di FABIOGALGANI
Un mosaico di suoni e d’ambienti cir-conda il visitatore di questo particolare museo, l’unico in Italia, di organi antichi da chiesa. Collocato tra i più sacri muri di Massa Marittima (si tratta di S. Pietro all’Orto: la prima chiesa della città, sorta nel 1197 e oggi parzialmente recuperata), è stato aperto nel 2003 per raccogliere tre-dici organi provenienti da varie regioni italiane e costruiti tra il 1600 e il 1800, nonché fortepiani, pianoforti e un clavi-cembalo.
È sicuramente l’organo la macchina per far musica, che più di ogni altro stru-mento affascina per la sua valenza estetica e scientifica, per le sue maestose propor-zioni e per l’ineguagliabile sonorità,
con-nubio di matematica e bellezza. Schematicamente la produzione del suono avviene per mezzo di canne ali-mentate da aria inviata da una manticeria e regolata per mezzo di tasti. Le principa-li parti costitutive sono i mantici, i somie-ri, la consolle, le trasmissioni e le canne. Nel corso dei secoli sono stati costruiti strumenti di ogni dimensione, dai picco-lissimi e leggeri portatili medievali, con una ventina di canne, fino ad alcuni stru-menti, specie novecenteschi, a quattro-cinque tastiere e decine di registri, che superano le 10.000 canne.
Il sistema di trasmissione può essere meccanico, pneumatico, elettropneumati-co o elettromagnetielettropneumati-co. Gli organi esposti
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nel museo di Massa Marittima sono tutti meccanici, cioè il collegamento tra le varie parti costitutive avviene per mezzo di un sistema di tiranti, leve, squadre, assi rotanti.
La nascita di questo museo è tanto semplice quanto incredibile. Un uomo, Lorenzo Ronzoni, decide nel 2000 di chiudere un capitolo della sua vita per aprirne un altro. Andato in pensione con la scuola (insegnava lettere), si ritira anche dalla politica che l’aveva cooptato (consigliere comunale a Modena), deter-minato a vivere assecondando le proprie aspirazioni. Con la moglie parte alla ricerca di una nuova città nella culla del-l’arte che è la Toscana e sceglie Massa Marittima. Mette su casa e ottiene dal Comune in comodato d’uso la vecchia chiesa di San Pietro all’Orto, trasformata ai primi del Novecento in edificio scola-stico e sede di scuola elementare fino al 1978. Decide insieme alla moglie di restaurarla a sue spese e con questi lavori, durati tre anni, riporta alla luce bifore,
monofore, affreschi e il tetto a capriata, e ne fa sede di un museo ideale pronto ad ospitare la sua collezione di organi da chiesa, raccolti nel mercato dell’antiqua-riato fin dagli anni ‘60. Trasporta i suoi preziosi strumenti in questo ambiente, trasforma il museo in Fondazione senza scopo di lucro e apre al pubblico nel mese di giugno del 2003.
La peculiarità di questa istituzione è dovuta non solo alla rarità degli strumen-ti esposstrumen-ti, ma al fatto che è dotata di labo-ratorio di restauro, gestito personalmente dallo stesso Ronzoni, esperto, meticoloso e paziente artigiano, e che ai musicisti è consentito soffermarsi ed esibirsi sugli strumenti restaurati. Un vero museo “vivo”, in senso non metaforico, che coin-volge ed emoziona anche il visitatore ignaro che casualmente vi capita. In quale altro museo al mondo può accadere che a un violinista, o a un flautista sia consenti-to di consenti-toccare uno Stradivari, un Quantz e di poterlo addirittura suonare, con la stes-sa facilità con cui qui è possibile sedersi
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sullo sgabello di un organo Traeri o di un fortepiano Dörr?
Ma è nella stupenda rassegna di orga-ni positivi dal 1600 al 1800 che sta l’uorga-ni- l’uni-cità di questo museo. Strumenti prove-nienti da molte regioni italiane, di 8 e 4 piedi, che dimostrano, con la particolare sonorità del ripieno perché siano diventa-ti famosi in tutta Europa. Un ripieno di appena 4 o 6 file, molto spesso riassunto, eppure brillante e potente come i mae-stosi strumenti d’oltralpe. Belli ed elegan-ti nella parte alta sporgente e nelle canto-rie (in cornu Evangelii o in cornu Epistolæ), con cassoni nudi e semplici in quella inferiore contenente i mantici tirati a mano con due corde o due stanghe; una
piccola pedaliera a libro di appena nove note, collegata alla tastiera principale tra-mite cordicelle e da utilizzare come “terza mano”; una tastiera di appena 45 tasti, cioè di 4 ottave con la prima detta “corta”, cioè priva dei 4 semitoni iniziali. Eppur questo organo positivo, dipinto al centro del Concerto del Tintoretto nel Museo di Castelvecchio a Verona, con poche file separate di canne, ognuna delle quali afferente ad un’ottava o ad una quinta diversa, diventa, dal 1500, strumento ecclesiastico regolato nell’uso e nel suono da norme severe, capace di ispirare un repertorio musicale unico, codificato dal Banchieri (1567-1634) nelle sue tre edizioni dell’Organo Suonarino ed
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esaltato nell’opera musicale del ferrarese Girolamo Frescobaldi. Questo tipo di organo rimane pressoché invariato per due secoli, mentre in Europa si costrui-scono organi maestosi a tre, quattro tastiere, pedaliera indipendente, con 30-40 registri. In questo particolare museo massetano è possibile avere un contatto anche fisico, con tali straordinarie reli-quie della più alta cultura strumentale europea.
Anche per una singola persona, la visi-ta è guidavisi-ta. Di solito se ne occupa lo stes-so titolare che, iniziando col descrivere l’ambiente, riesce a coinvolgere sia il visi-tatore esperto che occasionale, sia gruppi organizzati, nonché studenti, conducen-doli in un percorso cronologico-didattico, che prende in esame ogni strumento.
Buon organista, pianista e clavicemba-lista, il prof. Ronzoni fa anche ascoltare il suono degli strumenti più significativi. Parlando bene alcune lingue europee, consente anche agli stranieri di poter usu-fruire della sua guida.
Oltre agli organi il museo espone numerosi esemplari di altri strumenti