Capitolo Secondo
2.3 Il Pamphlet sulla Convenzione dell’Aja redatto dal MOFA
Il sopracitato pamphlet riguardante la Convenzione dell’Aja, e redatto dal MOFA (Ministry of Foreign Affairs) ha scatenato non poche polemiche da parte degli stranieri residenti in
Giappone e delle associazioni di left-behind parents, con accuse di xenofobia1 3 3.
La brochure,1 3 4 disponibile in giapponese e in inglese, redatta in stile fumetto, in copertina
mostra un papà giapponese che spiega a suo figlio haāfu di che cosa parla la Convenzione. Le immagini ritraggono: una mamma giapponese disperata perché un padre straniero le porta via la figlia, una bambina discriminata in Occidente dai suoi compagni (tutti biondi e col naso grosso, a differenza sua), una madre giapponese a corto di soldi che si preoccupa per la figlia, un genitore giapponese fermato dalla polizia, ed un genitore occidentale violento nei confronti della figlia.
Come inizio, effettivamente, non si può dire che gli stranieri siano raffigurati benevolmente, ma per non fermarsi alle prime impressioni, è bene proseguire l’analisi.
Nel pamphlet, un papà giapponese spiega al figlio come funziona la Convenzione, illustrando il primo caso: una mamma giapponese si sposa con un occidentale, raffigurato tramite lo stereotipo: biondo, naso lungo, occhi blu (questo è per l’appunto lo stereotipo dell’Occidentale, ma i burocrati nella stesura sono stati incuranti del fatto che esistono
gaijin135 asiatici e non solo biondi). “La sottrazione di minore è, per esempio, nel caso in cui
una coppia mista non vada più d’accordo e un genitore porti il figlio all’estero senza il consenso dell’altro. Il bambino rapito finisce in un altro paese, lontano dall’ambiente e dalla lingua familiare, dal genitore lasciato indietro, e dagli amici.” spiega il papà, con le immagini che mostrano il genitore occidentale che se ne va con la bambina lasciando la madre giapponese disperata, e la bambina all’estero sotto lo sguardo di tutti gli occidentali cattivi. Grazie alla Convenzione, la bambina può finalmente tornare felicemente dalla madre in Giappone.
Per spiegare cosa succede se non si è parte della Convenzione, il padre dice “Non si può chiedere che un bambino portato via dal Giappone torni indietro. I genitori giapponesi devono confrontarsi con leggi e culture diverse, trovare il luogo in cui il figlio è stato portato, e richiedere il suo ritorno ad un tribunale straniero! Allo stesso modo, i genitori stranieri a cui il figlio è stato portato in Giappone non riescono a richiedere il suo ritorno e perciò
1 33 Per leggere alcuni articoli di protesta: http://www.japantrends.com/japans-ministry-of-foreign-affairs-
racist-pamphlet-hague-convention-child-abduction/ ,
https://www.japantimes.co.jp/community /2014/10/08/issues/biased -pamphlet-bodes-ill-left-behind- foreign-parents-outside-japan/#.WuXz7npubIU
1 34http://www.mofa.go.jp/mofaj/files/000033409.pdf 1 35 Stranieri, termine usato per indicare i non giapponesi.
diventa difficile rivedersi.” Il papà, in questa scenetta, è raffigurato come un otaku136 che
spiega al figlio la situazione con l’uso di una action figure (reiterando l’immagine degli inoffensivi genitori giapponesi).
Alla pagina seguente, il papà spiega che una sua amica giapponese si è sposata con un uomo americano (e qui, di nuovo, un uomo biondo con gli occhi azzurri), ma non andando d’accordo ha preso il bambino e l’ha portato in Giappone, e tramite l’autorità centrale sono iniziate le sedute di mediazione che decideranno la sorte del bambino. A quel punto, il figlio ipotizza “ma se Daniel (il papà americano) fosse violento con il figlio? Lo si dovrebbe comunque riportare in America?”. Dopo alcune vignette in cui il papà spiega l’articolo 13 della Convenzione, e il fatto che sia eventualmente il tribunale americano a decidere a chi affidare il minore, il figlio chiede “Ma allora non sarebbe stato meglio se la mamma giapponese non avesse sottratto il bambino e si fosse rivolta subito al tribunale americano?” ed il papà giustifica “Si però nelle famiglie non è così facile decidere cosa fare, ci sono tante motivazioni dietro, tipo la cultura, le differenze linguistiche, la complessità delle procedure legislative… Di sicuro non è bello sottrarre i figli e non farli più vedere ad un genitore, se io ti perdessi sarei estremamente triste”. Sostanzialmente, fino ad ora la parte giapponese è sempre ritratta come vittima innocente degli abusi della controparte occidentale, e anche nel caso in cui sia un giapponese a commettere l’illecito, si pensa prontamente a giustificarlo con la questione culturale o linguistica (che sembra però non essere applicata nei confronti degli occidentali mostrati finora).
