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ERMENEUTICA E REALISMO

1. IL NUOVO DIBATTITO SUL REALISMO

In seguito ad alcuni articoli su Micro-Mega e sui quotidiani nazionali

Repubblica e Corriere della sera,1 Maurizio Ferraris ha riaperto tra i

filosofi italiani la questione del “realismo”.2 Tema quanto mai

importante, perché Ferraris è stato, insieme a Gianni Vattimo, il principale rappresentante della filosofia ermeneutica, intesa come legittima ed unica erede della “svolta linguistica” in filosofia, la quale ha interpretato il detto di Gadamer: “Sein, das verstanden werden

kann, ist Sprache”,3 ovvero “l’essere che può essere compreso è

linguaggio”, come la riduzione dell’essere a linguaggio, dando origine al cosiddetto “pensiero debole”, il cui motto è lo stesso di Nietzsche:

“Non esistono fatti ma solo interpretazioni”.4 Ora, secondo Ferraris, il

voler ridurre tutto ad interpretazione soggettiva, secondo il criterio ermeneutico del pensiero debole, e moltiplicando le interpretazioni, ha come conseguenza, contro le intenzioni iniziali di voler facilitare le libertà individuali, di finire di fatto per negarle, perché ha trasformato la realtà in “reality”, favorendo in tal modo il “populismo mediatico”: “Ciò che hanno sognato i postmoderni – scrive Ferraris – l’hanno

realizzato i populisti”;5 la fine delle “grandi narrazioni” (Lyotard), ha

prodotto le infinite narrazioni senza verità, di cui il populismo mediatico, generalista e superficiale, è l’espressione più palese.

Inoltre Ferraris precisa che “il postmoderno ha un cuore antico”,6

perché ha le sue radici prima nel trascendentalismo di Kant, secondo cui “noi non abbiamo mai a che fare con le cose in se stesse, ma sempre e piuttosto con fenomeni mediati, distorti, impropri, dunque

1 Cf. Ferraris 2011; Ferraris-Vattimo 2011. Cf. anche Ferraris 2012 e la risposta di

Vattimo 2012.

2 Sono intervenuti nel dibattito: Severino 2011; De Caro 2011; Flores D’Arcais 2011;

Rovatti 2011; e infine Putnam 2011; Gabriel 2012; Recalcati 2012.

3

Gadamer 1993, p. 334; tr. it. 1996, p. 478.

4 Nietzsche 1975, p. 299.

5 Ferraris 2012, p. 6.

virgolettabili”,7 e poi nel prospettivismo di Nietzsche. La realtà, ridotta a puro prodotto di una libera e soggettiva interpretazione, diviene prigioniera di una “rivoluzione desiderante”, in cui si smarrisce ogni criterio di vero e di falso, di bene e di male, a favore di un generale relativismo veritativo ed etico.

Di conseguenza Ferraris propone un ritorno alle origini del pensare filosofico, ovvero un ritorno all’ontologia, da fondarsi principalmente sul riconoscimento dell’“l’esistenza di un mondo esterno […] rispetto alla nostra mente, e più esattamente rispetto agli schemi concettuali con cui cerchiamo di spiegare e interpretare il

mondo”.8 Con ciò Ferraris non propone un semplice ritorno al

“realismo ingenuo” ed alla ripresa della nozione della verità come semplice adaequatio rei et intellectus, giacché “il realista non si limita a dire che la realtà esiste. Sostiene una tesi che i costruzionisti

negano, ossia che non è vero che essere e sapere si equivalgono”.9

In effetti Ferraris ha di mira soprattutto la pretesa dell’epistemologia contemporanea di far coincidere la realtà con i nostri “apparati percettivi” e “schemi concettuali”:

è chiaro che per sapere che l’acqua è H2O ho bisogno del linguaggio, di schemi e categorie. Ma che l’acqua sia H2O è del tutto indipendente da ogni mia conoscenza,

tant’è che l’acqua era H2O anche prima della nascita della chimica […]. 10

Distinguendo epistemologia ed ontologia, Ferraris in ultima analisi intende rivalutare, di contro alla “certezza” delle conoscenze scientifiche, la “verità” della conoscenza filosofica: “la certezza da

sola non basta, ha bisogno della verità, cioè del sapere”.11

Contro la rinnovata e diffusa “tentazione del realismo”, Vattimo risponde a Ferraris rivendicando l’assunto ermeneutico del “pensiero debole”, che ha inteso “liquidare la realtà con le virgolette, la pretesa neutralità e definitività di ciò che è, del “dato”, cominciando a scoprire chi è che dà. […] Così per Heidegger, chi dà, nel dar(si) della realtà,

è l’Essere”.12 E poiché l’Essere di Heidegger non è un oggetto

determinato, ma un evento, ad esso ci si può avvicinare non mediante

7 Ivi, p. 11. 8 Ivi, p. 48. 9 Ivi, p. 45. 10 Ivi, p. 30. 11 Ivi, p. 105. 12 Vattimo 2012, p. 14.

la gnoseologia del “rispecchiamento”, ma unicamente nel cammino dell’ascolto ermeneutico. Per questo Vattimo scrive che “chi rivendica i diritti del realismo, o della metafisica come rispecchiamento conoscitivo e pratico della verità oggettiva dell’Essere, è un

interlocutore altrettanto interpretante di chiunque altro”.13 In altri

termini, anche la filosofia che rivendica il primato della realtà è dunque un’interpretazione, mentre sostenere che “ogni esperienza di verità sia interpretazione non è a sua volta una tesi descrittivo- metafisica, è un’interpretazione che non si legittima pretendendo di

mostrare le cose come stanno”.14 Ciò peraltro, precisa Vattimo,

non significa non avere più criteri di verità, ma solo che questi criteri sono storici e non metafisici; certo non più legati all’ideale della ‘dimostrazione’, ma piuttosto orientati alla persuasione – la verità è affare di retorica, di accettazione condivisa […]. Dunque alla base della verità come evento (non rispecchiamento eccetera) c’è

la pluralità degli interpreti e il loro accordo o disaccordo.15

Occorre lealmente riconoscere che c’è un elemento di verità nella tesi di Vattimo, e che, al di là dei suoi fondamenti teoretici, è opportuno

prendere sul serio: “Verità si dà quando ci mettiamo d’accordo”.16

L’istanza del dovere di ascolto delle ragioni degli altri, letta in chiave gadameriana, fa parte della phronesis ermeneutica, ma anche della filosofia classica – socratica e platonica – del dovere del dialogo. Anche se ciò, come riconosce lo stesso Vattimo, avviene molto più raramente di quanto suppongano i teorici dell’agire comunicativo come Apel e Habermas. Vattimo conclude pertanto con la tesi secondo cui il “nuovo realismo” non sfugge all’accusa di riprendere la vecchia tesi del “rispecchiamento”.

Vittorio Possenti si è inserito in questo dibattito con il saggio Il

realismo e la fine della filosofia moderna (Armando, Roma 2016),

ultimo di una serie di importanti studi che rendono attuale la proposta

maritainiana.17

13 Ivi, p. 89. 14 Ivi, p. 217. 15 Ivi, p. 219. 16 Ivi, p. 224. 17 Cf. Possenti 1996; Possenti 2015.