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Il modello di presentazione

GIOVANNI SACCHI E IL PROGETTO PARTECIPATO

PAROLE CHIAVE

1. Il modello di presentazione

La più antica forma di rappresentazione tridimensionale, il modello di presentazione restituisce in modo esatto le geometrie del prodotto: costruito in scala ridotta o reale, a seconda si tratti di architettura o di artefatti industriali, è da sempre utilizzato per comunicare e promuovere la realizzazione di un prodotto ad aziende e investitori in epoca contemporanea, come a principi e mecenati in epoca passata. Se i primi esempi ci appaiono all’interno di opere d’arte antica, raffigurati in mano a santi o a committenti in dipinti e sculture, sono numerosi i documenti di cantiere che attestano l’impiego di questo strumento nel medioevo[12] sino a divenire comune pratica della bottega rinascimentale (Goldthwaite, 1980; Salvarani, 1992; Millon & Magnago Lampugnani, 1994; Crippa & Del Prete, 2005).

Reso nel tempo sempre più complesso dall’inclusione di particolari scultorei e dalla

simulazione dei materiali – come già testimoniano esempi di fine Cinquecento – il modello di presentazione garantisce al committente maggiore capacità di controllo dell’opera nella fase sia di approvazione sia di realizzazione (Goldthwaite, 1980; Maldonado, 1992). Il modello – spiegava Sacchi con la sua consueta semplicità – serve per andare dalla committenza e far vedere il prodotto finito. Questo è importante, che tu vedi prima quello che produci dopo; il mio modello serve per darti la realtà di quello che farai domani.[13] Al modello di

presentazione di prodotto industriale, realizzato in scala reale e chiamato a simulare

l’oggetto, Sacchi dedica parte della sua carriera, soprattutto tra gli anni settanta e ottanta. E i risultati sono così realistici da provocare i numerosi fraintendimenti che Sacchi stesso, con grande ironia, raccontava con orgoglio nelle occasioni pubbliche. Nel 1980, ad esempio, all’esposizione Modelle und Formen vom Handwerk gebaut tenutasi a München in occasione di Exempla ’80[14] viene rubato il prototipo di un televisore portatile poi ritrovato in un angolo della stessa sala espositiva poiché – così amava dire – accortosi che non funzionava, “hanno pensato di portarlo indietro”[15]; oppure a Milano nel 1982, quando il Presidente della Repubblica federale tedesca, Karl Carstens, visitando la mostra Begegnung mit dem

italienischen Design, dedicata al design italiano, allestita da Viti nella sede di Olivetti,[16]

scambia il modello di una calcolatrice in legno verniciato per l’oggetto vero e proprio e, senza pensarci, allunga le mani per provarne il funzionamento (Polato, 1991; Ambri, 2000). Anche Roberto Olivetti cade in un simile equivoco ed eleva il modello a prodotto finito quando considera quello per la macchina per scrivere Praxis, presentatagli da Sottsass nel periodo natalizio, il sentito regalo di un amico (Polato, 1991).

Gli esemplari eseguiti da Sacchi in modo così realistico non solo comunicano le idee dei progettisti ai committenti, ma sono strumenti efficaci per promuovere l’investimento nell’effettiva realizzazione dei prodotti, poiché – come ricorda Sottsass – “se uno va da un cliente con un modello del Sacchi, il cliente è convinto” (Polato, 1991, p. 123). Ma i modelli di presentazione di Sacchi non esauriscono il loro compito favorendo relazioni positive tra designer e committente; divengono anche veri e propri campioni con cui l’azienda è in grado di proporre in anticipo elementi della futura produzione o, ancora, artefatti con cui

pubblicizzare i nuovi oggetti e verificare la risposta del mercato.

Alla mostra in cui sono esposti per la prima volta i suoi modelli in Triennale, nel 1983, Sacchi afferma che con il modello “tu arrivi a vendere quello che non hai ancora fatto”.[17] Nel caso specifico si riferisce alla sedia impilabile disegnata da lui stesso nel 1975 e pensata per essere prodotta in plastica,[18] di cui il committente riesce a vendere 10.000 esemplari con la sola presentazione del prototipo in legno: il modello verniciato era opportunamente appeso al soffitto con un filo per dissuadere i visitatori dal sedersi. Il legno con una sezione così sottile non avrebbe infatti resistito (Polato, 1991; Locati, 1998; Ambri, 2000).

Fig. 3 Sedia progettata da Sacchi e prodotta da ILMA Plastica dal 1976 / courtesy Archivio Giovanni Sacchi, Sesto San Giovanni.

Zanuso conferma quanto appena enunciato affermando con chiarezza che con Sacchi sono andati oltre alla rappresentazione verosimile e porta la sua diretta esperienza di uso del modello come prefigurazione del prodotto aziendale sulle pagine dei cataloghi: “Noi abbiamo fatto per i nostri clienti la consulenza per la redazione di cataloghi, e quando si

faceva il catalogo la produzione di questi oggetti non era ancora avviata” (Polato, 1998). Come sostiene Trabucco,[19] Zanuso si riferisce molto probabilmente a oggetti progettati per Brionvega, ma tale pratica in quegli anni è appannaggio di numerose aziende. Tra la

corrispondenza archiviata con metodo e precisione da Sacchi, un fax su carta intestata Alessi, datato 27 febbraio 1986 e firmato Alberto Alessi, accompagna a tale proposito la trasmissione del disegno di una frusta da cucina progettata da Sapper. Si tratta della richiesta di

realizzazione del prototipo in tempi strettissimi, “al più presto (in pochi giorni?), perché ci serve per un importantissimo servizio fotografico”.[20] Sullo stesso foglio, a testimonianza della disponibilità del modellista a una piena collaborazione anche a distanza con il designer è riportato: “Dice Sapper di telefonargli in Germania appena può, per ulteriori notizie”.[21] 2. Il modello di verifica

Il modello di presentazione sopradescritto diviene, anche storicamente, parte della prassi progettuale, ovvero destinato alla verifica e alla valutazione della realizzabilità del progetto e possibile conseguente guida per la realizzazione del prodotto.

