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Il codice Salmasiano e le edizioni della Medea

Nel documento Commento alla Medea di Osidio Geta (pagine 39-43)

La Medea di Osidio è tradita, insieme a undici dei centoni virgiliani a noi giunti, dal Codex Parisinus Latinus 10318, più noto come Salmasiano (S), dal nome dell’umanista Claude Saumaise che nel 1615 lo ricevette in dono da Jean Lacurne132. Il Saumaise, cui risalgono varie annotazioni e

correzioni contenute nel manoscritto, nel 1631 lo prestò a Peter Schrijver, noto come Scriverius, che poco dopo ne pubblicò il Pervigilium Veneris; successivamente, il codice passò allo Heinsius che ne trasse una copia, contenuta insieme ad altri apografi133 del Salmasiano nel cod. Heidelb. lat.

46, che il Burman utilizzò per la propria edizione dell’Anthologia Latina. Riguardo alla datazione del Salmasiano sono state avanzate nel corso degli studi più ipotesi, tra le quali quella considerata maggiormente condivisibile è quella del Bischoff, che lo colloca tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX sec., nella zona dell’Italia centrale compresa tra la Toscana meridionale e l’Umbria134; esso è vergato su una pergamena di qualità modesta, in un’onciale i cui caratteri sono ritenuti accostabili alla cosiddetta onciale “romana”135.

I 31 fascicoli del Salmasiano a noi giunti partono dal XII: esso, infatti, è acefalo, e probabilmente del materiale manca anche nella parte finale; pur trattandosi di un codice di carattere miscellaneo, contenente anche opere in prosa di argomento vario, esso è noto e studiato soprattutto in quanto testimone spesso unico del carmi dell’Anthologia Latina, la nota silloge poetica nata in ambiente africano nel periodo della rinascita letteraria promossa dagli ultimi re Vandali. Tutti i componimenti poetici contenuti in S appartengono, infatti, all’Anthologia, anche se non tutti i componimenti di questa sono traditi da S: come si deduce, infatti, da altri due testimoni136 della raccolta che, oltre a quelli noti dal Salmasiano,

contengono anche altri carmi, la scomparsa degli undici fascicoli iniziali deve aver provocato la perdita di parte della silloge.

La presenza di molti errori di distinzione tra le parole induce a pensare che il Salmasiano sia stato esemplato da un manoscritto in

132 Notizie molto dettagliate sul Salmasiano si trovano in Spallone 1982, cui

rimando per ulteriori approfondimenti. Per una riproduzione del codice si veda invece Omont 1903.

133 A proposito dei quali rimando alla descrizione dettagliata in Spallone 1982.

Oltre a questo si veda anche Paolucci 2006, Introduzione, pp. CXXIV-CXXX.

134 B. Bischoff 1965 e 1975. Cf. inoltre Lam. Praef. pp. XII, XIII. 135 Cf. Spallone 1982, p. 37 e Petrucci 1971, pp. 75-132.

scriptio continua; oltre a questi, vi sono inoltre molti altri errori tipici in S, tra i quali diffusissimi sono gli scambi tra lettere, quali per esempio e/i,

i/e, o/u, o/um, ae/e, i/y, ci/ti, ph/f, b/v. A questi si aggiungono casi di omissione o di aggiunta dell’aspirazione, di scambio tra consonanti sorde e sonore, di errato scempiamento o raddoppiamento di consonanti e di caduta di m o di s finale137.

I centoni virgiliani e, con essi, la Medea di Osidio Geta, sono traditi all’inizio del Salmasiano, nel seguente ordine: <De panificio>, De alea,

Narcissus, Iudicium Paridis, Hippodamia, Hercules et Antaeus, Progne et Philomela, Europa, Alcesta, De ecclesia, Medea, Epithalamium Fridi138. Come già specificato precedentemente, si tratta quasi totalmente

di centoni pagani, con l’unica eccezione del De ecclesia.

