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Il Circuito di Papez: verso il Cervello Emotivo

STIMOLO REAZIONE FISICA

2.6 Il Circuito di Papez: verso il Cervello Emotivo

Non si dovette aspettare molto prima che anche la teoria di Cannon-Bard venne perfezionata alla luce delle nuove scoperte in campo medico.

Siamo oramai nel pieno degli anni Trenta del Novecento. Le eco della prima Guerra Mondiale non fanno in tempo a sfumare sullo sfondo dei ricordi della gente, che già nuovi eventi allarmanti smuovono le scenografie delle giornate che passano: Adolf Hitler viene eletto Cancelliere tedesco, gli Stati Uniti d’America vivono la Grande Depressione, in Spagna scoppia la guerra civile e la Germania invade la Polonia.

In questo clima mondiale di agitazione e tumulti, i segreti attorno al funzionamento del cervello continuavano a cadere uno dopo l’altro.

Come già dicevamo, gli scienziati che si occuparono di indagare i correlati neurali dell’affettività furono molti e operarono in molte parti del mondo e, per ragioni di sinteticità, alcuni nomi dovranno essere tralasciati; tuttavia, un passo decisivo allo sviluppo della teoria di Cannon-Bard è rappresentato dal lavoro di un altro medico: James Papez (1937), un neurologo e anatomista americano che, in quegli anni, lavorava alla Cornell

University.

In realtà, come ricorda LeDoux (1996), l’ambito di ricerca in cui si stava specializzando

Papez non era specificatamente quello delle emozioni ma una serie di eventi marginali90, lo

portarono ad una serie di speculazioni anatomiche sulla base degli studi e delle conoscenze disponibili nel panorama di ricerche medico dei suoi anni; le ipotesi così concepite portarono lo scienziato, in poco tempo, alla formulazione di una teoria delle emozioni che, contrariamente alle aspettative iniziali del medico, costituisce un momento fondamentale per la spiegazione del cervello emotivo, oltre ad essere una tappa obbligatoria per la postulazione della teoria del sistema limbico, che vedremo più avanti.

90 LeDoux (1996: 88) apre una brevissima panoramica storica sulle motivazioni che spinsero il medico a studiare la

natura neurale delle emozioni: un mecenate americano (quindi connazionale di Papez), aveva supportato economicamente la ricerca delle emozioni portata avanti in un laboratorio medico inglese; “in un sussulto d’amor patrio”, Papez si gettò a capofitto nello stesso tipo di indagini, con il duplice scopo di trovare egli stesso una teoria e dimostrare, in questo modo, che gli americani potevano vantare una competenza pari se non superiore a quella dei rivali inglesi.

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Al tempo di Papez si sapeva ancora ben poco delle connessioni tra i neuroni e delle reti neurali che esse formavano. I metodi sperimentali a disposizione dei medici che venivano usati per tracciare quelle reti, per quanto indispensabili, erano ancora piuttosto arretrati se li guardiamo con i nostri occhi, per questo era necessario supportare i dati lì emersi con altri tipi di osservazioni e conoscenze che, per via speculativa e deduttiva, potevano dare ragione alle ipotesi avanzate. Era necessaria, quindi, non solamente una solidissima preparazione ed un continuo aggiornamento in materia, ma anche la capacità di accostare dati ed esperienze anche molto diverse tra loro e ricavare, da quegli accostamenti, un ‘dialogo’ coerente fra i dati. Papez fece proprio questo.

In maniera molto schematica, si potrebbero elencare così i punti chiave che servirono alla formulazione della sua teoria:

1. Gli studi di C. L. Herrick (1933);

2. Le osservazioni condotte su pazienti con gravi patologie neurologiche e sulle conseguenze derivate da lesioni cerebrali della corteccia mediale;

3. Le ricerche sul ruolo dell’ipotalamo nel controllo delle reazioni emotive degli animali.

L’intreccio di questi tre aspetti rappresentò la trama su cui la sua idea del funzionamento del cervello emotivo venne costruita. È bene ricordare, innanzitutto, che contemporaneamente alle ricerche di Papez, Herrick (1933), un anatomista americano, stava conducendo una serie di studi per svelare le modalità attraverso cui l’evoluzione aveva modellato il cervello, specializzandolo in regioni complesse e connesse tra di loro a livello neurale. Nel suo laboratorio, gli esperimenti permisero di riconoscere ed isolare una struttura cerebrale filogeneticamente antica: la corteccia mediale. Infatti, separando l’encefalo in due parti uguali lungo un piano sagittale (ottenendo, idealmente, la divisione dei due emisferi destro e sinistro), la corteccia laterale – quella più esterna a cui sono attribuite le funzioni superiori – appariva morfologicamente diversa da quella più centrale, che Herrick chiamò ‘mediale’ per la sua collocazione nel cervello, ma che era già

conosciuta come “grande lobo limbico”91, nome che gli venne assegnato dall’anatomista

Paul Pierre Broca già nell’Ottocento, quando, studiando il cervello, vi riconobbe una struttura unitaria.

