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Il modello di sviluppo comunista sovietico

URSS E USA, DUE BLOCCHI CONTRAPPOST

2.2 Il modello di sviluppo comunista sovietico

Il modello di sviluppo comunista sovietico cominciò a delinearsi nel corso della Rivoluzione Russa, i cui eventi portarono alla progressiva e completa presa di potere dei bolscevichi a danno del governo liberale provvisorio e delle altre forze politiche. L’inaspettata vittoria dei bolscevichi nella guerra civile permise la realizzazione di un progetto che Lenin ideava sin dall’inizio del Primo Conflitto Mondiale, ovvero quello di soppiantare la vecchia Internazionale socialista con una nuova Internazionale comunista. D’altra parte, già nel 1918, i bolscevichi avevano sostituito la loro denominazione di Partito socialdemocratico con quella di Partito comunista (bolscevico) di Russia. Nata a Mosca nel 1919, ma realmente operante solo nel 1920, l’Internazionale comunista (Comintern) o Terza Internazionale rappresentò il punto di riferimento dei partiti comunisti di tutto il mondo e fece penetrare in modo capillare nel movimento operaio d’Europa la totale spaccatura tra comunismo e socialdemocrazia che era avvenuta in Russia101. D’altronde, come

afferma Nicolas Werth nella sua opera “Storia della Russia nel Novecento”(2000), gli anni compresi tra il 1918 e il 1921 furono per la Russia un periodo di “sopravvivenza e di formazione”, data la mole di cambiamenti che si verificarono all’interno del paese102.

In generale, la Rivoluzione russa, non fu solo un evento che sconvolse come non mai l’assetto interno di un Paese europeo, ma costituì per la stessa Europa e per tutto il mondo una nuova proposta che si profilava come estremamente rivoluzionaria. Si trattava, infatti, di una sfida che metteva in discussione l’organizzazione politica, i rapporti tra gli stati e l’ordine gerarchico della società, portando avanti l’utopia di realizzare una società senza classi e degli stati senza Stato103.

101 Cfr. A. Giardina, G. Sabbatucci , V. Vidotto, Nuovi profili storici, cit., p. 179.

102 Cfr. N. Werth, Storia della Russia nel Novecento, Dall'Impero russo alla Comunità degli Stati

Indipendenti (1900-1999), Bologna, il Mulino, 2000, pp. 156- 208.

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Fig. 9. Nikolaj Kočergin, Sulle rovine del capitalismo, marciamo verso le

fraternità, 1920104.

Nella figura 9 è espresso molto bene sia l’entusiasmo utopico che caratterizzò il movimento comunista in Russia dopo che i bolscevichi giunsero al potere, sia, più genericamente, gli elementi su cui si fonda il modello di sviluppo sovietico. All’interno del manifesto, infatti, campeggia l’immagine della fiera avanzata di un gruppo di lavoratori con in mano i loro strumenti di lavoro, tra cui la falce e il martello, simbolo della tradizione socialista e comunista; in primo piano, sono ben visibili una donna che avanza insieme agli altri lavoratori e due bambini che recano in mano, uno un libro e l’altro la bandiera rossa, due simboli dello slancio verso il futuro. In basso, si possono distinguere le rovine di antichi palazzi, alcuni stemmi di vecchie casate e monete d’oro, per veicolare l’idea che la marcia popolare operaia cammina sopra le rovine del capitalismo, come conferma lo stesso titolo dell’opera.

