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sTefano didonè

Il processo di riforma della Chiesa in vista della sua trasformazione missionaria, annunciato da papa Francesco nel 2013 con l’esorta-zione Evangelii gaudium, trova indubbiamente un’opportunità di concreto impulso nel Cammino sinodale della Chiesa italiana. Per far uscire la Chiesa dalla propria autoreferenzialità serve davvero il contributo di tutti, a partire dai laici (e non solo quelli “impegnati”

come “operatori pastorali”). Il progetto di una Chiesa sinodale, che si propone alla società civile come modello di partecipazione, soli-darietà e trasparenza, è a dir poco molto ambizioso, vista la com-plessità di un tessuto sociale e culturale in cui l’esperienza della fede ecclesiale si alimenta tendenzialmente nella prassi liturgica e sacramentale di una minoranza delle persone. Una minima cono-scenza della storia recente, grosso modo dal Concilio Vaticano II in poi, invita a tenere i piedi per terra, superando l’enfasi retorica che si è imposta sul tema. La complessità e la delicatezza dell’argomen-to suggeriscono di partire anzitutdell’argomen-to da qualche considerazione sdell’argomen-to- sto-rica, almeno per fugare l’equivoco della riedizione di una qualsia si

“teologia del laicato”, debole come tutte le teologie al genitivo.

un lungocaMMino

Se prima del Vaticano II nella Chiesa, intesa come societas perfecta, i laici erano per definizione canonica i “non chierici”, che al massi-mo potevano collaborare a diffondere la “dottrina cristiana”, come auspicava papa Pio X con l’enciclica Acerbo Nimis del 1905, la costi-tuzione dogmatica Lumen gentium riabilita alla coscienza ecclesiale il senso della fede (sensus fidei) proprio di tutti i credenti, in virtù dell’unzione dello Spirito Santo ricevuta nel Battesimo. L’insieme dei fedeli «non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà peculiare mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il Popolo, quando “dai Vescovi fino agli ultimi Fedeli laici”, esprime l’universale suo consenso in materia di fede e di morale»

(Lumen gentium, n. 12). Nel clima di generale apertura, il recupero dell’espressione agostiniana “fino agli ultimi fedeli laici” non sto-nava, sebbene tradisse, a ben vedere, al di là delle buone intenzioni dei Padri, una concezione ancora verticistica (oggi si direbbe top/

down) della Chiesa, per cui l’espressione “popolo di Dio” non era davvero inclusiva di tutti, ma veniva riferita di fatto ancora ai fede-li laici, chiamati all’adesione indefettibile alla fede, all’obbedienza e all’applicazione nella vita degli orientamenti formulati da coloro che nella Chiesa esercitano l’autorità.

ulTiMachiaMaTa?

Oggi, nel contesto di una Chiesa sinodale, la piramide si è rovescia-ta, per usare il linguaggio di Francesco, ma i problemi rimangono.

Questo perché ai laici spesso manca il respiro in una Chiesa che rimane ripiegata al suo interno, in un agire pastorale che fatica a rinnovarsi. Soprattutto non sono più disponibili ad accettare lin-guaggi, modalità comunicative e forme rituali che appaiono talvol-ta lontalvol-tani anni luce dalla loro esperienza di vitalvol-ta sociale, lavorativa, affettiva. Le ricerche sui giovani, in particolare, evidenziano come in questi anni è cresciuta la distanza tra le forme tradizionali dell’es-sere Chiesa e la vita nella sua precarietà ed incertezza. Con l’invito

ad avviare un processo sinodale di riforma, papa Francesco sembra aver percepito che il tempo si è fatto breve e vuole accelerare nella ricerca di nuove forme istituzionali della partecipazione dei laici alla missione evangelizzatrice della Chiesa. L’istituzione del ministero del catechista è un segnale in questa direzione, mentre sul versante della testimonianza nel mondo si possono fare ulteriori passi. Per-ché si realizzi una felice articolazione tra le diverse forme di respon-sabilità sono necessari un ascolto reale e una formazione adeguata.

