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IL PETROLIO E LA SICUREZZA INTERNAZIONALE

Il petrolio è una fonte contraddistinta da un’altissima territorialità: essa è inscindibilmente legata al territorio in cui viene estratta e a quello attraverso il quale viene trasportata. Poiché i bacini petroliferi sono geograficamente molto concentrati e generalmente distanti dal luogo di consumo, il petrolio deve, nella maggioranza dei casi, essere trasportato per lunghi tragitti, attraverso Stati terzi rispetto al Paese di estrazione e di destinazione. La sicurezza degli approvvigionamenti di greggio, dunque, non dipende esclusivamente dalla localizzazione geografica dei giacimenti, ma anche dalla sicurezza dell’intera regione di riferimento, intesa come combinazione della stabilità dei Paesi fornitori, dei Paesi di transito e dei Paesi di destinazione.

2.1.1 I giacimenti e i Paesi di estrazione

La distribuzione dei giacimenti di petrolio nel Mondo è l’elemento chiave della geopolitica di questa risorsa energetica.138 Il 61% delle riserve mondiali si trova in Medio Oriente e precisamente in Arabia Saudita (21%), Iran (11,2%), Iraq (9,3%), Kuwait (8,2%) ed EAU (7,9%). Al di fuori del Medio Oriente solo Venezuela (7%) e Russia (6,4%) possiedono riserve di comparabile grandezza.139

Tale concentrazione nell’area mediorientale ha concorso a determinare una perdurante instabilità nella regione, dovuta anche alla costante presenza e influenza di Paesi stranieri, prima con il sistema dei mandati, poi con l’azione di grandi compagnie

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Nella geopolitica del petrolio vengono considerati, per ovvie ragioni, solo i giacimenti le cui risorse rientrano nel conteggio delle riserve economicamente estraibili.

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Seguono con notevole distacco Libia (3,3%), Kazakistan (3,2%), Nigeria (2,9%), Stati Uniti (2,4%), Canada (2,2%) e Qatar (2,2%). Per ulteriori approfondimenti si veda AA.VV., BP Statistical Review of World energy June 2008, Op. cit..

petrolifere e di finanziamenti mirati ad assicurare politiche locali concilianti, approvvigionamenti sicuri e a prezzi agevolati. Questa instabilità ha avuto ripercussioni anche sulle forme di governo dei Paesi mediorientali e, in generale, di tutte le aree che presentano risorse petrolifere di rilievo.

Il Golfo Persico, ad esempio, è una zona a forte instabilità, che è stata teatro di numerose guerre e che è tutt’ora agitata da conflitti etnico-religiosi, nonché da diversi contenziosi (si pensi alla questione del programma nucleare iraniano). Tale zona, seppur relativamente limitata a livello geografico, costituisce l’asse portante del sistema petrolifero mondiale e in essa si concentra il 65% delle riserve.140 Tuttavia, l’attuale capacità produttiva di questa regione è di soli 21 milioni di bbl/g, praticamente invariata dagli anni ’70, valore che copre appena il 30% della domanda mondiale. La distanza tra riserve e capacità produttiva è dovuta a 30 anni di limitazione dello sviluppo, di chiusura agli investimenti esteri e quindi di rinuncia alle tecnologie più avanzate in possesso delle grandi compagnie internazionali. La scelta di procedere ad una nazionalizzazione delle concessioni petrolifere e ad una chiusura agli investimenti esteri che ha caratterizzato l’area del Golfo ed è stata vissuta da questi Paesi come una sorta di affrancamento dal controllo straniero, ha avuto un impatto disastroso sulla produzione petrolifera. Tale scelta, pertanto, negli ultimi anni è stata rimessa in discussione.141

Ulteriore zona di grande interesse dal punto di vista energetico è quella del Mar Caspio, su cui si affacciano Azerbaijan,142 Kazakistan e Turkmenistan, nonché Russia e Iran. Il contenzioso in merito alla suddivisione delle acque (e dei relativi giacimenti) del Caspio è, a tutt’oggi, un problema irrisolto, per la cui soluzione vengono considerate diverse

