sublacense, n. 212. Per l’ingerenza dei trebani cf. del Regesto il n. 47, nonché Caraffa, Trevi nel Lazio cit., pp. 48-64. Vedi anche sopra, a proposito della fortificazione di Monte Porcaro durante i conflitti. Il Chronicon Sublacense parla sempre di Jenne come castrum, ma trattandosi di una compilazione ideata nel XII secolo, molto probabilmente l’autore estese ai tempi precedenti la situazione che aveva sotto gli oc- chi. Altre ingerenze su Jenne in questa prima fase, anteriore al 1176, sono esplicitate in Docu-

menti per la storia ecclesiastica, n. 24 (a. 1161-1162). Cfr. su queste dinamiche anche Fiore, Il mutamento signorile, pp. 137-139. Naturalmente non è del tutto escludibile che prima di chia-

marsi castrum Jenne fosse già stata fortificata. Ma io credo che il mutamento lessicale sia le- gato, perlomeno a valle, a un processo concreto almeno sul piano politico.

su Jenne. Si può dire qualcosa sulle modalità di gestione del castello da parte degli abati e soprattutto da parte dei loro feudatari? Cosa sappiamo sul rapporto tra i signori e i loro sottoposti? Le fonti divengono meno avare intorno al 1176, cioè nel momento in cui le conflittualità tra i monaci e Filippo (I) cominciano a sopirsi. Già il libellus dei monaci, narrando di una prima formalizzazione degli accordi tra l’abate Simone e Filippo, scrive che quest’ultimo, in quanto vassallo, avrebbe dovuto restituire all’abate le imposte (data publica), metà della giurisdi- zione (dimidium placidi et bandi) nonché le chiese, le decime e la tassa sui decessi (mortuaria). I patti non vennero rispettati in quell’occasione, ma formule assai simili ricompaiono anche nel privilegio di Alessandro III che sancisce, nel 1176, l’accordo definitivo con l’investitura di Filippo quale vassallo di Subiaco e si- gnore di Jenne. In questa occasione i monaci mantengono di nuovo la gestione delle chiese, delle decime, della tassa sui decessi e delle imposte, specificando che faranno metter per iscritto queste ultime per evitare «immoderazione» (im- moderantia) rispetto agli altri castra dell’abbazia. A queste prerogative i monaci aggiungono anche la giurisdizione (curia). Filippo e gli eredi raccoglieranno le imposte per darle all’abate o a chi per lui, però potranno mantenere per sé la «consueta assisa in moneta» (assueta assisa monete) dei loro homines; si impegnano inoltre a prestare servizio militare, e ottengono la garanzia di non vedersi sot- tratto il feudo «senza un giudicato» (sine forisfacto)30.

Non tutto è chiaro in questo elenco, in particolare non lo sono né l’entità delle imposte chiamate data publica, né quella della assisa in moneta. Almeno su quest’ultima possiamo tuttavia farci un’idea più precisa grazie a un con- fronto con le successive conferme della relazione feudale tra i signori di Jenne e i monaci, specialmente quelle dei primi anni ’40 del Duecento emanate dall’abate Lando nei confronti di Filippo (II), il padre di Alessandro IV. Nelle conferme, che ricalcano il privilegio del 1176, alla parola assisa monete viene sostituita la formula «4 lire, cioè ogni anno 40 soldi», e si fa peraltro riferi- mento a un tributo simile un tempo devoluto dagli uomini del castello di Ar- cinazzo agli avi di Filippo (II). L’assisa monete è perciò un tributo in denaro ed è qualcosa di più specifico rispetto ai data publica. Per quanto riguarda questi ultimi, qualche ulteriore spunto di riflessione può venire anche dal noto in- strumentum conventionis dell’anno 1193, la ratifica di patti tra i monaci di Subiaco e gli abitanti dell’omonimo castrum. L’instrumentum, rivolto agli abitanti (popu- lus) con l’eccezione di milites e clerici, specifica l’obbligo di una tassa monetaria di 40 lire di boni provesini veteres ad manganum o equivalente tra la festa dell’As- sunzione di agosto e quella di san Michele di settembre (15 agosto-29 settem- bre). Poiché la carta specifica anche una serie di obblighi e adiutoria imposti