Ma su questi due punti c’è molto da lavorare.

nonpiùMarginalizzaTi

Il documento della Commissione Teologica Internazionale, dal ti-tolo “La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa”, traccia chiaramente la direzione: «La grande sfida per la conversione pasto-rale che ne consegue per la vita della Chiesa oggi è intensificare la mutua collaborazione di tutti nella testimonianza evangelizzatrice a partire dai doni e dai ruoli di ciascuno, senza clericalizzare i laici e senza secolarizzare i chierici, evitando in ogni caso la tentazione di

«un eccessivo clericalismo che mantiene i fedeli laici al margine del-le decisioni» (n. 104). È proprio il cdel-lericalismo, definito senza mezze misura da papa Francesco come “la peste della Chiesa”, il subdolo nemico di una reale sinodalità. Evocando la marginalità dei laici nel-le decisioni che contano, di fatto papa Francesco pone la questione della gestione del potere nella Chiesa, canonicamente formulato come il «servizio dell’autorità». Il documento preparatorio del cam-mino sinodale della Chiesa italiana, al numero 106, ricorre al ter-mine «circolarità»: occorre attivare nella Chiesa particolare e a tutti i livelli la circolarità tra il ministero dei Pastori, la partecipazione e corresponsabilità dei laici, gli impulsi provenienti dai doni carisma-tici secondo la circolarità dinamica tra “uno”, “alcuni” e “tutti”». La formula, in perfetto “ecclesialese”, cerca di tenere insieme l’insieme del popolo di Dio, ma rischia di suonare ancora una volta astratta, finché non si chiariscono le condizioni effettive di quella circolarità.

lealTànellascolTo

La posta in gioco del cammino sinodale della Chiesa italiana è il ri-conoscimento di una reale corresponsabilità dei laici nell’annuncio del Vangelo a partire dalla loro esperienza di vita. Ogni considera-zione che non faccia i conti con le conseguenze che derivano da un esercizio sinodale del servizio dell’autorità appare superata, pena continuare a ritenere i laici “invisibili ed irrilevanti”, come li aveva coraggiosamente definiti Paola Bignardi. La strategia non può es-sere solo quella dell’allargamento, che coinvolge tutti lasciando poi le decisioni a pochi. La sfida è cercare delle pratiche ecclesiali che rispettino i confini tra i diversi soggetti del popolo di Dio, ma che soprattutto si aprano alla conoscenza della vita reale delle perso-ne. Questa esplorazione va fatta insieme, ma senza ingombrare il campo con le proprie identità ecclesiali da esibire o difendere. Se si decide di ascoltare, allora bisogna tener conto di quell’ascolto, se si vuole essere seri. Altrimenti le persone tagliano i ponti e se ne vanno deluse. «Verso chi la nostra Chiesa particolare è “in debito di ascolto”? Come vengono ascoltati i laici, in particolare giovani e donne? Che spazio ha la voce delle minoranze, degli scartati e degli esclusi? Riusciamo a identificare pregiudizi e stereotipi che ostaco-lano il nostro ascolto?». Queste sono alcune delle domande che il Documento preparatorio propone per la cosiddetta “fase narrativa”

del cammino sinodale. Essa prevede un ascolto a tutto campo (con-centrato però in pochi mesi). Forse a queste domande ne andreb-bero aggiunte un altro paio: Che cosa intendiamo fare di ciò che le persone interpellate diranno? Siamo disponibili ad accogliere i cambiamenti che verranno proposti che toccano la forma dell’es-sere e del fare Chiesa? È vero che la sinodalità è ciò che Dio chiede alla Chiesa del terzo millennio, come ha detto papa Francesco. Ma le persone che saranno coinvolte nell’ascolto nei prossimi mesi si attendono dalla Chiesa dei cambiamenti concreti in questo tempo e non nel prossimo millennio.

(tratto da La vita del popolo, 19 dicembre 2021, p. 8)

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