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Nello specifico l’area comprende: l’Arabia Saudita, 25% delle riserve al mondo, capacità produttiva di 10 milioni di bbl/g, greggio ad alto contenuto di zolfo, per il 50% leggero; l’Iran, secondo per riserve, capacità produttiva pari a 3,5 milioni di bbl/g, greggio simile a quello saudita, detiene anche ingenti riserve di gas naturale, seconde al Mondo dopo quelle russe; l’Iraq, terzo per riserve, detiene i costi di produzione più bassi al mondo (2$/bbl), escluso per anni dalle decisioni OPEC a causa delle sanzioni impostegli dall’ONU in seguito all’invasione del Kuwait, deve a queste e alla precedente guerra di otto anni con l’Iran la ridottissima capacità produttiva - detiene greggio qualitativamente simile a quello Saudita; il Kuwait, con riserve pari a quelle degli EAU, in ripresa dopo l’invasione irachena del 1990, ha una capacità produttiva di 2 milioni di bbl/g. L. Maugeri, Petrolio, Op. cit. p. 158-161.

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Non è in discussione solo la possibile riapertura, ma anche la modalità di questa: l’Iran concede solo contratti di servizio alle compagnie straniere, l’Arabia Saudita ha scelto una riapertura solo per quanto riguarda il downstream, l’Iraq aveva proposto contratti vantaggiosi fino al 2000 per poi cambiare atteggiamento. Il problema dell’apertura è rappresentato, soprattutto, dal rischio molto elevato dell’avvio di una spirale competitiva interna al Golfo, che porterebbe ad un crollo dei prezzi.

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L’Azerbaijan ha da sempre rappresentato la principale fonte di approvvigionamento di petrolio per la Russia, fin dai tempi dello Zar, ma lo sfruttamento intensivo delle risorse del Paese ha provocato danni all’ambiente e ai giacimenti.

ipotesi, nelle quali, comunque, il nodo cruciale rimane la questione di come esso debba essere considerato giuridicamente, se un mare o un lago.143

L’interesse per questa regione è stato risvegliato dall’invasione irachena del Kuwait, che ha comportato che tale area venisse presa in considerazione come un’alternativa alla centralità petrolifera del Golfo Persico, soprattutto in ragione delle prime stime sulle sue potenzialità, che quantificano le riserve con cifre pari a quelle saudite. Di recente, tuttavia, tali stime sono state ampiamente ridimensionate e l’attenzione si è spostata verso il solo Kazakistan, che sembrerebbe offrire maggiori potenzialità, soprattutto dopo la scoperta del giacimento supergigante di Kashagan.

In generale, tali giacimenti, però, presentano un aspetto di criticità comune legato ai costi di estrazione (6-8$/bbl contro i 3-4$/bbl del Golfo Persico) ed ai successivi costi di transito (tasse e royalties) necessari per raggiungere il Mediterraneo.

A livello mondiale, inoltre, l’Africa occidentale, così come il Brasile e il Messico, hanno giacimenti off-shore in acque profonde che, tuttavia, oltre ad avere alti costi di estrazione, sono afflitti da complicazioni fra cui le altissime pressioni, le forti correnti o la presenza di batteri che a contatto con gli idrocarburi li renderebbero inutilizzabili. I Paesi africani principalmente interessati dalla presenza di riserve energetiche sono Congo, Nigeria e Angola, Paesi segnati da profondi conflitti interni. In Congo, ad esempio, è tutt’ora in corso una guerra civile decennale che ha coinvolto anche altri Stati (Ruanda e Uganda, in particolare) e che nasconde dietro i complessi conflitti etnici anche interessi legati alle ricchissime risorse petrolifere e minerarie congolesi. In Nigeria, il dilagare della guerra civile e il sorgere della formazione armata “Movimento per la Liberazione del Delta del Niger” (Mend), hanno determinato un costante aumento