dai monaci agli abitanti– aiuto nell’acquisizione di terre e nel ripristino di danni, risarcimento in moneta di conflitti, obbligo di cedere agli abati i cavalli appena nati, estensione dello status feudale alle nuove case edificate per i mili- tes, devoluzione alla curia abbaziale della persona e dei beni del reo condan- nato – si potrebbe pensare che i data publica imposti agli abitanti di Jenne fos- sero qualcosa di simile. Al di là dei contenuti, mi sembra interessante anche il lessico utilizzato per esprimere le relazioni tra Subiaco, i signori di Jenne e i loro castra, perché almeno nelle parole assisa e forisfactum sembra rimandare a sistemi di giustizia italomeridionali. Rimarrebbe da capire l’effettiva peculia- rità di tale lessico, nonché le sue origini e la sua diffusione nel Lazio del secolo XII. Anche se esso non è più presente nelle conferme jennesi del Duecento (forisfactum diviene iusta et legitime probata causa; assisa lascia il posto a collecta), da parte loro queste ultime, con i loro contenuti, mostrano una tenuta del si- stema. Se le cose stanno così, l’acquisizione e il controllo del castrum da parte di Gregorio IX non dovettero apportare modifiche sostanziali alla sua strut- tura politica e giuridica: forse davvero il papa anagnino non fu altro se non un garante del potere Filippo II e suo figlio Rinaldo dopo che esso era stato ibernato dagli abati31.

La documentazione sublacense consente dunque di avere una qualche idea sul volto dei proprietari di Jenne, i monaci di Subiaco, come anche sui loro vassalli e signori del castello, la famiglia di Alessandro IV. Ma cosa pos- siamo dire sugli abitanti del luogo? Gli storici sanno bene che le domande sui ceti meno abbienti sono le più difficili da soddisfare, specialmente in ragione del rapporto fisiologico tra le registrazioni scritte degli oggetti sociali – la «documentalità» di Maurizio Ferraris32 – e i gruppi eminenti, che nel me- dioevo controllano la produzione di scritture. Come spesso accade tuttavia, qualche raro atto, letto in controluce, può fornirci almeno una manciata di dati sui cui iniziare a ragionare. Nel complesso dossier sublacense relativo alle infeudazioni di Jenne nel corso del Duecento, vi è un atto notarile stilato il 16 luglio 1272 per ratificare il passaggio del feudo di Jenne da Giovanni di Ga- vignano, pronipote di Alessandro IV, a Giovanni dei Conti di Valmontone. Il passaggio prevede una reificazione del complesso rituale di investitura feu- dale a partire dalla trasmissione della possessio corporalis, passando poi per il dissolvimento dei vincoli di fidelitas e homagium degli abitanti nei confronti di 31 AS, Arca I, 1 (Federici, n. 210: già nel libellus è presente forisfactum, menzionato subito

dopo il viaggio di Filippo (I) nella «terra del Re di Sicilia»); Reg. Alex. IV, 2411 (privilegio del 1176) e 2398 (conferme dei primi anni 1240); Statuti della provincia romana cit., pp. 13-17 (con- venzione del 1193). Ci si può fare un’idea più che precisa del lessico signorile meridionale dal libro di Carocci, Signorie di Mezzogiorno cit.

Giovanni di Gavignano, per arrivare infine a nuovi giuramenti nei confronti del nuovo signore di Jenne. La registrazione del nuovo giuramento elenca fortunosamente i nomi degli homines et habitatores del castello. Si tratta di 66 individui di sesso maschile, i quali con ogni probabilità corrispondono alla totalità o quasi dei capifamiglia che abitano entro le mura. In questo caso, una moltiplicazione del numero per un coefficiente di 4-5, oggi consueto tra gli studiosi, può fornire una prima idea della popolazione complessiva: 264-330 individui, che corrisponderebbero a un castello di medie dimensioni per gli standard dell’epoca33. Di questi 66 individui, il primo della lista porta il titolo di magister e potrebbe ben corrispondere al principale mediatore tra gli homines e il loro signore. 10 di costoro, poi, hanno accanto al nome la specifica boni hominis, ma non sappiamo esattamente se si tratti di un patronimico («X figlio di Bonushomo) oppure, come riterrei appena meno probabile, un’appartenenza al notabilato locale, ai boni homines castri. Con questa seconda ipotesi, il nota- bilato corrisponderebbe al 15% dei capifamiglia e al 3% della popolazione totale. Per quanto riguarda il profilo sociale di questi individui, al momento mi è stato possibile unicamente rintracciare – certo con qualche dose di in- certezza – uno di loro, Ventura di Benedetto, nella documentazione subla- cense un poco più tarda: in un atto del 15 giugno 1302, stilato a Jenne di fronte alla chiesa di S. Andrea, Ventura cede a tal Nicola di Giovanni un pic- colo terreno edificabile (casarenum) e un orto con alberi in Monte Porcaro, il tutto al prezzo di quattro fiorini d’oro. L’atto è interessante perché, pur stilato da un notaio sublacense (de Sublaco), non mostra nessun intervento né dei signori né dei proprietari del castello in questa transazione modesta, e dunque potrebbe esser spia di un certo protagonismo degli homines nel mercato della terra di pertinenza jennese. Poiché Ventura non è accompagnato dalla quali- fica boni hominis, il suo profilo potrebbe inoltre corrispondere alla media dei capifamiglia jennesi del tardo Duecento e del primo Trecento34. Ma forse stiamo spremendo i documenti oltre il consentito: i troppi condizionali e le cautele dei metodi regressivi mi impongono di tirare le briglie e fermarmi, nella speranza di aver gettato un po’ di luce utile sulla storia di questo affasci- nante territorio di frontiera e dei suoi protagonisti.