Un’immagine che riesce a sintetizzare quelli che sono alcuni capisaldi del comunismo: il potenziale della classe operaia, l’uguaglianza e la fraternità, la fiducia

104 Consultabile online alla pagina web:

https://www.alamy.it/foto-immagine-propaganda-sovietica-poster-da-nicolai-kotcherguin-sulle- rovine-del-capitalismo-camminiamo-verso-la-fraternita-gli-agricoltori-e-i-lavoratori-sono-in- cammino-verso-i-popoli-di-tutto-il-mondo-urss-1920-113151839.html

48 verso i giovani e gli intellettuali, la lotta al capitalismo105. Il modello di sviluppo

comunista sovietico, dunque, cominciò a delinearsi a partire da delle promesse che suonavano come utopistiche e, peraltro, non conciliabili con qualsiasi altra forma di democrazia “borghese”. Questo lo si evince molto chiaramente dal pensiero di Lenin, in particolare, da uno dei suoi più famosi scritti dal titolo “Stato e rivoluzione”: in questo appare lampante il contrasto tra la grande libertà che dovrebbe caratterizzare la società comunista e la rigida dittatura che sarebbe necessaria per renderla possibile. Nel progetto utopistico di Lenin, infatti, si possono ritrovare i germi di quella spietatezza tipica dell’agire di Stalin, il quale riuscirà a realizzare, seppur in modo esasperato, alcune delle promesse del primo106.

Nel suo opuscolo, Lenin muove un’aspra critica verso la democrazia “borghese”, considerandola come una falsa democrazia che assicura diritti e libertà solo a delle ristrette minoranze di privilegiati, i ricchi: nel mondo capitalista, infatti, la libertà coincide con quella che fu al tempo delle repubbliche dell’Antica Grecia, ovvero una “libertà per i proprietari di schiavi”107. La rivoluzione comunista si

prefigge, dunque, l’obiettivo di lottare per l’eliminazione delle disuguaglianze sociali, servendosi come strumento della “temporanea” dittatura del proletariato, per arrivare a una vera democrazia fondata sul potere della maggioranza degli sfruttati contro la minoranza degli sfruttatori. Altro obiettivo primariamente inseguito è quello di arrivare ad una progressiva eliminazione dello Stato, colpevole di non essere capace di adempiere al suo più importante compito, vale a dire quello di eliminare le disuguaglianze economiche e sociali attraverso l’uso della forza108.

Lenin parte dall’idea di Marx secondo cui, nel passaggio dalla società capitalistica a quella comunista, è necessario un periodo di transizione caratterizzato dalla dittatura rivoluzionaria del proletariato. Questa dittatura diventa quasi un’esigenza se si considera il ruolo che il proletario ha nella società capitalistica e soprattutto la totale incompatibilità degli interessi del proletariato e di quelli della borghesia109:

105 Cfr. A. Giardina, G. Sabbatucci , V. Vidotto, Nuovi profili storici, cit., p. 257. 106 Ivi, p. 323.

107 Cfr. Lenin, Stato e rivoluzione, La dottrina marxista dello stato e i compiti del proletariato nella

rivoluzione, Roma, Editori Riuniti, 1966, pp. 160-166.

108 Cfr. A. Giardina, G. Sabbatucci , V. Vidotto, Nuovi profili storici, cit., p. 257. 109 Ibidem.

49 Il passaggio dalla società capitalistica, alla società comunista è impossibile senza un “periodo politico di transizione”, e lo Stato di questo periodo non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato. Ma qual è l’atteggiamento di questa dittatura verso la democrazia?(…) Il Manifesto del Partito comunista pone semplicemente uno accanto all’altro i due concetti: “trasformazione del proletariato in classe dominante” e “conquista della democrazia110.

Secondo Lenin, dunque, la dittatura del proletariato rappresenta l’unico mezzo in grado di rompere la resistenza dei capitalisti sfruttatori, essendo costituita dall’unione degli oppressi come classe dominante contro gli oppressori. Quella che si persegue è una democrazia per il popolo, per i poveri e in questo senso la dittatura del proletariato opera per limitare la libertà dei capitalisti, degli oppressori, ovvero di coloro che impongono ai lavoratori il giogo di una schiavitù salariata. Lenin, inoltre, scrive senza mezzi termini che soltanto il comunismo è capace di realizzare una vera democrazia completa, ma:

Si comprende che per realizzare un simile compito (…) siano necessarie una crudeltà e una ferocia di repressione estreme: fiumi di sangue attraverso cui l’umanità prosegue il suo cammino, sotto il regime della schiavitù, della servitù della gleba e del lavoro salariato111.