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“Se si considera il Caspio un mare, per la suddivisione delle sue acque si fa riferimento alla Convenzione Internazionale sui Diritti del Mare, secondo cui ciascuno Stato esercita la propria sovranità entro il limite delle 12 miglia dalla costa (acque territoriali) e oltre tale limite le acque si suddividono in base alle linee mediane, equidistanti dai confini degli Stati rivieraschi. Tale interpretazione favorirebbe soprattutto Azerbaijan e Kazakhstan nell’attribuzione delle riserve finora scoperte. Qualora invece il Caspio venisse considerato un lago di frontiera internazionale, ciascuno Stato costiero avrebbe un diritto limitato a poche miglia ed il mare aperto sarebbe a disposizione di tutti gli Stati congiuntamente: le acque sarebbero gestite in condominio. Dopo circa 15 anni di negoziati, Russia, Azerbaijan e Kazakhstan hanno raggiunto un’intesa sull’applicazione della linea mediana. Ma tale principio lascerebbe all’Iran solo il 13% delle acque del Caspio, contro l’ipotesi del “lago” che attribuirebbe il 20% delle acque a ciascuno dei cinque Stati. Il Turkmenistan tentenna: con l’Iran riconosce lo status di lago, con il Kazakhstan applica la linea mediana e con l’Azerbaijan non ha ancora trovato un accordo”. M. Borracino, Geopolitica degli approvvigionamenti energetici dal Caucaso e dall’Asia Centrale, aprile 2007, accessibile al sito http://geopoliticalnotes.files.wordpress.com/2007/06/manuela-borraccino.pdf .

degli attacchi terroristici ai danni delle compagnie petrolifere, mentre l’Angola è reduce da una lunghissima guerra civile.

Per quanto attiene il continente americano, il Venezuela, Paese che detiene ingenti risorse petrolifere (in gran parte greggi molto pesanti) ed è il principale fornitore di petrolio degli Stati Uniti, è caratterizzato da una notevole instabilità interna. Il Presidente Ugo Chàvez, infatti, ha costretto, dietro minaccia di espulsione, le imprese estere a rinegoziare i contratti a favore della compagnia di Stato, o a cedere il controllo azionario e operativo delle attività petrolifere, specie nella cintura dell’Orinoco. Nel compiere queste azioni egli ha imitato e preso ispirazione da quanto attuato in Bolivia dal Presidente Evo Morales, che ha nazionalizzato ed espropriato le imprese straniere. Altro Paese strategico dal punto di vista delle risorse energetiche è la Russia, la cui industria petrolifera, dopo una caduta della produzione in concomitanza con il crollo dell’Unione Sovietica e una fase di relativo dissesto, si è ripresa ed è attualmente in piena espansione. Tale Paese è stato recentemente protagonista di diverse questioni estremamente rilevanti in termini di geopolitica dell’energia, non ultime quelle relative ai contenziosi con la Georgia per le vie di trasporto o al problema dei giacimenti nel Mar Glaciale Artico (di recente la Russia ha, infatti, avanzato pretese sui possibili giacimenti presenti in quest’area).144

A livello generale, inoltre, si può affermare che la presenza di riserve petrolifere nel territorio di uno Stato, sebbene spesso sembri nuocere alla stabilità dello stesso (eccezione fatta per i Paesi altamente sviluppati e con una solida tradizione democratica come Stati Uniti, Gran Bretagna o Norvegia), offre a questo un’arma politica insostituibile: la cosiddetta condizionalità politica. Infatti, tali Stati possono, in qualunque momento, usare la minaccia di restrizioni alle forniture o di un loro dirottamento verso altre destinazioni, per far muovere gli Stati acquirenti, inducendoli a concedere finanziamenti, aiuti allo sviluppo, garanzie di preferenze commerciali o simili.145

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La controversia riguardo allo status giuridico del Caspio non viene considerata in quanto parzialmente appianata nel 2006.