33 AS, Arca XXVI, 9 (Federici, n. 443; Andreotta, n. 26). Il testo edito da Andreotta è

da correggere in più punti, e ai suoi 64 nomi ne vanno aggiunti almeno due ulteriori. Faccio notare che in un caso la qualifica boni hominis è anticipata dal titolo ser.

Appendice

Subiaco, Archivio di S. Scolastica, Arca I, 1 = V. Federici, I monasteri di Subiaco, II, Roma 1904, n. 210.

Pergamena rettangolare, con al recto il testo n. 1 e al verso i testi nn. 2 e 3. Al recto, il testo n. 1 occupa l’intera superficie del supporto, mentre sul verso gli altri due testi sono disposti entro la metà sinistra del rettangolo in questa maniera: diviso il rettangolo in quattro rettangoli più piccoli, il testo n. 2 occupa il rettangolo sinistro superiore, mentre il testo n. 3 occupa, diviso in due colonne, il rettangolo sinistro inferiore. Una disposizione tale consente di immaginare le modalità e i tempi di scrittura dei tre testi: a) In un primo momento venne copiato il privilegio di Pasquale II del 1115 (testo n. 1) sul recto della pergamena, adoperando l’intera superficie scrittoria; b) dopodiché, piegata la pergamena in due, da destra a sinistra e lungo ad un asse verticale, venne trascritto il privilegio di Pasquale II del 1117 (testo n. 2) sul rettangolo superiore; c) la pergamena venne ulteriormente piegata prima lungo un asse oriz- zontale e dall’alto in basso, poi di nuovo lungo un asse verticale. Le due superfici del rettan- golo ottenuto avrebbero così ricevuto la stesura rispettivamente della col. I e della col. II del

libellus dei monaci (testo n. 3).

Testo 1

Testo 2

Testo 3 col. I col. II

I tre testi, editi separatamente in diverse sedi, non sono mai stati considerati come parte di un unico dossier. È questo il motivo principale che mi ha spinto a riproporli in questa appendice, senza contare che le medesime edizioni disponibili presentano diversi errori di trascrizione. Trattandosi di una fotografia delle proprietà sublacensi all’inizio del XII secolo, il primo testo può avere un valore più ampio rispetto ai temi trattati in questo articolo e

potrebbe aiutare in futuro a meglio localizzare nel territorio alcuni dei toponimi menzionati nell’atto: cf. P.Rosati, I confini dei possessi del monastero Sublacense nel Medioevo (secoli X-XIII), «Archivio della Società romana di storia patria», 135 (2012), pp. 31-62. Similmente, il secondo e il terzo testo vanno invece ad arricchire un quadro variegato e composito qual è quello dei

libelli – si veda sopra la nota 7 – e possono portare un contributo alla riflessione tanto sugli

sviluppi signorili quanto sui sistemi giudiziari del XII secolo.

1. 1115, aprile 11. Il pontefice Pasquale II conferma all’abate Giovanni tutte le proprietà dei monasteri sublacensi.

Il testo del documento si trova edito – sulla base dalla sua trascrizione nella cronaca di Su- biaco – in Chronicon Sublacense cit., p. 29.

Paschalis episcopus servus servorum Dei dilecto filio Iohanni Sublacen- sis monasterii abbati eiusque successoribus regulariter substituendis in perpe- tuum.