Le idee di Lenin vennero racchiuse, in modo rigido e perentorio, all’interno dei 21 punti dell’Internazionale comunista, un documento che poneva esplicitamente la Russia sovietica come punto di riferimento centrale per tutto il movimento comunista. Passando a considerare l’ambito strettamente economico, quando i sovietici giunsero al potere la Russia si trovava in uno stato di notevole dissesto che fu ulteriormente aggravato dalla Rivoluzione e dalla Guerra. Numerose industrie vennero affidate ai vecchi imprenditori ma vennero tenute sotto controllo dei consigli

110 Lenin, Stato e rivoluzione, La dottrina marxista dello stato e i compiti del proletariato nella

rivoluzione, cit., p. 160.

50 operai, altre vennero gestite dagli stessi lavoratori, altre ancora, invece, vennero statalizzate112.

L’operazione di socializzazione delle terre ebbe come esito quello di creare tante piccole aziende che producevano per lo più per l’autoconsumo e per il commercio urbano. Lo stato assunse il controllo delle banche e i debiti con l’estero vennero cancellati ma questo non bastò a risollevare la situazione: il governo non era nelle condizioni di riscuotere le tasse, pertanto, non poteva fare a meno di emettere denaro privo di valore, cosa che costrinse a ritornare all’uso del baratto e dei pagamenti in natura. Per far fronte a questa situazione, il governo sovietico adottò il “comunismo di guerra”, una politica economica più vigorosa e autoritaria, avente come obiettivo quello di centralizzare le decisioni economiche importanti e statalizzare la maggior parte delle attività produttive, allo scopo di dare più ordine e più stabilità al paese. In questo momento storico, infatti, sorsero realtà come le fattorie collettive, le fattorie sovietiche di stato e i centri rurali dei comitati per la distribuzione delle derrate113. Questa politica seminò il malcontento tra la

popolazione che la percepiva come troppo restrittiva, così, nel marzo del 1921, durante il X congresso del partito comunista, il governo cercò di aprirsi verso una maggiore liberalizzazione con l’adozione di una nuova politica economica. Facendo, infatti, un bilancio delle trasformazioni sociali, politiche, economiche e geografiche che si sono verificate nell’Unione Sovietica tra il 1914 e il 1922, ci si trova dinnanzi ad un nuovo grande Stato multinazionale (l’unico dal tempo dell’Europa dopo Versailles) che ha soppiantato l’impero zarista, seppur privato di alcuni suoi territori (Finlandia, Bessarabia, Polonia, paesi baltici, Moldavia, Ucraina occidentale). Considerando, tuttavia, ciò che caratterizza questo nuovo Stato (spirito repressivo, ideologia, monopartitismo) insieme al suo apparato socio-economico danneggiato dalla crisi dell’industria o dallo spopolamento delle città, si può comprendere come il paese non aveva affatto compiuto dei progressi come si auspicavano i rivoluzionari, ma al contrario aveva fatto dei notevoli passi indietro.114 Una sostanziale ripresa

dell’economia si ebbe con l’inizio della Nep che in tre anni consentì di recuperare

112 Cfr. A. Giardina, G. Sabbatucci , V. Vidotto, Nuovi profili storici, cit., p. 179. 113 Ivi, p. 180.

114 Cfr. A. Graziosi, Dai Balcani agli Urali: l'Europa orientale nella storia contemporanea, Roma, Donzelli Editore, 1999, p. 87.

51 quello che era stato perduto tra il 1916 e il 1921: la velocità della ripresa dipese dalla concessione di alcune libertà economiche per incoraggiare la popolazione dopo il fallimento di alcune politiche comuniste115.