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66 Fig. 9 Attorno al tronco cerebrale è disposto il lobo limbico,

costituito da giri filogeneticamente più antichi.

Herrick, interessato particolarmente ai correlati neurali della percezione olfattiva, ribattezzò poi quella struttura con il nome di ‘rinencefalo’, determinando così un chiaro collegamento tra questa struttura neurale con la percezione e il comportamento che derivava dall’odorato. Il medico sosteneva che il rinencefalo, o corteccia mediale, era la sede filogeneticamente primitiva delle funzioni sensoriali e motorie elementari; in quei tipi di comportamento (sessuale, difensivo o alimentare) il senso dell’odorato svolgeva un ruolo fondamentale, come strumento di sopravvivenza, tanto che finì per definire quella regione encefalica come “cervello dell’odorato”. Le funzioni psichiche superiori, continuava Herrick, sarebbero derivate dall’evoluzione di questo cervello, permettendo di acquisire una serie di comportamenti mentali più raffinati e complessi grazie alla formazione della corteccia laterale.

La distinzione che Harrick propose e descrisse relativa alla parte laterale e mediale del cervello risultò fondamentale per Papez, il quale vi scorse un appoggio per la rivendicazione delle sue teorie sul cervello non più ‘dell’odorato’, ma, questa volta ‘emotivo’.

67 Fig. 10 Il sistema limbico è costituito da l’ipotalamo, l’ippocampo, l’amigdala e il talamo. L’ipotalamo ha il compito di presiedere all’attivazione dell’ipofisi, e sempre da qui parte la produzione di alcuni importanti neurormoni come l’ossitocina e la vasopressina; l’ippocampo sembra avere una funzione essenziale sia nella memoria sia nell’espressione della collera e dell’eccitazione; negli ultimi venti anni è stato scoperto che l’amigdala è essenziale nell’elaborazione di risposte emotigene, oltre che nella ricezione di stimoli acustici e visivi; il talamo ha il ruolo di connessione tra le percezioni sensoriali degli stati interni e della superficie cutanea e il sistema limbico e la neocorteccia.

Fonte: Microsoft Encarta Enciclopedia, 1993-2002.

È necessario a questo punto ricordare di nuovo che, durante quegli anni, la ricerca poteva contare su una serie di dati ricavati da esperimenti in laboratorio; tuttavia, a causa di una certa ‘rozzezza’ della strumentazione a disposizione, spesso si doveva tenere in considerazione anche un altro tipo di dati, non propriamente ‘duri’, bensì basati su considerazioni deduttive che emergevano dalla osservazione di pazienti con particolari lesioni cerebrali. Quello che si sapeva era, ad esempio, che vi era una strettissima connessione tra ippocampo ed espressione della rabbia; oppure, che le lesioni della corteccia cingolata causavano delle disfunzioni emotive così forti che, a volte, sopraggiungeva addirittura il coma.

Ci si richiama a queste due strutture neurali non senza un motivo. Infatti, come vedremo, esse saranno fondamentali per la fondazione del modello teorico di Papez (1937).

Il medico osservò alcune cose: innanzitutto, che i pazienti che riportavano delle lesioni nervose concentrate prevalentemente nella zona dell’ipotalamo e dell’ippocampo, dimostravano delle reazioni di rabbia molto forti, spesso impetuose e violente; osservò

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anche che alcuni disturbi del comportamento emozionale emergevano quando la lesione coinvolgeva un’altra regione cerebrale, la corteccia cingolata.

Queste considerazioni, insieme alle conoscenze di cui parlavamo prima e insieme alle ricerche che fino ad allora erano state condotte su preparati animali e che richiamavano il ruolo centrale dell’ipotalamo nella gestione controllata del comportamento emotivo, portarono alla sua teoria.

Fig. 11 La teoria del circuito di Papez.

Fonte: LeDoux (1998).