«Glorifcantes me glorificabo» dicit qui non mentitur, Dominus. Hoc ve- ritatis sue promissum Deus benedictus in secula fideli suo Benedicto custo- diens, eum mirabiliter non solum in celis sed etiam in terris glorificare digna- tus est. Ut ipsa quoque loca in quibus idem Dei famulus habitavit gloriosa apud homines habeantur, hanc Dei factoris [...] dignationem nos quoque, ipsius factura, sequimur, cum eundem patrem nostrum ideo glorificare cura- mus. Unde et locum illum in quo Dei dispositione prius habitasse et ad glori- ficandum Deum cenobium construxisse et multos ad Dei gloriam aggregasse cognoscitur, cui videlicet Sublacus nomen est, gloriosum ac venerabilem ha- bemus et Apostolice Sedis auctoritate munimus.

Tibi igitur, carissime fili, et per te supradicto beati Benedicti monasterio confirmamus Specum in quo idem sanctissimus vir in sue conversationis exordio habitavit cum adiacenti silva et monte toto circumcirca et cum om- nibus finibus aut pertinentiis antiquitus constitutis. Et sub eadem Specu lacus sive fluvium ex eisdem lacubus procedentem, in quibus videlicet aquis nemini preter abbatis et fratrum voluntatem aut piscari aut molendinum hedificare liceat usque in arcum qui dicitur de Ferrata. De forma quoque antiqua que ducit aquam de flumine ad plebem Sancti Laurentii et de aqua que vocatur Augusta, nemini liceat preter voluntatem vestram aquam dirivare nisi quan- tum sufficiat ortis rigandis et replendo fonti baptismatis in eadem ecclesia, nec aquimolum quisquam illic preter vestram voluntatem hedificare presumat usque in supradictum arcum de Ferrata. Si quis vero aliter egerit banno Ro- mane curie distringatur, cuius banni medietas sacro nostro palatio, medietas eidem monasterio persolvatur. Confirmamus etiam vobis et vestro monaste- rio castellum qui Sublacus dicitur cum omnibus suis pertinenciis, sicut a pre-

decessoribus nostris constat esse concessum, cum montibus et collibus, fun- dis et casalibus, cum omnibus ecclesiis et rebus ad eas generaliter et in inte- grum pertinentibus; fundum Canali et fundum Genne in integrum cum per- tinentiis suis; fundum Frassinium cum omnibus suis pertinentiis, et locum quo vocatur Fundi, sicut extenditur usque ad Petram Imperatoris et vadit in montem qui vocatur Pionica, inde per Serram in montem Romani et exit in Campum Longum, inde in Campum Catinum deinde rediit ad supradictam Petram Imperatoris, et locum qui dicitur Seminarium cum finibus suis, sicut antecessorum nostrorum privilegiis continetnur; castellum Auguste cum fun- dis et casalibus suis et casale Sancte Felicitatis cum eadem ecclesia cum fundis et casalibus suis et cum omnibus suis pertinentiis, sicut in eisdem privilegiis continetur; roccam Cervarie cum fundis et casalibus suis et cum omnibus suis pertinenciis; castellum Maranum et roccam Martini et roccam de Nesu cum omnibus suis pertinentiis; castrum Cantoranum cum rocca sua et cum fundis et casalibus suis: montem de Groso, ballem Frigidam, montem de Mesu et Finistelle cum omnibus eorum pertinentiis; castellum Cerretum cum omnibus pertinentiis suis; castrum Giranum cum montibus et collibus, fundis et casa- libus suis, quemadmodum ad monasterium congruere videtur, cum massis et omnibus suis pertinentiis et cum veteri hereditatema monasterii; castellum Ampolloni cum montibus et casalibus suis, et medietetem castri Sancti Angeli cum ecclesiis, fundis, massis et pertinentiis eorum; roccam Sancti Stephani cum pertinentiis suis; vallem de Aninio; collem de Occia cum montibus et collibus, fundis et casalibus suis; Toczanellum; fundum Orarum; fundum Mu- cronianum; fundum Caniarium; fundum Convilellum; fundum Aque Vive et medietatem montis Afilani et omnibus eorum pertinentiis; castrum Afile cum montibus et collibus et medietatem montis Afilani et omnibus eorum perti- nenciis; castrum Pontie cum montibus et collibus cum omnibus eorum perti- nentiis. Preterea ex antiquo iure et tam Romanorum pontificum quam etiam imperatorum concessionibus et privilegiis ad idem beati Benedicti monaste- rium pertinere noscuntur: Sala civitas que vocatur Carseolis cum massis, fun- dis et casalibus suis; Auricula; rocca de Butte; rocca in Camerate; Rocca Apru- nii; Arsule; Rubianum et alium Rubianum, et super fluvium Anticulum; Sar- racinescum; Rocca de Miazi; Rocca de Surici, Sambuc[um]; Cicilianum; me-