La Nep, appunto, aveva lo scopo di incrementare la produzione agricola e di fare in modo che le risorse alimentari potessero giungere all’interno delle città, in modo tale da strappare la popolazione dalla fame che aveva attanagliato gli anni precedenti. Lo stato conservò il proprio controllo sulle banche ma liberalizzò il commercio e le industrie che producevano beni di consumo, consentendo, ad esempio, ai contadini di vendere le eccedenze della produzione (il tutto dopo aver dato alla stato una quota fissa del raccolto). Altro effetto benefico della Nep fu l’ampliamento della rete elettrica fino alle campagne e la diffusione della lampadina che iniziò ad essere chiamata, addirittura, con il patronimico di Lenin116.

Fig. 10. Contadini sovietici testano il funzionamento di una lampadina, 1925117.

In generale, la Nep venne accolta con entusiasmo dalla popolazione dato l’effetto positivo che ebbe sull’economia, ma ebbe anche degli effetti sociali che non

115 Ivi, p. 88. 116 Ivi, p. 182.

117 Consultabile online alla pagina web:

http://www.clickblog.it/galleria/arkady-shaikhet-un-maestro-della-fotografia-russa-degli-anni-venti-e- trenta/4

52 erano stati previsti dai suoi fautori: nelle campagne l’incentivo alla attività private fece crescere i contadini ricchi (kulaki), gli affaristi e gli imprenditori.

L’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche nacque nel dicembre del 1922 e la sua elaborata struttura istituzionale venne consolidata con la nuova Costituzione approvata nel 1924, che comportava, in senso stretto, la nascita della dittatura comunista, promotrice di un rigido centralismo politico. Alla base del modello di sviluppo sovietico si poneva anche una vera e propria rivoluzione sociale che sovvertisse i valori tradizionali con idee che meglio si confacevano alla società socialista che si intendeva realizzare. L’interesse dei sovietici, dunque, fu orientato verso due obiettivi principali: innanzitutto, l’educazione dei giovani per generare “l’uomo nuovo”, presupposto fondamentale dello sviluppo economico; la lotta contro la Chiesa ortodossa, i cui dogmi erano considerati incompatibili rispetto alle idee materialiste del pensiero di stampo marxista.

Parallelamente alla dura opposizione alle religioni e alla morale tradizionale, i sovietici portavano avanti la liberalizzazione dei costumi attraverso atti come il riconoscimento del matrimonio civile, la semplificazione delle pratiche per il divorzio, la proclamazione della libertà tra i sessi e la legalizzazione dell’aborto118.

In questo panorama di lotte e di riforme, nel 1922, Stalin venne nominato segretario generale del Partito comunista mentre Lenin veniva colpito dalla malattia che successivamente lo condusse alla morte nel 1924. Tutto questo generò dei gravi scontri all’interno del gruppo dirigente bolscevico, scontri che Stalin riuscì a gestire abilmente: fu capace di rendere impopolare Trockij, sostenitore di un incessante ampliamento della rivoluzione, contrapponendo a questa tesi l’idea del “socialismo in un solo paese”; affermò il suo potere personale dopo avere sconfitto l’opposizione della sinistra di Zinov’ev e Kamenev, che volevano la fine della Nep (secondo loro, potenziale fonte di rinascita del capitalismo) e il rilancio dello sviluppo industriale119.

Stalin, invece, era favorevole ad una prosecuzione della Nep e allo sviluppo della piccola impresa agricola, pensata però sempre nel quadro di una pianificazione economica120. Nello specifico, durante l’inverno 1926-1927, dopo una serie di

vicissitudini, Stalin elimina dal suo apparato ogni residuo dei trotzkisti-zinovievisti,

118 Cfr. A. Giardina, G. Sabbatucci , V. Vidotto, Nuovi profili storici, cit., p. 183. 119 Cfr. A. Mongili, Stalin e l'impero sovietico, cit., pp. 58- 59.