Egli ipotizzò che il corrispettivo neurale delle emozioni doveva essere riconosciuto non solamente nell’ipotalamo, ma piuttosto doveva coinvolgere una struttura integrata in cui anche l’ippocampo e la corteccia cingolata avevano un ruolo centrale. La teoria sul funzionamento neurale emotigeno che ne derivò passò alla storia con il nome, poco fantasioso ma sicuramente inequivocabile, di ‘circuito di Papez’. Vediamo quali erano i passaggi fondamentali di questo circuito.

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Innanzitutto, l’emozione era spiegata dal medico come un flusso informativo; le emozioni, cioè, erano costituite da una forma primitiva di attività psichica che viaggiava lungo alcune connessioni neurali in modo circolatorio: dall’ipotalamo, passava per la corteccia mediale e lì vi ritornava, chiudendo un cerchio perfetto.

In particolare, quello che succedeva, per Papez, era che le percezioni sensoriali arrivavano direttamente al talamo; tuttavia, quel ‘flusso di informazioni’ di cui diceva sopranzi, una volta raggiunto il talamo, si divideva in due percorsi distinti: da un lato, vi era il cosiddetto “flusso del pensiero”, ovvero quella parte del flusso informativo sensoriale che, una volta raggiunto il talamo, da questo veniva spedito direttamente verso la corteccia laterale, la regione del cervello adibita alle funzioni psichiche superiori, dove quel flusso veniva trasformato, appunto, in pensieri, in ricordi e in percezioni.

Vi era tuttavia un canale diverso da questo, a cui il talamo inviava il cosiddetto “flusso dei

sentimenti”: questo canale inviava i segnali dal talamo sensoriale all’ipotalamo. Anche

Cannon aveva sostenuto il coinvolgimento di quest’ultima struttura cerebrale nell’emozione; tuttavia, a differenza del suo precedente, Papez non ritenne l’ipotalamo una struttura unitaria ed omogenea, bensì vi riconobbe una morfologia eterogenea e descrisse in modo molto più approfondito di Cannon il modo in cui l’ipotalamo comunicava con la corteccia. Qui, Papez riconobbe i corpi mammillari ipotalamici; questi, per lui, costituivano il luogo privilegiato di percezione di quei segnali sensoriali provenienti dal talamo sensoriale. Una volta raggiunti i corpi mammillari, il flusso proseguiva verso il talamo anteriore, poi verso la corteccia cingolata (che Papez descrive come il luogo in cui

“gli eventi ambientali vengono dotati di una coscienza emotiva”92); da qui passava

all’ippocampo il quale, infine, rispediva il segnale all’ipotalamo chiudendo definitivamente il cerchio.

L’emozione, quindi, poteva emergere in due modi diversi, a seconda se l’attivazione neurale coinvolgeva i gruppi corticali o quelli subcorticali. Infatti, nel primo caso, il flusso del pensiero percepito dalla corteccia laterale e trasformato in ricordi e percezioni, attivava la corteccia cingolata ‘dall’alto’; nel secondo caso, il flusso del sentimento, passando per il talamo sensoriale e per i corpi mammillari e passando nuovamente per il talamo anteriore, passava anch’esso alla corteccia cingolata.

Con Papez, le emozioni ancora una volta vengono considerate come meccanismi adattivi evoluti, strumenti biologici predisposti dall’evoluzione utili alla sopravvivenza degli organismi.

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Anche se le ricerche successive misero in evidenza gli aspetti lacunosi della teoria di Papez, tuttavia il riconoscimento che si deve al medico è molto grande e per ragioni molteplici di cui ne scegliamo due che, a nostro avviso, sono le più importanti:

1. il fatto di avere tracciato il passo fondamentale per la visione dei processi cognitivi e dei loro correlati neurali come una struttura organizzata, composta – si – da moduli diversi ed ‘indipendenti’ ma interagenti tra di loro in un insieme più ampio ed omogeneo, un network neurale in cui le diverse componenti sono collegate intrinsecamente l’una all’altra in macrostrutture funzionali;

2. l’altro aspetto importante è il fatto che Papez riconobbe nel sistema limbico la ‘casa’ del cervello emotivo. Egli infatti riconobbe l’importanza non solamente del talamo e dell’ipotalamo, per il vissuto emotivo, ma anche di altre strutture corticali, quali l’ippocampo93, nella parte del lobo temporale, e il grande giro limbico. Chi verrà dopo di lui metterà in dubbio l’effettivo coinvolgimento dell’intero sistema e delle tappe lungo le quali questo sistema si sarebbe attivato; tuttavia, il ruolo del sistema limbico nell’espressione e nel comportamento emotivo è tutt’oggi indiscusso. Papez fu il primo in assoluto a riconoscerne l’importanza.