La prossima scena reitera il pattern mostrato fin qui. Il papà giapponese torna a casa il giorno dopo e trova la casa vuota: la moglie francese si è portata via il figlio. I l papà giapponese perciò si rivolge all’autorità centrale per ricevere aiuto, e l’autorità centrale provvede rapidamente a fornirgli le informazioni sull’indirizzo della moglie e dei consigli sugli avvocati a cui rivolgersi. Per fortuna, la moglie Marie è disposta a collaborare: al loro incontro, lamenta che il papà giapponese sia un otaku e che le pareva che lui si stesse dimenticando di lei e del figlio. Come risultato, la coppia torna felicemente in Giappone. Anche in quest’ultimo caso il cittadino giapponese è la povera vittima indifesa alla mercé dell’occidentale di turno. Non solo, Marie sottrae il bambino per una ragione totalmente futile (il padre troppo impegnato con fumetti e cartoni animati), come se fosse una donna volubile e capricciosa. Anche qui, il papà giapponese è totalmente innocuo nei confronti della famiglia, e non si menziona neanche lontanamente una possibile violenza domestica.
Finite le scenette esplicative con protagonista la famiglia mista, la brochure va avanti a spiegare alcune casistiche. Con poco stupore, la prima raffigurata è il papà occidentale con faccia malvagia che rapisce la figlia (ritratta con volto impaurito al pensiero di andarsene) dal Giappone, e la mamma giapponese triste. La scenetta a fianco, mostra il caso opposto, ma con lieve diversità espressiva: il papà occidentale è perplesso difronte al rapimento della figlia, non proprio triste, mentre la mamma che la rapisce non ha il volto cattivo, e la bambina non è neanche troppo spaventata. Il terzo caso spiega come per una donna giapponese che vive all’estero sia più facile tornare in vacanza in Giappone con i figli: grazie alla Convenzione il marito non deve aver paura che lei sottragga il figlio, perciò sarà più facile che le conceda le vacanze in Giappone. Anche qui si reitera il pattern di prima: donne giapponesi deboli, sposate con uomini occidentali autoritari da cui si vedono negate il ritorno in patria.
Nell’ultima sezione, quella delle FAQ, le domande sono accompagnate da alcune vignette. Alla domanda “Ma la Convenzione si applica anche alle sottrazioni avvenute prima della ratifica?” si può vedere una mamma occidentale che sottrae il figlio.
La domanda seguente “Come bisogna fare se il proprio figlio viene sottratto inconsapevolmente?” vediamo di nuovo il papà occidentale cattivo che porta via la bambina spaventata.
Alla domanda “Vorrei sottrarre mio figlio e portarlo in Giappone, ma se torno nell’ex paese di residenza posso incorrere in qualche rischio?” vediamo un’inconsapevole ed innocuo papà giapponese accalappiato dalla polizia.
La domanda seguente chiede come fare in caso di violenza domestica: di nuovo appare la vignetta con il papà occidentale che picchia la figlioletta mentre la rassicurante mamma giapponese la aspetta in Giappone.
La brochure si chiude con il papà giapponese e il figlioletto che auspicano che i Paesi che hanno ratificato la Convenzione aumentino nel tempo, seguiti dai recapiti dell’autorità centrale giapponese e dei tribunali.
Non è quasi necessario rimarcare come in tutta la brochure si perpetri l’ideale che il bambino che esce dal Giappone sia necessariamente triste, mentre il rientro in Giappone (e talvolta la sua sottrazione) siano il rimedio verso gli abusi perpetrati in Occidente. Velatamente si vuol far passare il messaggio che la Convenzione serva a riportare i bambini in Giappone, piuttosto che a riportarli in Occidente qualora fosse il caso.
I genitori giapponesi innocui e innocenti non sono mai una minaccia nei confronti del bambino, e anche quando sottraggono lo fanno a fin di bene. Quando è il genitore
occidentale a sottrarre, però, le motivazioni sono scarse ed egoistiche e il bambino ritorna in Giappone (il Paese dove dovrebbe essere). Quando si profila l’eventualità che il minore sia vittima di violenze, non è mai il genitore giapponese a perpetrarle, ma sempre quello occidentale.
Anche qui ritorna la nozione riscontrata da Bryant già menzionata nel capitolo 1, per la quale il bambino figlio dei matrimoni misti deve crescere in Giappone, e deve essere data la priorità alla sua identità giapponese a discapito di quella straniera, in quanto il Giappone è il Paese dove senz’altro egli si troverà meglio.