53 dato che si era formata una coalizzazione da Clemenceau a Trockij che aveva come intento quello di lottare contro l’Urss. Il 23 settembre 1927 Trockij, Zinov’ev e Kamenev attaccano la politica di Stalin: un mese dopo Trockij e Zinov’ev vennero espulsi dal partito da loro stessi costituito, mentre Kamenev venne escluso dal Comitato centrale. In un clima di fervore che si tramuta in una generale denigrazione dell’opposizione, tutti inneggiano alla ritrovata unità del partito e si diffonde il culto di Stalin, le cui foto vengono esposte in tutti i luoghi pubblici, uffici o posti di lavoro. Al contempo, nessuno dell’opposizione trova il coraggio di manifestare il proprio dissenso o di cercare di imporre le proprie idee, per il timore suscitato dal semplice modo di fare tipico di Stalin e dei suoi fedeli seguaci121. A tal proposito, A. Graziosi

utilizza queste parole per descrivere il comportamento che l’ “uomo d’acciaio” inizia ad assumere:

Stalin condivideva con il suo gruppo di seguaci che gli si era formato intorno nel corso delle tappe formali della storia sovietica un insieme di ideologie e pratiche informali. (…) Vi era poi una sensazione di onnipotenza che (…) dava luogo alla convinzione che la realtà non potesse resistere alla ferrea volontà di plasmarla122.

Gli anni in cui si realizzò la totale ascesa al potere di Stalin furono parallelamente quelli in cui, in altri paesi, si registrava il dilagare del fascismo e della grande depressione: intellettuali e proletari antifascisti di tutto il mondo, pertanto, vedevano ciò che stava accadendo nell’Unione Sovietica come una speranza e un modello da seguire. Molti Stati capitalistici europei, infatti, stavano facendo i conti con la grande crisi, mentre la Russia, invece, protetta dal suo isolamento, non ne era stata coinvolta e al contrario era impegnata in un notevole sforzo verso l’industrializzazione.

Il 1927 e il 1928, infatti, furono gli anni che segnarono la fine alla Nep che era stata considerata sin dall’inizio come una manovra provvisoria: il passaggio del

121 Cfr. A. Mongili, Stalin e l'impero sovietico, Firenze, Giunti Gruppo Editoriale, 1995, pp. 61-62. 122 A. Graziosi, Dai Balcani agli Urali: l'Europa orientale nella storia contemporanea, cit., p. 92.

54 testimone a Stalin e la rivoluzione culturale da lui operata avrebbero notevolmente cambiato la situazione dell’Urss sotto molteplici aspetti123.

Si diede avvio a un processo di industrializzazione forzata, considerato come la base d’appoggio fondamentale per una società socialista, pensiero che Lenin aveva sempre sostenuto. Quella che venne incentivata con maggiore vigore fu l’industria pesante, vista come l’unica realtà che avrebbe potuto fare dell’Urss una temibile potenza militare, in grado di tenere testa alle grandi potenze capitaliste124. Stalin

proclamò la collettivizzazione dell’agricoltura e avviò un strenua, violenta e sanguinosa lotta contro la classe dei contadini ricchi, i kulaki, che venivano accusati di arricchirsi sulle spalle del popolo: questi e tutti coloro che si ribellavano alle requisitorie sovietiche e al trasferimento nelle campagne, venivano additati come “nemici del popolo”125, grossolanamente processati e fucilati, deportati in Siberia o

in campi di lavoro forzato, luoghi in cui ogni individuo finiva per perdere la propria dignità umana e cominciava a maturare la convinzione di essere un frutto indegno di una società che fabbricava felicità collettiva126. Parallelamente alla barbarie messa in

atto per eliminare i kulaki, che scomparvero non solo come classe ma spesso anche come persone concrete, Stalin continuò a portare avanti il proprio progetto rivoluzionario sul piano economico. Più precisamente, tra le varie cose, vennero varati i piani quinquennali con i quali le risorse economiche e umane del paese furono spostate sul campo industriale, cosa che produsse una straordinaria crescita della produzione industriale127.