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Si ricorda, in merito, la politica statunitense in Medioriente durante le amministrazioni Truman e Eisenhower, in particolar modo l’intervento nella crisi iraniana, nella formazione del Patto di Baghdad, nella crisi di Suez e nella politica dell’Etiopia di quegli anni. Sia con Nasser che con l’Etiopia gli aiuti allo sviluppo (diga di Assuan e forniture militari) sono stati utilizzati per garantire un rapporto preferenziale e la sicurezza degli approvvigionamenti. Da A. Donno, Ombre di guerra fredda, gli Stati Uniti nel Medio Oriente durante gli anni di Eisenhower (1953-1961), Edizioni Scientifiche italiane, Napoli, marzo 1998.

La condizionalità politica, comunque, può essere applicata in entrambi i sensi: sia, come detto, dai produttori, vincolando l’accesso alle proprie risorse da parte delle compagnie petrolifere straniere all’accettazione di quote di produzione imposte, o di altri vincoli di prezzo; sia dagli acquirenti, vincolando l’acquisto di forniture al rispetto di determinati standard minimi in fatto di diritti umani e democratici. L’obbligo imposto dagli acquirenti viene, tuttavia, spesso ignorato se confliggente con interessi energetici primari. Il vincolo posto dai produttori, invece, è stato ampiamente applicato e sfruttato, soprattutto verso la fine degli anni ’70, dalla maggioranza dei Paesi OPEC, che hanno optato per una chiusura della propria industria petrolifera agli investimenti stranieri. Tale decisione è stata presa come forma di protesta contro le accise troppo elevate imposte dagli Stati acquirenti sui prodotti petroliferi e contro l’operato delle stesse compagnie petrolifere. Alla luce di tale chiusura, i Paesi acquirenti hanno dovuto rivolgere i propri investimenti verso altre aree (è grazie a questa necessità, comunque, che sono stati esplorati e trivellati numerosi giacimenti nel Caspio, in Africa occidentale, in Cina e in America Latina).

2.1.2 I Paesi di transito e di destinazione

Nella valutazione degli aspetti connessi alla sicurezza energetica, per ottenere un quadro del livello di sicurezza di un’intera regione, è fondamentale tener conto, oltre che delle variabili connesse a diversi fattori legati ai Paesi produttori, anche al ruolo ed alla situazione dei Paesi di transito. Questi ultimi, infatti, richiedono il pagamento di royalties per il passaggio sul proprio territorio e, possono, come detto, rappresentare una minaccia alla sicurezza degli approvvigionamenti, ad esempio quando siano interessati da conflittualità interne o quando un’imprevista domanda a livello nazionale determini la sottrazione di parte delle forniture in transito. I Paesi produttori e quelli acquirenti, in particolare, per garantirsi buoni rapporti con i Paesi di transito, spesso concedono a questi ultimi finanziamenti, aiuti allo sviluppo e preferenze commerciali.

I flussi commerciali di greggio si diramano prevalentemente da Russia, Medio Oriente, Mare del Nord, Maghreb, Africa occidentale, Venezuela, Messico, Nord America e Malesia e confluiscono, per la maggior parte, verso Europa e Nord America e, in proporzione minore, verso la Cina, che gode di consistenti risorse proprie.

La sicurezza regionale che interessa gli approvvigionamenti verso gli Stati Uniti è molto buona: essa si fonda sulla produzione di Messico, Canada e Venezuela, con problemi di trasporto pressoché nulli, grazie ad una rete di oleodotti capillare e a distanze molto ridotte. Poco problematiche sono, altresì, le forniture provenienti dall’Africa (Nigeria, Congo e Maghreb) e dal Mare del Nord. È invece estremamente delicato il trasporto del petrolio proveniente dal Medio Oriente: esso è subordinato, oltre che alla stabilità dei Paesi fornitori, anche alla possibilità di utilizzare la rotta che attraversa il Canale di Suez, il Mediterraneo, lo Stretto di Gibilterra e l’Oceano Atlantico. Il punto critico di tale rotta è, come noto, il Canale di Suez, che potenzialmente (anche se le possibilità sono molto scarse) potrebbe essere chiuso, attaccato, o bloccato, rendendo inutilizzabile l’intera rotta.

