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Il licenziamento discriminatorio: un’eccezione di “tendenza”

2.3 I principi fondamentali delle politiche dell’OIL: dignità, uguaglianza, sicurezza e libertà

2.4.2 Il licenziamento discriminatorio: un’eccezione di “tendenza”

Un caso che si riscontra frequentemente nelle sentenze dei tribunali è l’impugnazione per licenziamento discriminatorio.

A tale proposito l’Art. 18 dello Statuto dei Lavoratori prevede che:

<<il licenziamento discriminatorio è sempre nullo e comporta la tutela reale, cioè la reintegrazione nel posto di lavoro, a prescindere dal numero di occupati dell’impresa. Quindi, il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio ai sensi dell’art. 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoro nel posto di lavoro157, indipendentemente dal motivo formalmente adotto.

L’unica eccezione alla tutela reale consistente nella reintegrazione nel posto di lavoro è prevista quando sia lo stesso lavoratore a richiedere l’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (art. 1 c. 42 della legge n. 92/2012). In caso di licenziamento discriminatorio, il lavoratore ha diritto anche al risarcimento del danno consistente in un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, ed, in ogni caso, non inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto>>158.

Un’eccezione particolare alla disciplina della reintegrazione, in caso di licenziamento illegittimo, si ha qualora si prendano in considerazione le c.d “organizzazioni di tendenza”. In questa categoria sono fatti rientrare i <<datori di lavoro non imprenditori che svolgono attività senza fini di lucro di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto>>.159

157 Si noti che la tutela reintegratoria piena, dopo l’approvazione del d.lgs 23/2015 attuativo della legge

delega 183/2014 (c.d Jobs Act) è stata limitata ai casi di licenziamento illegittimo ovvero, licenziamento discriminatorio, licenziamento basato sul motivo illecito determinante (ex art. 1345 c.c.), licenziamento irrogato in concomitanza con il matrimonio o in violazione dei divieti previsti dal Testo Unico di tutela della paternità e della maternità, e infine in caso di licenziamento intimato in forma orale o riconducibile “ad altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge”. Si veda a proposito il sito: Studio Cataldi, https://www.studiocataldi.it/articoli/15766-l-art-18-prima-e-dopo-la-riforma-fornero.asp

158 Citti Walter, La tutela civile contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose. Guida alla normativa e

alla giurisprudenza, pg.48, ASGI, 31 agosto 2013

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La norma di riferimento, in materia di licenziamento per tali organizzazioni, è il d.lgs 216/2003160 che permette di stabilire se il licenziamento abbia carattere discriminatorio o meno. In base all’Art 3 comma 5 <<non costituiscono atti di discriminazione (…) le differenze di trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell'ambito di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività>>.

Secondo la legge 109/1990 l’ambito di applicazione del decreto legislativo deve intendersi limitato alle sole organizzazioni senza scopo di lucro, a differenza di quanto previsto dalla direttiva europea 2000/78/CE che prevede che a beneficiare della clausola derogatoria siano tutte le organizzazioni la cui etica è fondata sulla religione o le convinzioni personali, senza che abbia rilievo il fatto che abbiano o meno scopo di lucro. Un ulteriore limitazione alla disciplina è stata posta dalla Corte di cassazione, la quale ha previsto <<che Il licenziamento c.d “ideologico” da parte delle “organizzazioni di tendenza” può considerarsi legittimo solo nel caso in cui l’adesione ideologica del lavoratore sia requisito essenziale per la protezione della “tendenza ideologica”, la quale va riferita non all’ente in sé, ma alle attività e scopi istituzionali di quest’ultimo>>161

Una sentenza esplicativa del tema è la C-68/17 della Corte di giustizia europea162 riguardo il licenziamento di un medico primario cattolico (JQ) da parte di un ospedale cattolico, gestito da una società tedesca a responsabilità limitata (l’IR), soggetta alla vigilanza dell’Arcivescovo cattolico di Colonia (Germania).

Il licenziamento del primario era avvenuto dopo il divorzio dalla sua prima moglie, con la quale si era sposato secondo il rito cattolico, poichè si era successivamente risposato secondo rito civile con un’altra donna, senza che il primo matrimonio fosse annullato.

160 Decreto attuativo della direttiva europea 2000/78/CE

161 Citti Walter, La tutela civile contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose. Guida alla normativa e

alla giurisprudenza, pg.49, ASGI, 31 agosto 2013

162 Si veda l’articolo pubblicato dal Sole24 ore al sito: https://www.ilsole24ore.com/art/un-ospedale-

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Secondo l’IR il primario contraendo matrimonio nullo per il diritto canonico era venuto meno agli obblighi derivanti dal contratto di lavoro, ovvero l’obbligo di lealtà verso la Chiesa cattolica e verso l’etica e i suoi valori fondanti.

JQ ha tuttavia contestato il suo licenziamento dinnanzi ai giudici del lavoro tedeschi sostenendo che il suo secondo matrimonio non potesse essere motivo valido di licenziamento.

La Corte europea ha riconosciuto che tenuto conto della natura delle attività professionali svolte e del contesto in cui sono esercitate, la religione e le convinzioni personali devono costituire dei requisiti essenziali, legittimi e giustificati rispetto all’etica in questione. Nel caso presente l’adesione alla concezione di matrimonio data dalla Chiesa cattolica non risulta necessaria per l’affermazione dell’etica dell’IR, né tantomeno requisito essenziale per lo svolgimento di attività professionali ospedaliere, quali quelle riferibili a JQ, primario del reparto di medicina interna.

Il concetto viene riconfermato anche alla luce del fatto che nell’ospedale fossero presenti altri medici, che non aderivano alla confessione cattolica e che pertanto non risultavano vincolati dall’atteggiamento di buona fede e lealtà richiesta dall’etica dell’IR.