Inizialmente adottato dagli architetti rinascimentali e adoperato talvolta in scala reale –note in tal senso sono le esperienze di Filippo Brunelleschi –, il modello di verifica, che è invece utilizzato per effettuare prove strutturali[22] e guidare le maestranze nell’esecuzione dei dettagli[23] perché più facilmente interpretabile rispetto ai disegni, trova corrispondenza anche alla scala del prodotto industriale. In questo caso però le funzioni di controllo si estendono ad altri aspetti che il disegno non è in grado di restituire cioè alle implicazioni ergonomiche e plastiche che l’oggetto è chiamato a comunicare, come spiega Zanuso (Polato, 1991; Polato, 1999; “Che pazienza per progettare quel telefono Grillo!”, 2000), oppure alla necessità di rilevare le prestazioni di natura meccanica – sostiene Alberto Meda –, in quanto anche le più semplici non possono essere né immaginate né percepite, ma accertate solo mediante apposita sperimentazione fisica; la verifica della posizione del centro di gravità di un oggetto ne è un esempio.[24]

La possibile fallacia del disegno e l’insostituibile ruolo del modello[25] trovano un riscontro di particolare interesse nel fax su carta intestata Vignelli Associates Designers in cui Lella Vignelli ringrazia Sacchi perché, grazie alla accurata realizzazione dei modelli, hanno potuto verificare alcuni errori.[26] Il documento, datato 1 marzo 1973, proviene da New York, dove i Vignelli si sono trasferiti da tempo ma, nonostante la lontananza, Sacchi continua a essere il loro modellista, cui chiedere le necessarie modifiche, certi della piena comprensione da parte dell’interlocutore.

La materializzazione dell’idea, a cui accenna Botta definendo Sacchi “revisore finale” (Polato, 1998), fornisce quindi l’opportunità di modificare e mettere a punto il disegno in modo definitivo dopo la piena comprensione delle forme, ma in Sacchi i progettisti trovano anche un suggeritore di soluzioni più adeguate. “Sovente era lui stesso ad indicarci un angolo irrisolto, un attacco incoerente tra due superfici”, riporta Gregotti

(2000, p. IX). Scoperto un errore, Sacchi non procede nella realizzazione, ma telefona per avvertire il progettista prima di proseguire alla risoluzione del problema. E Arduini conferma: “Se vedeva qualcosa che non andava telefonava, te lu cambià mi” (Polato, 1998).[27]

La verifica del progetto attraverso il modello è necessaria, oltre che ai singoli professionisti, anche all’interno delle aziende soprattutto per evitare sorprese all’avvio della produzione di un oggetto.

Valerio Castelli riporta a tale proposito la vicenda della prima seduta in plastica per bambini, la seggiolina K1340, oggi nota come 4999, Compasso d’oro-Adi 1964, vera e propria sfida elaborata da Zanuso e Sapper per Kartell a partire dal 1960. Nello specifico caso la costruzione di un unico modello prima della fase di stampaggio, non avendo permesso di testare l’impilabilità della seduta, ha portato al conseguente rifacimento di parte dello stampo (Castelli, Antonelli & Picchi, 2007).[28] Tale episodio è ricordato anche da Roberto Picazio, prototipista di Kartell dal 1959 al 2006, che racconta di come il rapporto con la bottega Sacchi, a cui Kartell si rivolge per sviluppare le forme dei suoi prodotti,[29] si coniughi con la sperimentazione aziendale sull’utilizzo di nuovi materiali e processi di produzione: nel legno di cirmolo sono messi a punto con precisione e accuratezza i modelli con cui l’ufficio tecnico si confronta nella realizzazione dei prototipi in materia plastica.[30]

Il ruolo di Sacchi intermediario e facilitatore nei confronti della produzione è esplicitato da Giorgio Decursu sottolineando come la precedente esperienza di modellista per fonderia lo abbia reso una garanzia di fattibilità del prodotto nel rispetto della massima economia di processo. “Ti può consigliare – afferma – in che modo è meglio tracciare una linea perché il pezzo sia realizzabile con uno stampo semplice piuttosto che con uno complesso a più tasselli”. E aggiunge: “Credo che molti di noi abbiano imparato dal Sacchi le prime nozioni di tecnologia applicata” (Polato, 1991, p. 65).

La varietà di competenze di Sacchi trova espressione anche nel suo spazio di lavoro, ordinato, preciso, un laboratorio assimilabile più a quello di uno scienziato piuttosto che alla bottega di un artigiano[31] dove, ad esempio, gli utensili appartenenti a ciascun operaio, allineati sopra i banchi di lavoro, sono distinti dal differente colore del manico.

Fig. 4 L’ambiente di lavoro nella bottega di Giovanni Sacchi in via Sirtori a Milano / courtesy Archivio Giovanni Sacchi, Sesto San Giovanni.