• Non ci sono risultati.

Parte I. Aspetti della persuasione

4. Il corpo dell’oratore

4.2. Il corpo dell’oratore: studi contemporanei

oratoria e ad essere insegnata come le altri parti della retorica. Con Quintiliano l’enfasi sul ‘porgere’ raggiunge l’apice e, nell’Institutio Oratoria, leggiamo esaurienti descrizioni di gesti, espressioni facciali e posture da impiegare nelle diverse circostanze.

Vista l’importanza accordata agli aspetti non verbali dell’orazione, possiamo concludere che nella tradizione romana antica questi erano un mezzo di comunicazione non meno importante della parola.

4.2. Il corpo dell’oratore: studi contemporanei

Nei giorni nostri, mentre molti sono gli studi che trattano dell’uso di gesti e sguardi nella conversazione di tutti i giorni (Kendon 1981; 1995; 2004; Allwood 2002), pochi invece analizzano il ruolo del corpo nella persuasione.

Alcuni analizzano il contributo dato dal sincronizzare gesti con pause e intonazione per riscuotere applausi da parte del pubblico (Bull 1986). Sulla stessa scia, Atkinson (1984) analizza i discorsi persuasivi di J. F. Kennedy, Martin Luther King, Ronald Reagan, Margaret Thatcher e vi individua casi di clap-trap, ovvero trappole e trucchi linguistici e vocalici usati dai politici per riscuotere applausi nel pubblico. Per rimanere nell’ambito degli effetti del discorso persuasivo, Bucy & Bradly (2004) indagano sulle reazioni psicologiche e cognitive in risposta all’espressione facciale e comportamento gestuale dei politici.

Un importante contributo allo studio dei gesti nel discorso persuasivo politico è dato da Calbris (2003). Nel suo libro ‘L’espressione gestuale del pensiero di un uomo politico’, Geneviève Calbris analizza i gesti di Lionel Jospin, all’epoca Primo Ministro della Francia, durante sei interviste svolte tra il 1997 e 1998. Calbris indaga sul ‘ruolo del gesto nell’espressione intima del pensiero da enunciare’ (Calbris 2003: 21) e fornisce un’analisi dettagliata delle funzioni di gesti e postura del corpo in generale. Secondo Calbris, il gesto coverbale è polysémique (polisemico) e polysigne (polisegno) allo stesso tempo. Polisemico perché lo stesso gesto (per esempio la mano piatta, palmo con le dita aperte sul tavolo, può significare, grazie all’elemento di tenere qualcosa fermo, sia il reale, concreto, sia il controllo, potere.). Polisegno perché lo stesso gesto comunica più significati allo stesso tempo (la mano a piramide con le dita racchiuse che convergono verso un punto specifico nello spazio può denotare il carattere particolare delle conclusioni nominate nel discorso verbale, mentre il movimento verso il basso può denotare insistenza (Calbris 2003: 35).

Grazie a un’attenta analisi delle metafore espresse da Jospin con i gesti, Calbris mostra come i gesti in sé, anche solo aspetti della loro esecuzione, come ad esempio forma e orientamento della mano, direzione del movimento e scelta della mano possono esprimere concetti astratti come sforzo, obiettivo, decisione, priorità oppure personalità pubblica o privata.

Altri studi direttamente collegati all’analisi della gestualità degli uomini politici è l’analisi eseguita da Cienki (2004) sulle metafore gestuali nel discorso politico di Bush e Gore durante i dibattiti presidenziali del 2000 e l’analisi di Streeck (in stampa) dei gesti impiegati dai candidati nella campagna elettorale del 2003-2004. Streeck descrive i gesti più frequentemente usati e la loro sincronizzazione con il parlato e analizza le loro funzioni comunicative. Dall’analisi di Streeck risulta che i politici usano gesti pragmatici, ovvero gesti che segnano gli atti linguistici realizzati e facilitano la comprensione del discorso da parte del pubblico, mentre si astengono invece dall’suo

dei gesti iconici. Sulla base di queste osservazioni che accomunano il comportamento gestuale dei diversi candidati, Streeck ipotizza un legame tra i gesti politici moderni e quelli consigliati da Quintiliano secoli fa. Secondo Streeck, nel comportamento gestuale dei politici analizzati si ritrovano elementi del codice di condotta consigliato da Quintiliano. Più precisamente, si tratta di tre elementi che hanno fatto pensare a Streeck a comunanze tra il codice normativo di Quintiliano e il comportamento gestuale moderno: il rifiuto di gesti iconici da parte dei politici analizzati (così simili ai gesti degli attori che mirano al divertimento del pubblico, contrariamente al politico che mira alla ricerca delle soluzioni migliori per il popolo); impiego di gesti con funzioni pragmatiche; e, infine, impiego di gesti con estensioni spaziali ridotte18.

