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2. La domanda attuale di salute dell’immigrato in Italia

2.3 Il profilo di salute degli immigrati in Italia

2.3.5 Il disagio psichico degli immigrati in Italia

Il disagio psichico rilevabile oggi tra gli stranieri presenti in Italia si configura come effetto diretto del viaggio di migrazione, o meglio, del fatto totale migrazione, in parole povere dello scontro ineluttabile con sistemi di riferimento, simboli e usi differenti da quelli del proprio Paese d‟origine, o ancora, delle esperienze di vita negative che queste persone provano una volta arrivate nel Paese ospite.

L‟esperienza migratoria, come abbiamo visto, oltre a minare il fisico del migrante attraverso il passaggio inevitabile del viaggio, destabilizza la persona sul piano psichico trovandosi questa a dover cucire tra loro vissuti diversi e connotarli di senso. Infatti l‟arrivo nel nuovo Paese sancisce una cesura nel percorso di vita della persona, cesura che è resa netta e profonda sia dalla ricollocazione spaziale sia dalla solitudine che il più delle volte caratterizza l‟esperienza della migrazione. Tale strappo causa disorientamento e senso di debolezza in grado di sconvolgere l‟equilibrio psichico del nuovo arrivato.

L‟impatto sul benessere psichico può rivelarsi ancora più distruttivo qualora il viaggio migratorio si risolva in un fallimento, in ogni accezione del termine: sia che si tratti del rifiuto da parte della comunità che avrebbe invece dovuto accogliere l‟immigrato, sia che si tratti dell‟incapacità dell‟immigrato stesso di aderire a uno stile di vita troppo distante da quello nativo. In ogni caso l‟immigrato tenderà a sviluppare tutta una serie di sentimenti negativi quali senso di inadeguatezza, di impotenza, auto colpevolizzazione, vergogna e disagio al solo pensiero di tornare al paese natio senza aver realizzato i propri progetti.

La persona immigrata si trova quindi in una condizione di grande vulnerabilità psicologica e sociale alla quale tenta di far fronte opponendovi il delirio quale meccanismo di difesa estremo. Tale effetto è ancora più evidente nei casi di persone che hanno subito torture nel Paese d‟origine o tra i rifugiati politici, nei quali compaiono sintomi dissociativi o persecutori. Infatti è stato provato133 che la vicinanza della rete di supporto parentale e amicale trattiene la secrezione di ormoni dello stress e protegge inoltre la salute abbassando il rischio di disturbi depressivi e cardiovascolari.

Nel Paese ospite però gli amici italiani, segno di radicamento, sono un‟eventualità rara e parlare del proprio Paese desta sconforto e dolore, specialmente quando le ragioni della migrazione sono state di tipo politico o conseguenti a eventi traumatici. Così vengono meno sistemi di riferimento culturale che orientano solitamente azioni e comportamenti, e la

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nostalgia per il ritorno al paese natale diviene un‟ossessione che accompagnerà il migrante lungo tutto il suo percorso di vita.

Ed è provato che in ogni esperienza di disturbo mentale legato all‟immigrazione le lacerazioni interiori provate a causa di simili conflitti e la sofferenza derivata dall‟impossibilità di confermare la propria identità culturale non si esprimono esplicitamente ma si cristallizzano sotto forma di sintomi134. I più frequenti sono sicuramente le c.d. somatizzazioni (asma, gastrite, emicranie, ecc.), le quali testimoniano il processo di disarticolazione che spesso accompagna l‟esperienza della transizione.

Tuttavia bisogna considerare l‟alto numero di variabili che incidono sul disagio mentale del migrante e la valenza soggettiva e unica che queste assumono di caso in caso: è necessario perciò che gli operatori socio-sanitari riconoscano i percorsi di ciascun immigrato e gli elementi che li caratterizzano come non sovrapponibili né generalizzabili, allo scopo di arrivare più prudentemente e quindi più efficacemente al cuore del problema.

Se guardiamo alla realtà, negli ultimi decenni gli studi sulla psicopatologia degli immigrati si sono fatti sempre più numerosi a causa della sempre maggiore diffusione del disagio psichico tra gli immigrati in Italia. Nel corso di queste ricerche sono state segnalate e comprovate alcune criticità che sopraggiungono nello studio del fenomeno inerenti a parametri di analisi e possibilità di errore135 che è bene tenere presenti.

