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Il regime di pulizia più tipico riguarda la rimozione di rivestimenti relativamente spessi, degradati o indesiderati, ad esempio, un rivestimento polimerico da un substrato. Nel restauro di opere con laser i substrati da trattare sono molto più complessi, sono mezzi stratificati di varia composizione (con l'aumento di profondità dalla superficie), come indicato schematicamente in Figura 3.16 a) e b).

Figura 3.16 (a) rimozione del rivestimento degradato da un materiale dipinto (b) assorbimento isolato d’impurità / macchie di un substrato (fonte: Fotakis et al., 2007).

In questi casi, la rimozione del materiale si basa sul fenomeno dell’ ablazione che viene effettuata ad elevate fluenze laser. L’uso di una lunghezza d'onda che è fortemente assorbita dal rivestimento polimerico è necessaria al fine di ottenere un buon tasso di rimozione del materiale. La rimozione di rivestimenti polimerici, è stata tentata con un’ampia varietà di sistemi laser comprendenti: il laser alla CO2, Nd: YAG (1064 nm e sue armoniche), laser ad

eccimeri e diodi, laser ad alta potenza. I laser ad eccimeri sono stati i più popolari, poiché le vernici ed i rivestimenti polimerici commerciali generalmente assorbono bene i raggi UV (Fotakis et al., 2007). A causa della elevata variabilità nella natura dei materiali impiegati nelle

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opere, i parametri laser ottimali possono essere definiti attraverso lo studio preliminare di un campione rappresentativo dell'oggetto. Generalmente, le fluenze ottimali per l’eliminazione degli strati di vernice superficiale sono compresi tra 200 - 600 mJ/cm2, mentre l’eliminazione di sovradipinture richiede circa due o tre volte fluenze superiori (Fotakis et al., 2007). Il punto più importante, è quello di ottenere la rimozione dello strato superficiale indesiderato riducendo al minimo gli eventuali effetti collaterali che si possono verificare sul substrato sottostante. Nel caso di rimozione di strati superficiali da opere dipinte, questo criterio può essere soddisfatto se comunque viene mantenuto un sottile strato di vernice (generalmente da 5 a 10 micron di spessore) che funge da filtro di blocco, impedendo alla luce laser di raggiungere i pigmenti sottostanti (Fotakis et al., 2007). Se il materiale degradato che si vuole eliminare ha uno spessore inferiore alla profondità di incisione o consiste di particelle isolate sulla superficie del substrato, allora deve essere utilizzato un approccio differente per effettuare la sua rimozione, senza provocare danni al substrato (Fotakis et al., 2007). La rimozione selettiva di impurità può essere effettuata sfruttando il processo di evaporazione termica indotta da irradiazione a fluenze moderate. Per garantire un certo grado di efficienza di questo tipo di approccio, i contaminanti dovrebbero essere altamente assorbenti e avere una bassa entalpia di sublimazione, mentre il substrato dovrebbe presentare una piccola o minima capacità di assorbimento, alta riflettività ed entalpia di sublimazione. La situazione ideale sarebbe quindi quella in cui il contaminante sia altamente assorbente, mentre il substrato altamente riflettente con basso assorbimento. In tal caso, mentre il fascio laser verrebbe riflesso completamente dal substrato lo strato contaminante superficiale andrebbe incontro a rimozione. In questi casi si parla di pulitura autolimitante, talvolta tali condizioni ideali si riscontrano nella rimozione di sostanze inorganiche come ad esempio nella rimozione di incrostazioni dalle sculture in marmo e pietra, mentre non sono comuni nel trattamento di substrati di natura organica. L’efficienza di questo tipo di meccanismo di rimozione selettiva di impurità è stata esaminata per pergamene con contaminazioni carboniose (grafite), dove le sperimentazioni condotte hanno dimostrato che la fluenza soglia utilizzabile per la rimozione dei contaminanti è risultata essere F= 0,4 J/cm2. A fluenze più elevate generalmente superiori a 1,8 J/ cm2 e irradiazione laser di 308 nm, sono state riscontrate alterazioni chimiche al substrato, infatti il grado di polimerizzazione della cellulosa, determinato mediante cromatografia, è risultato scendere del 30% dopo un singolo colpo a circa 1 J/cm2 .Al contrario modifiche fotochimiche dirette non sono state riscontrate con l’utilizzo di irradiazioni laser di 532 nm e 1064 nm, per questo motivo, i recenti lavori si sono concentrati sullo sfruttamento di queste lunghezze d’onda su substrati organici, anche se occorre considerare che i materiali cellulosici naturali come la

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lignina contengono componenti che assorbono queste lunghezze d'onda, e di conseguenza subiscono degradazione e variazioni di colore (ingiallimento) anche a 1064 nm. I laser dispongono di dispositivi per la regolazione della densità di energia, della frequenza e dell’energia degli impulsi. Tali caratteristiche permettono all’operatore di tarare lo strumento in funzione delle proprietà del manufatto su cui interviene, impiegando una densità di energia variabile tra 0,1 e 3,5 J/ cm2. Esistono, perciò, diversi sistemi laser caratterizzati non solo da differenti lunghezze d’onda ma anche da diversi parametri di emissione degli impulsi (energia e durata dell’impulso, frequenza di ripetizione degli impulsi). In particolare, la lunghezza d’onda e la durata dell’impulso (da 6 e 30 ns) influiscono sensibilmente sul processo di rimozione del deposito superficiale. L’impiego di durate di impulso estremamente brevi (qualche nanosecondo) annulla il rischio di shock termico e bruciatura per il supporto,mentre l’elevata potenza complessiva aumenta il rendimento del sistema di pulitura. La densità di energia impiegata permette di mantenere integri anche i materiali più fragili e compromessi. Tra i vari tipi di laser presenti sul mercato e impiegati nel settore dei beni culturali, il più usato è lo Yag (cristallo di ittrio e alluminio) al Nd (neodimio), che permette di produrre un fascio di luce monocromatico nell’infrarosso (lunghezza d’onda di 1064 nm) con distribuzione uniforme su ogni punto della superficie trattata. Nel caso di metalli antichi la pulitura con irraggiamento laser è efficace per rimuovere non solo sporco ma anche prodotti di ossidazione superficiale. Su superfici affrescate interessate da strati di scialbatura, la pulitura con irraggiamento laser risulta spesso vantaggiosa, rispetto a interventi meccanici eseguiti a bisturi, per qualità e tempi di esecuzione. Al contrario, su superfici pittoriche stese su supporti di natura organica, la lunghezza d’onda del vicino infrarosso risulta non adatta, poiché interagisce con diversi tipi di pigmento,modificandone la cromia. In presenza di pigmenti stesi su supporti di natura organica è stata talvolta riscontrata una variazione dei colori che, a oggi, rende sconsigliabile l’utilizzo della pulitura con irraggiamento laser su superfici dipinte con tali caratteristiche. È comunque sempre consigliabile eseguire prove di pulitura in parti non o poco visibili del manufatto in modo da valutare i parametri dello strumento e calibrare al meglio il livello di pulitura(Fotakis et al., 2007).

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