Questi tratti sono presenti nel comportamento gestuale di tutti i candidati analizzati, al punto di concludere che i politici oggetto dell’analisi condividono un codice gestuale comune. L’unico candidato che non aderisce a questo codice (pur mettendo in pratica un altro consiglio di Quintiliano, quello riguardo all’uso dell’indice) è Howard Dean. Dean impiega spesso il gesto dell’indice alzato, volendo significare che ciò che dice è importante, ma, trattandosi di un gesto fortemente gerarchico, potrebbe aver favorito la percezione di sé come persona saccente e persino sprezzante nei confronti del pubblico. Infatti, Streeck attribuisce la sconfitta di Howard Dean proprio all’uso ricorrente di questo gesto.

Per determinare il contributo persuasivo dei comportamenti corporei, alcuni di questi studi valutano il numero di segnali del corpo e il loro tipo e mettono in correlazione questi dati con il grado di persuasività del discorso. Altri autori, invece, (Guerini et al. 2008; Burgoon et al. 1990) ipotizzano che gli effetti persuasivi dei gesti dipendono solo dal tipo, ovvero se iconici, deittici, simbolici o auto-manipolativi, concludendo che i gesti manipolativi hanno un livello più basso di persuasività. Il fatto che un politico, mentre parla, ricorra a gesti auto-manipolativi è indizio di insicurezza, fatto che può essere alla base del basso livello di persuasività riscosso dal suo discorso. Secondo Poggi & Pelachaud (2008), invece, non è il tipo di gesto che risulta più persuasivo o meno agli occhi dell’interlocutore, ma il significato che trasmette.

Ma quali sono i gesti i cui significati sono persuasivi e, soprattutto, cosa deve comunicare un gesto per essere considerato persuasivo?

Al fine di presentare i tipi di informazioni, che, contenuti in un gesto, lo rendono persuasivo, facciamo riferimento al modello della persuasione di Poggi (2005), presentato nel primo capitolo.

La ricerca di Poggi & Pelachaud (2008) ha permesso di individuare gli aspetti che possono essere considerati “persuasivi” in un gesto. Più precisamente, perché un gesto sia persuasivo deve contenere quei tipi di informazione che rendono un discorso persuasivo, ovvero: uno scopo proposto da un Persuasore, che si suppone sia desiderabile e importante per il Persuadendo in quanto connesso ai suoi scopi; la certezza della relazione fra scopi del Persuadendo e scopi proposti dal Persuasore ; le emozioni del Persuadendo e la sua fiducia nel Persuasore. Su tale base, Poggi & Pelachaud (2008) concludono che i significati rilevanti in un discorso persuasivo sono i seguenti:

1. Importanza. Se una cosa è importante, ottenerla diverrà uno scopo di alto valore, uno scopo da perseguire. Così i gesti che comunicano concetti di “importanza” richiamano l’alto valore dello scopo SA proposto, per convincere il Persuadendo a perseguirlo. Tipicamente è questo il significato di gesti che veicolano performativi di richiesta di

18 Si vedano i consigli di Quintiliano sul non alzare la mano sopra degli occhi e abbassarla sotto il petto; oppure sul divaricare le gambe oltre misura mentre si sta fermi.

attenzione o di incitazione, ma di anche gesti come il finger bunch di Kendon (2004) o i gesti “batonici” (Ekman & Friesen, 1969) che segnalano il comment di una frase. Entrambi, infatti, significano: “questa è la parte importante della frase / discorso, cui voglio che poniate più attenzione”. Ma infine, anche l’irregolarità o la discontinuità nel movimento del gesto, poiché hanno l’effetto o lo scopo di attirare l’attenzione dell’interlocutore, servendo così come segnali d’importanza.

