La Carriera e l’ Employability
3.2 Evoluzione del concetto di Employability
3.2.1 Il “Modello Euristico dell’ Employability” di Fugate, Kinicki e Ashfort (2004)
Secondo Fugate, Kinicki e Ashfort, l’ employability è un “costrutto psico-sociale che racchiude al suo interno caratteristiche individuali che favoriscono comportamenti cognitivi adattivi e influenzano oltre che incrementano la relazione tra individuo e contesto lavorativo” (2004, p. 15) sottolineando come sia una forma di adattabilità attiva al lavoro utile a ricercare nuove opportunità lavorative e a muoversi tra più mansioni dentro e fuori le organizzazioni.
Il modello di ricerca da essi presentato è fortemente incentrato sull’individuo e sulla sua capacità attiva di adattamento. In particolare, essi specificano come l’employability sia risultante dalla combinazione di tre fattori: Career Identity; Personal Adaptability; Social e Human Capital.
Secondo gli autori, il concetto di employability cattura al suo interno gli aspetti principali di ciascuna delle tre suddette dimensioni: ognuna possiede un suo valore specifico ma armonizzate sinergicamente fra di loro generano un concetto che gli autori definiscono, appunto, employability.
Figura 2. Modello Euristico dell’ Employability ( Fugate et al., 2004).
Concentrando l’attenzione sulle tre componenti, con Career Identity (C.I.) si fa riferimento alla rappresentazione che l’individuo ha di se stesso al lavoro coerentemente alle differenti esperienze ed aspirazione di carriera. Al suo interno, include obiettivi, speranze, tratti di personalità, valori, norme, stili relazionali. La C.I. risulta ( Fugate et al., 2003; 2004):
- Simile a costrutti quali identità di ruolo, identità occupazionale ed organizzativa facendo riferimento alla raffigurazione che il lavoratore dà di se stesso in azione nel contesto organizzativo;
- Intrinsecamente “longitudinale” in quanto permette di attribuire senso alle esperienze passate e presenti per poter individuare la direzione da seguire per il futuro (Plunkett, 2001).
Meijers, nel 1998, affermò come “l’identità di carriera non è da considerarsi la somma delle esperienze lavorative ma bensì l’assimilazione di esse all’interno di strutture di significato e di utilità” (p. 2000): partendo da ciò, la natura cognitivo – affettiva della C.I. risulta coerente con altre caratteristiche individuali (conoscenze, abilità, competenze) che comprendono, anche, l’employability e facilitano l’identificazione e la concretizzazione di nuove opportunità di carriera.
Questa dimensione si collega, fortemente, al modello della boundaryless career ( Arthur & Rousseau, 1996) in quanto in un mercato del lavoro dove le potenziali opportunità di carriera possono essere innumerevoli e diverse fra di loro, risulta difficile che il lavoratore, di per sé, riesca a realizzarne quante più possibili. Le identità di carriera, in questo senso, rivestono la funzione strumentale di colmare quel vuoto che si verrebbe a creare nel momento in cui non vi è l’incontro opportunità di lavoro – individuo: ai modelli di carriera più diffusi si sostituiscono strutture psicologiche individuali utili per ridefinire continuamente passato e presente per avere un’idea quanto più chiara del proprio futuro professionale.
La seconda componente del modello in oggetto è la Personal Adaptability (P.A). Tale componente si fonda sull’assunto per cui coloro che sono adattabili sono più propensi a cambiare da un punto di vista individuale e ad trovare un punto d’incontro rispetto alle richieste provenienti dal proprio ambiente lavorativo (Ashfort & Taylor, 1990; Chan, 2000). La P.A. emerge come strategica, quindi, sia per le performance lavorative collegate al buon funzionamento dell’organizzazione e sia per il raggiungimento individuale di un soddisfacente successo nella propria carriera (Pulakos et al., 2000): è la componente che più determina in termini di risultati pratici dato che permette al lavoratore di apparire costantemente produttivo e risolutivo per la propria organizzazione soprattutto nelle fasi di cambiamento intraorganizzativo (Chan, 2000).
Il punto di partenza per lo sviluppo di tale componente è l’individuo coinvolto in un processo per cui deve continuamente individuare ed impegnarsi in attività tali da risultare sempre pronto ad affrontare le situazione lavorative più disparate: è un lavoro nel lavoro che richiede tempo, risorse mentali ed economiche. Ne consegue, d’altronde, che la P.A., nei suoi aspetti costituenti, debba possedere due qualità precise:
- “Internamente generata”: deve basarsi su gli aspetti distintivi dell’individuo dai quali non può prescindere di fondarsi;
- “Esternamente focalizzata”: deve inglobare elementi utili al fronteggiamento delle richieste provenienti dall’esterno rendendo l’individuo in grado di gestirle.
Infine, l’ultima componente inserita nel modello euristico di Fugate et al. è il Social & Human Capital, una sorta di continuazione naturale della seconda componente in cui diventa assoluto protagonista il rapporto tra lavoratore ed organizzazione.
L’organizzazione ed il lavoratore sinergicamente collaborano al fine di porre in essere degli investimenti inerenti sia il capitale umano sia il capitale sociale di loro interesse (Dess & Shaw,
2001). L’individuo, in particolare, nel momento in cui identifica specifiche opportunità lavorative è influenzato da questo tipo di capitale.
Il “capitale sociale” si riferisce all’insieme di contatti e relazioni stabilite dentro e fuori le organizzazioni dall’individuo stesso: contribuisce notevolmente nel determinare l’employability per mezzo delle informazioni che si riescono a rintracciare e dell’influenza individuale che si riesce ad esercitare per mezzo di tali contatti e networks (Adler & Know, 2002).
Tale capitale può rappresentare il viatico più efficace per avanzare nel proprio percorso di carriera perché in esso si potrebbero concretizzare quelle opportunità di carriera che nelle organizzazioni non si intravedono o non possono realizzarsi; le organizzazioni, dal canto loro, possono ricercare al loro interno come esternamente quelle risorse umane adeguate per le loro esigenze produttive.
Il “capitale umano” è incentrato sull’individuo e su fattori cruciali quali l’età e la formazione scolastico – professionale (Wanberg &al., 1996), la partecipazione a programmi di formazione e aggiornamento professionale ( Becker, 1975) e le performance lavorative oltre che la posizione organizzative ricoperta ( Forbes & Piercy, 1991). E’ quel capitale di cui non è possibile definire gli aspetti più specifici perché ciascun individuo si caratterizza, rispetto a quanto espresso, per valori differenti riferiti ai fattori che lo determinano.
La combinazione che ne scaturisce tra il capitale umano e sociale permette di creare uno spazio comune in cui sia l’individuo sia l’organizzazione perseguono il raggiungimento dei loro obiettivi di medio – lungo termine giungendo, in molti casi, a percorrere la stessa direzione di interessi.
Gli autori presentando questo modello hanno cercato di dare ordine e chiarezza ad un campo d’indagine in formazione ed in sviluppo. Essi affermano l’intento che future ricerche, partendo da esso, si concentrino sulle realtà organizzative e sull’analisi di quali fattori organizzativi possano determinare lo sviluppo dell’ employability e le decisioni dei lavoratori di muoversi tra più organizzazioni (Fugate et al., 2004): sostanzialmente comprendere il valore del ruolo svolto da esse e quello ricoperto dall’individuo.
Nel paragrafo che segue verrà esplicitato il modello dell’ Employability Orientation di van Dam (2004) che si sviluppa congiuntamente e parallelamente al modello teorico di Fugate et al. (2004), oggetto del presente lavoro di ricerca.