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Parte prima

VI. La botanica nelle Wahlverwandtschaften Parte seconda

VI.6. Il fiore androgino

Prima le affinità chimiche avevano scatenato una tempesta di passioni e desideri. Ora, grazie alla metamorfosi di Ottilie che ne era la fonte, l’amore ha perso la sua violenta passionalità e si era trasformato in un eterno affetto che non si consuma. Lo stesso Eduard, l’amante tutto desiderio e precipitazione, ora non riesce neppure a pensare di prendere la mano di Ottilie per stringersela al petto. L’amore estremo e senza misura che si manifesta nel mondo moderno ha voltato le spalle alle reazioni chimiche della storia per tornare alla pianta, la figura ormai perduta del suo classicismo e l’icona del decadentismo europeo. Si ha qui una nuova metafora dell’amore in cui nulla è più chimico, ma tutto si ricompone nella femminilità della pianta (Baioni in Goethe, 1999:87-8).

L’elegia Die Metamorphose der Pflanzen (1798) dimostra che Goethe ritrova nella pianta archetipica il mito dell’amore che aveva intuito tornando da Roma, quando in uno dei suoi taccuini dichiara che si può avere un chiaro concetto dei due sessi solo immaginandoli nello stesso individuo (Baioni in Goethe, 1999:87-8). Secondo lo scrittore, tutte le forme che la pianta assume nel corso della sua evoluzione hanno origine nella forma archetipica della foglia. Al culmine delle sue metamorfosi, essa produce la forma del fiore all’interno della quale si trovano il principio maschile e il principio femminile. Dalla loro unione nasce il frutto e con il frutto il seme, che è l’inizio di un nuovo ciclo di metamorfosi. Questo senza alcun dubbio è il vero mito goethiano dell’amore che conferisce all’immagine della corolla avente in sé il maschile e il femminile un erotismo assoluto (Baioni in Goethe, 1999:18).

In altre parole, Goethe concepisce il mutamento come metamorfosi ciclica della forma archetipica che tocca il suo culmine nella bellezza androgina del fiore per riprendere poi, dopo aver sperimentato alla luce l’attimo dell’amore, la via attraverso il seme che la riporta al buio della terra (Baioni, 2006:23).

Il fiore androgino, che nel saggio Methamorphose der Planzen (1790) era ancora il simbolo dell’umanesimo classico, diventa nel romanzo la cifra romantica dell’amore e della morte. Il fiore ermofrodito diventa una forma assoluta che è una forma classica, è felicità, totalità, armonia solo perché è una dualità erotica autosufficiente. Contenendo al suo interno sia il principio femminile che quello maschile uno accanto all’altro è l’unica

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forma organica che non conosce la Sehnsucht65 (Baioni, 2006:24). Nel mondo animale infatti, i due sessi conoscono l’angoscia della separazione e della reciproca ricerca, mentre il mondo vegetale realizza nella forma del fiore un duale erotico completamente autosufficiente (Baioni in Goethe, 1999:18). L’assolutezza che contraddistingue la pianta androgina spegne qualsiasi conflittualità dei principi della polarità cosmica e diventa l’immagine goethiana del romanticismo. Nelle Affinità elettive Goethe descrive la decadenza del suo mondo e della sua cultura attraverso una storia di amore e morte (Baioni, 2006:24).

Il mito del fiore androgino si ritrova nel seguente passo del romanzo che rende ben chiaro che cosa rappresenti l’icona della pianta androgina per Goethe (Baioni in Goethe, 1999:88):

Nach wie vor übten sie eine unbeschreibliche, fast magische Anziehungskraft gegeneinander aus. Sie wohnten unter Einem Dache; aber selbst ohne gerade aneinander zu denken, mit andern Dingen beschäftigt, von der Gesellschaft hin und her gezogen, näherten sie sich einander. Fanden sie sich in Einem Saale, so dauerte es nicht lange , und sie standen, sie saßen nebeneinander. Nur die nächste Nähe konnte sie beruhigen, aber auch völlig beruhugen, und diese Nähe war genug;nicht eines Blickes, nicht eines Wortes, keiner Gebärde, keiner Berührung bedurfte es, nur des reinen Zusammenseins. Dann waren es nicht zwei Menschen, es war nur Ein Mensch im bewußtlosen, vollkommnen Behagen, mit sich selbst zufrieden und mit der Welt. Ja, hätte man eins von beiden am letzten Ende der Wohnung festgehalten, das andere hätte sich nach von selbst, ohne Vorsatz, zu ihm hinbewegt. Das Leben war ihnen ein Rätsel, dessen Auflösung sie nur miteinander fanden66.

Questo passo rivela che, sebbene sia rimasta l’attrazione indescrivibile che i due amanti sentono l’uno per l’altra, non c’è più traccia delle affinità chimiche. Inoltre, si deduce che il piacere perfetto non si raggiunge con la congiunzione o l’amplesso, ma con la prossimità, il puro essere insieme dentro un’unica forma. Si assiste qui alla realizzazione di quel duale alchemico per cui uomo e donna possono risolvere l’enigma dell’esistenza solo assieme. L’amore non è più passionalità, ma è affetto che non si consuma (Baioni in Goethe, 1999:89-90).

La prossimità degli amanti ricorda quella del maschile e del femminile all’interno della corolla del fiore androgino, ma non arriverà mai alla congiunzione celebrata nella Matamorphose der Pflanzen del 1798. Al contrario, qui il maschile ed il femminile non

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si guardano, non si parlano e non si toccato. Soprattutto, essi non pensano alla congiunzione amorosa che porta alla produzione del seme dal quale diparte il ciclo di una nuova metamorfosi. I due principi sono sterili, non producono frutti, ma solo morte. Uno accanto all’altra, provando quel piacere perfetto ed inconsapevole, essi rappresentano il punto in cui la metamorfosi non ha più desideri, il ciclo di natura non ha più futuro e la vita si ferma (Baioni in Goethe,1999:91-2).

Per questo motivo il romanzo è per Goethe una ferita aperta. A dimostrarlo c’è l’infinita tristezza che domina il feudo, il quale sarà alla fine tuttto invaso dagli astri, i fiori dell’autunno e della morte che quell’anno nascevamo così copiosamente. Il romanzo allora si fa mito della fine nel farsi mito del fiore androgino. Le Affinità elettive si possono definire il romanzo della fine, una storia che conserva per i posteri un’epoca, il classicismo, ormai al tramonto (Baioni in Goethe,1999:91-2).

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