2. Certezza. Per persuadere, il Persuasore deve convincere il Persuadendo, cioè far sì che creda con un alto grado di certezza credenze come: quali scopi perseguire (il loro valore e importanza) e come perseguirli (relazioni mezzo-scopo). Per indurre certezza nel Persuadendo, il Persuasore deve lui stesso mostrarsi certo di quel che dice. Per questo, tutti i gesti che comunicano certezza, serietà, non indecisione su ciò che si sta dicendo – ad es. il ring di Kendon (2004), mano che va su e giù con pollice e indice chiusi ad anello, – può essere un gesto persuasivo.

3. Valutazione. Una valutazione è un’assunzione su quanto un oggetto, persona o evento, ha o dà potere di raggiungere un certo scopo. In questa ottica, anche valutare positivamente uno scopo vuol dire considerarlo utile a certi sovrascopi. Come rileva Poggi (2005), un gesto valutativo come avvitarsi l’indice sulla guancia, fatto dal droghiere nel negozio di alimentari, potrebbe essere un gesto persuasivo.

4. Benevolenza del Persuasore. Nella persuasione non conta solo la valutazione dei mezzi per raggiungere scopi, ma anche la valutazione del Persuasore, ovvero l’ethos. Se sono benevolente verso di te – se mi faccio carico dei tuoi scopi – puoi fidarti di me, e, dunque, se ti dico che un certo scopo merita di essere perseguito, è nel tuo interesse farlo. Un gesto che persegue una strategia di ethos è, ad esempio, la “mano sul cuore” che mostra nobiltà e rettitudine morale, usato non a caso da molti uomini politici (Serenari, 2003).

5. Competenza del Persuasore. La fiducia non implica solo benevolenza ma anche competenza. Se sono un esperto nel campo di cui si parla, se sono intelligente, efficiente, puoi darmi credito e perseguire gli scopi che ti propongo. Un esempio si ha in un frammento in cui Silvio Berlusconi, nel dibattito con Prodi del 2006, parlando di questioni fiscali piuttosto tecniche, ruota due volte la mano destra curva e aperta, col

palmo verso sinistra, per significare che può sorvolare su questi tecnicismi, che

possono risultare ostici per il pubblico; ma, al tempo stesso, l’aspetto rilassato del movimento lascia trapelare che lui è molto lucido e intelligente, visto che tratta di cose così sottili con tanta disinvoltura. Tutto ciò dà un’immagine di competenza.

6. Emozione. Le emozioni attivano scopi. E, così, A può esprimere un’emozione per contagiare B e indurlo a perseguire (o a non perseguire) un certo scopo. Nel parlare dell’Italia, ad esempio, nello stesso dibattito Romano Prodi muove l’avambraccio con

movimenti brevi, veloci ed energici: fa capire il suo orgoglio di essere italiano, può

farlo provare anche al pubblico e indurlo a votare per lui.

Sono questi, secondo Poggi & Pelachaud (2008), i significati che attribuiscono a un discorso valore persuasivo. Di questi tipi di informazioni, la numero 6, Emozione, risponde tipicamente a una strategia di pathos; 4 e 5, benevolenza e competenza del Persuasore fanno parte di una strategia di ethos, ma anche 2, certezza, fa parte di una strategia di ethos; mentre gli elementi 1 e 3, importanza e valutazione corrispondono, in genere, a una strategia di logos. Tuttavia, queste categorie si possono fondere ed essere

finalizzate l’una all’altra: ad esempio, esprimere un’emozione su una possibile azione o scopo può implicare l’importanza che il Persuasore attribuisce – e, di conseguenza, anche il Persuadendo dovrebbe attribuire al rispettivo scopo. In tal caso, a un primo livello è in atto una strategia di pathos – lo scopo di indurre un’emozione – ma questo, a sua volta, mira a dimostrare l’importanza dello scopo proposto e, quindi, indirettamente, ricorre a una strategia di logos.

Vediamo come, secondo il modello proposto da Poggi & Pelachaud (2008), le strategie persuasive verbali, logos, ethos, pathos, si ritrovano anche nella persuasione tramite gesti. Esempi di gesti persuasivi analizzati con l’aiuto dello schema di annotazione ideato da Poggi & Pelachaud (2008) si possono trovare nella seconda parte di questo lavoro (nel capitolo 9 sugli studi applicativi).

Documenti correlati