La Cina, dal canto suo, divenuta negli ultimi due decenni il sesto Paese produttore al Mondo e il terzo consumatore, non deve affrontare rilevanti problemi di sicurezza delle rotte di approvvigionamento. Infatti, data la sua posizione geografica, non ha difficoltà a reperire risorse: può utilizzare quelle di Russia, Iran, Uzbekistan e Malesia. Qualche problema può essere rappresentato dalle forniture saudite, che devono attraversare l’Oceano Indiano (rotta non sicura anche in ragione della presenza di pirati) o diversi Paesi di transito, via oleodotto. Inoltre, il suo ruolo di Paese egemone della regione le permette di ottenere facilmente le forniture desiderate.

I Paesi di destinazione dei flussi petroliferi sono, comunque, quelli più interessati dagli aspetti connessi alla sicurezza degli approvvigionamenti e, pertanto, devono sviluppare una strategia basata su più punti per assicurarsi forniture certe, durature e convenienti: - diversificazione delle fonti, per limitare gli effetti dello shock causato dalla

mancanza di una componente del mix energetico;

- differenziazione dei Paesi fornitori per ciascuna fonte, così da limitare le conseguenze di una crisi interna ad un singolo Paese fornitore;

- diversificazione delle vie di trasporto, in modo da contenere i danni legati all’impossibilità di utilizzo di una singola struttura (oleodotto, stazione di pompaggio, rigassificatore o altre) o di un’area geografica precisa (ad esmpio un valico, uno stretto);

- acquisizione di imprese, assets minerari, partecipazioni, diritti minerari nei Paesi fornitori;

- azione sui Paesi fornitori e di transito per assicurarsi una politica favorevole, grazie a buone relazioni politico-diplomatiche, accordi politici, partnerships, privilegi di carattere commerciale e un rilevante sostegno economico.

2.1.3 L’approvvigionamento energetico in Europa

Il sistema Europeo di approvvigionamento energetico è particolarmente complesso. In esso si intrecciano diverse variabili: una domanda molto elevata, un numero notevole di Paesi tra cui deve essere ripartita la domanda, una ridotta produzione propria, regole comuni in tema ambientale, di importazioni e di mercato energetico, diversi Paesi fornitori fra i quali suddividere l’offerta, nonché differenti possibilità di trasporto da parte di ciascun Paese.

L’Europa si rifornisce di petrolio (greggio e derivati) da cinque aree produttive: Mare del Nord, Russia, area del Caspio, Medio Oriente e Maghreb, cui si aggiungono altre due zone più lontane, che garantiscono, complessivamente, meno del 10% delle forniture: Venezuela e Africa occidentale. Nel dettaglio:

- la produzione dei giacimenti off-shore del Mare del Nord appartiene a Norvegia, Regno Unito e Danimarca e viene convogliata, sia via oleodotto che via nave, verso questi Paesi, nonché verso Germania, Olanda, Belgio e Francia. Le riserve del Mare del Nord sono esigue (15 miliardi bbl), la produzione complessiva è di 210 milioni di tonnellate146 e viene destinata per i due terzi al mercato europeo e per il terzo restante ai mercati statunitense e canadese;

- per l’Europa i principali fornitori di petrolio sono la Russia e i Paesi che si affacciano sul Caspio: 330 milioni di tonnellate l’anno estratti da riserve di 120 miliardi di barili, che garantiscono 27 anni di produzione ai tassi correnti. Un tale volume fa dell’Europa anche il principale importatore di petrolio russo e centrasiatico, ponendo le forniture dirette verso Cina e Stati Uniti in secondo piano (20 milioni di tonnellate l’anno ciascuna). Al riguardo, va sottolineato come la Russia abbia stretto legami commerciali con l’Europa solo in seguito al crollo dell’Unione Sovietica e alla conseguente crisi che ha investito il Paese. Per

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Ovvero 4,5 milioni bbl/g, ridotta in termini assoluti, ma, comunque, sostenuta rispetto alle riserve, cui garantisce una produzione di altri 10 anni circa. AA.VV., BP Statistical Review of World Energy, June 2008, Op. cit.