Innanzitutto tali studi dimostrano che non è possibile studiare la malattia mentale immigrata in relazione a un‟ipotetica categoria omogenea di persone poiché i migranti differiscono per storia personale, esperienza premigratoria, motivazioni e aspettative. Sono da aggiungersi poi, caso per caso, i fattori di attrazione, c.d. pull-factors, e di repulsione, c.d. push-factors, che influenzano scelte e percorsi della migrazione e anche delle scelte personali di ognuno.

In secondo luogo l‟espressione disturbi psichici indica una classe di disturbi a contorni sfuocati, la cui definizione può cambiare in base ai criteri o agli orientamenti per cui opta il ricercatore. Ecco che la soglia stessa di distinzione tra la normalità e la patologia non può dunque essere rigida e definita bensì incerta e fluttuante a seconda del punto di vista adottato. Un ulteriore problema emerso è la barriera comunicativa, o meglio linguistica e culturale, la quale non permette di validare strumenti di screening e diagnostici adeguati al contesto transculturale. Le conoscenze di psicologia e psichiatria transculturali infatti sono vaste ma non così diffuse da contrastare fenomeni di distorsione.

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Ibidem.

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Ancora, gli indici utilizzati in tali studi per valutare i tassi di ricovero e di uso di servizi psichiatrici sono indici grezzi che non tengono conto dei fattori che hanno spinto il paziente immigrato a rivolgersi ad uno psichiatra piuttosto che a un medico di base o a un guaritore. Presso molte popolazioni, infatti, il rivolgersi ad uno specialista viene evitato poiché equivarrebbe a prendere su di sé lo stigma della follia.

Infine, emergono pregiudizi consapevoli e inconsapevoli a carico del ricercatore.

Per tutti questi motivi la ricerca nel campo della psichiatria della migrazione offre risultati a volte contraddittori e confusi.

Tuttavia, resta assodato da tutte le ricerche in materia che vi sia un‟alta frequenza di malattie mentali tra gli immigrati.

Per tentare di spiegare questa realtà si sono a lungo opposte due teorie alternative, ovvero

l’ipotesi dello stress da migrazione e l‟ipotesi dell’autoselezione negativa.

Secondo la prima sarebbe il difficile processo di emigrazione dalla propria terra e dai propri affetti che, comportando sradicamento e scissione dell‟identità, causerebbe un‟ alta incidenza della malattia mentale tra gli immigrati. Secondo la teoria dell‟autoselezione negativa, invece, i gruppi migranti includerebbero un numero sproporzionatamente elevato di persone predisposte a sviluppare malattie mentali in ragione del fatto che il tentativo di emigrare viene preso in considerazione perlopiù da persone con rapporti sociali deboli e già votati nel Paese d‟origine a disturbi schizofrenici.

Tuttavia, anche se il tasso di incidenza del disagio mentale tra gli immigrati si possa dire elevato in valore assoluto, non è stata dimostrata un‟incidenza più alta tra gli immigrati rispetto alla popolazione autoctona. Perciò, alla luce del fatto che i vari aspetti del processo migratorio influenzano il benessere psichico dell‟individuo, si è cominciato a chiedersi a

quali condizioni e in quali casi si sviluppi la malattia mentale tra gli immigrati, piuttosto che

considerarli un gruppo omogeneamente predisposto in partenza a tali disturbi.

I tre fattori determinanti possono essere sintetizzati all‟estremo in: fattori precedenti

l’emigrazione, stress da transculturazione e emarginazione sociale136 .

Se volessimo provare a riassumere i tratti che accomunano le diverse storie di migrazione, comunque, è doveroso tenere innanzitutto presente che in una certa misura la conflittualità culturale, di interessi e di modelli, è insopprimibile e che una società interculturale non è il presupposto da cui cominciare a studiare il fenomeno dell‟immigrazione ma l‟obiettivo finale, il punto di arrivo vivamente auspicato.

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Per quanto riguarda i metodi di approccio terapeutico, è stato notato come i trattamenti farmacologici nei pazienti immigrati con esperienze di esilio o tortura siano privi di efficacia: l‟unico approccio che alla lunga e con fatica può produrre qualche miglioramento è quello psicoterapeutico.