Il fatto che la Medea di Osidio ci sia giunta attraverso il codice Salmasiano ha reso la storia delle sue edizioni – almeno nella prima fase degli studi – intrinsecamente legata non solo a quella degli altri undici centoni da poco citati, ma anche più in generale a quella dell’Anthologia

Latina. La prima edizione della Medea è contenuta, infatti, nell’Anthologia Veterum Epigrammatum et Poematum del Burman (1759), in cui il testo è corredato anche di commento. Un ampliamento del lavoro del Burman risale al 1835, ad opera di Meyer. Successivamente, l’Anthologia Latina, e con essa di nuovo la Medea, fu pubblicata dal Riese nel 1869, e ristampata in seguito più volte (1894- 1906); essa venne poi inclusa nel 1882 dal Baehrens nella sua edizione dei Poetae Latini minores. I dodici centoni del Salmasiano non trovano invece spazio nella più recente edizione dell’Anthologia Latina ad opera di Shackleton Bailey (1982), che li escluse definendoli opprobria

litterarum139.

Alcuni spunti utili riguardo alla Medea si trovano anche nell’edizione del Cento Probae ad opera di Schenkl (1888) per la raccolta Poetae

Christiani minores (CSEL 16), che nell’introduzione indica in modo sistematico tutte le fonti di tutti i centoni del Salmasiano, aggiungendo talvolta anche qualche interessante proposta di intervento su punti problematici.

137 Per un approfondimento sugli errori di S cf. Spallone 1982. In particolare, a

proposito della Medea, Lam.1, pp. 259 ss., e a proposito dell’Hippodamia

Paolucci 2006, Introduzione, pp. CXVI ss.

138 A proposito di questi componimenti cf. supra, par. 2.

139 p. III: “Centones Vergiliani (Riese 7-18), opprobria litterarum, neque ope

critica multum indigent neque is sum qui vati reverendo denuo haec edendo contumeliam imponere sustineam”.

A queste si aggiungono infine alcune edizioni della sola Medea, tra cui quella del Canal (1851), dotata di introduzione e di note, e quella del Mooney (1919), priva di prefazione e di apparato, e arrecante brevi note di commento non particolarmente pregiate.

Le edizioni finora citate si caratterizzano per un numero piuttosto consistente da un lato di uniformazioni del testo del centone al testo virgiliano, a volte anche a discapito della sintassi e della logica, e dall’altro di integrazioni di interi versi virgiliani in punti risultanti problematici. Tale tipo di approccio, considerato ormai superato, viene invece generalmente evitato nei lavori più recenti che sono, per concludere, quello di Salanitro (1981), in cui il testo, dotato di un apparato molto sintetico e di traduzione, è preceduto da un profilo introduttivo sulla poesia centonaria, e quello di Lamacchia (1981), consistente in un’edizione critica teubneriana. A mancare, dunque, nel panorama degli studi sulla Medea è un commento di carattere scientifico che analizzi l’opera sia sotto il profilo della tradizione testuale sia alla luce della tecnica centonaria: è soprattutto su questi due aspetti che si cerca di far convergere l’attenzione nel presente lavoro.

* * *

Il presente lavoro ha preso forma nel contesto del dialogo con il Prof. G.B. Conte: a lui desidero rivolgere il mio sincero ringraziamento per le preziosissime discussioni sui più ostici problemi testuali e metodologici, da cui ho potuto trarre illuminanti consigli e grande giovamento.

Ho avuto modo di approfondire alcuni aspetti dell’ambito centonario grazie ai suggerimenti del Prof. G.W. Most, che per questo ringrazio molto.

Ringrazio inoltre la Dott.ssa A. Santoni per i suoi consigli, e il Prof. P.M. Bertinetto per le sue indicazioni circa alcuni fenomeni linguistici nelle lingue romanze.

Nel documento Commento alla Medea di Osidio Geta (pagine 39-43)

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