sopravvivere al dissesto in cui verteva la propria industria petrolifera, Mosca ha preferito indirizzare le proprie esportazioni verso mercati solvibili piuttosto che verso le ex Repubbliche sovietiche. Tale tendenza si è accentuata nel tempo, soprattutto nel settore del gas ed è alla base della rinascita dell’industria energetica russa e della crescita dell’economia interna (nonché della relativa domanda di energia);

- l’Europa importa dal Medio Oriente circa 150 milioni di tonnellate annue. Il peso delle importazioni da quest’area era maggiore prima degli shock petroliferi che hanno, ovviamente, portato i Paesi europei a rivolgere la propria attenzione altrove, in particolare verso i più sicuri giacimenti del Mare dal Nord e del Caspio e poi della Russia;

- dal Maghreb l’Europa importa circa 100 milioni di tonnellate di petrolio l’anno provenienti, in particolare, da Libia e Algeria. I rapporti europei con questi due Stati, inizialmente tesi, soprattutto nella fase postcoloniale, sono oggi generalmente abbastanza sereni e le loro forniture godono di un buon grado di affidabilità;

- l’Africa occidentale fornisce al mercato europeo una fetta molto marginale di risorse (40 milioni di tonnellate di petrolio l’anno), di solito utilizzata per coprire eventuali fluttuazioni della domanda, così come quelle provenienti dal Venezuela (20 milioni di tonnellate l’anno).

Per quanto attiene alle vie di trasporto e di transito, il petrolio del Mare del Nord giunge verso le coste britanniche, norvegesi e danesi tramite oleodotti sottomarini, quindi viene raffinato e distribuito sul mercato interno, ovvero trasportato via nave verso altri acquirenti del mercato europeo. È in progetto la costruzione un oleodotto centrale che, attraversando il Mare del Nord, connetta i singoli oleodotti, raggiunga le coste francesi e, successivamente, il sistema di oleodotti europeo. La stabilità del mercato europeo e i rapporti distesi tra i Paesi che lo compongono, determina l’assoluta assenza di criticità geopolitiche in merito.

Il petrolio proveniente dal Medio Oriente e dal Maghreb, invece, giunge attraverso molti oleodotti fino alle coste di Siria, Libano, Israele ed Egitto, nonché di Libia, Tunisia, Algeria e Marocco, ma da lì non vi sono alternative al trasporto, se non l’uso delle navi. Non esistono, infatti, per il momento, oleodotti che attraversino il Mediterraneo. Vi sono

però in progetto diversi oleodotti sottomarini: due che dovrebbero collegare la Turchia alla Siria e all’Egitto, tre che dovrebbero collegare l’Italia alla Libia, alla Tunisia e all’Algeria, altri due che dall’Algeria dovrebbero arrivare in Francia e Spagna, nonché uno che dal Marocco dovrebbe attraversare lo stretto di Gibilterra e l’Andalusia fino ad arrivare in Portogallo.

La situazione è molto più complicata per quanto riguarda il petrolio in arrivo dalla Russia e dal Caucaso. Gli oleodotti che collegano queste aree al mercato europeo sono: - l’oleodotto “della Fratellanza”,147 alimentato dal greggio del bacino della Siberia

occidentale che da Samara, in Russia, si biforca, da un lato verso il porto di Odessa e dall’altro verso la Bielorussia. Il ramo che arriva nel sud della Bielorussia si dirama successivamente in tre direttrici: una che va verso il porto di Ventspils in Lettonia, una rappresentata dal Northern Druzhba, che attraversa Polonia e Germania fino al porto di Rostock e la terza che, tramite il Southern Druzhba, attraversa l’Ucraina, costeggia il confine slovacco-ungherese, risale in Repubblica ceca e termina in Germania, a Karlsruhe. Dal Southern Druzhba si divide, poi, un altro ramo, l’Adria, che attraversa l’Ungheria e la Croazia fino a Castel Muschio,