Nell’ambito del modello di sviluppo comunista sovietico che si andò delineando, considerevole fu l’entusiasmo ideologico che si diffuse in quegli anni, grazie anche alla propaganda sovietica per stimolare gli operai industriali a sopportare immani sforzi lavorativi in virtù di un comune progetto sovietico da portare avanti. I lavoratori infatti furono costretti a sottostare a regole estremamente rigide, ma al contempo essi furono stimolati attraverso premi materiali rivolti

123 Cfr., G.P. Piretto, Gli occhi di Stalin, La cultura visuale sovietica nell’era staliniana, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2010, p. 14.

124 Cfr. R.A. Medvedev, Z.A. Medvedev, Stalin sconosciuto. Alla luce degli archivi segreti sovietici, Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2006, p. 63.

125 Cfr., G.P. Piretto, Gli occhi di Stalin, La cultura visuale sovietica nell’era staliniana, cit., p. 186. 126 Ivi, p.198.

127 Cfr. R.A. Medvedev, Z.A. Medvedev, Stalin sconosciuto. Alla luce degli archivi segreti sovietici, cit., pp. 48-50.

55 soltanto ai più produttivi: emblematico l’esempio di Aleksej Stachanov, distintosi per avere estratto in una sola notte un quantitativo ben quattordici volte superiore rispetto a quello che normalmente un lavoratore avrebbe estratto, dando vita a un vero movimento popolare chiamato proprio “stacanovismo”, apprezzato da Stalin e appoggiato dalle autorità128. Come afferma Gian Piero Piretto nella sua opera “Gli

occhi di Stalin”(2010):

Stacanovismo, riforgiatura delle personalità criminali, dighe, canali, stazioni idroelettriche si avvicendavano e si fondevano alle grandi campagne dell’epoca: superlavoro, educazione al saper vivere, avanzamento sociale129.

Fig. 11. Aleksej Stachanov a Torviscosa, immagine simbolo del modello sovietico130.

I successi dei piani quinquennali diventarono famosi in tutto il mondo e i comunisti auspicavano che quello che si era verificato nell’Urss si potesse verificare in tutto l’occidente capitalistico. In questo clima, intellettuali o esponenti di altri partiti di diverso orientamento politico iniziarono a simpatizzare per il partito comunista. Bisogna, tuttavia, tenere in considerazione il fatto che al di fuori dell’Unione Sovietica giungeva spesso solo una faccia della medaglia, ovvero quella

128 Cfr. A. Giardina, G. Sabbatucci , V. Vidotto, Nuovi profili storici, cit., p. 321.

129 Cfr., G.P. Piretto, Gli occhi di Stalin, La cultura visuale sovietica nell’era staliniana, cit., p. 191. 130 Consultabile online alla pagina web:

56 caratterizzata dai successi del progetto staliniano: difficilmente all’estero si aveva idea di quanto fossero stati alti i costi umani per arrivare a questo obiettivo e difficilmente si riusciva ad avere contezza del fatto che l’entusiasmo collettivista diffusosi con il lancio dei piani quinquennali non faceva altro che accentrare il poter nelle mani di Stalin e delineare le forme di un regime totalitario131.

Negli anni Trenta, Stalin istaura un clima di grande terrore che fa di lui il dittatore solitario dell’Urss: definito come “L’uomo d’acciaio”, si pone come una persona incontestabile, animata da una volontà enorme, volontà con cui, una volta giunto al potere, si sbarazzerà degli ultimi bolscevichi e di qualsiasi suo altro oppositore. Negli anni del realismo socialista, Stalin riprende l’iniziativa della propaganda monumentale lanciata da Lenin e la utilizza in modo massivo, per far sì che i concetti ideologici di base fossero chiari e inequivocabili anche per gli analfabeti. La figura del leader è presente ovunque e si staglia in modo maestoso e

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