• Non ci sono risultati.

VERSO LA RIFORMA DELL’ART 111 COST.: L’AFFERMAZIONE DEL “GIUSTO PROCESSO”

2.3. Il principio di “non dispersione della prova”

Occorre anzitutto distinguere tra principio di “non dispersione della prova” e principio di “non dispersione dei mezzi di prova” (quest'ultima è la dizione adoperata dalla Corte costituzionale nella sentenza 254/1992)64.

Il termine "prova" vuole indicare la “prova-risultato”, vale a dire il dato storico, che, mediante l'attività di formazione della prova stessa, è introdotto nel processo, quale conoscenza utilizzabile dal giudice per la decisione. Nel contesto di questo significato, la "non dispersione" presuppone, dunque, una prova già formata, la quale, una volta acquisita al dibattimento, è utilizzabile in altro dibattimento, senza che si debba procedere ex novo alla sua assunzione, mediante le regole che sono proprie dell'oralità, del contraddittorio e dell'immediatezza.

L’espressione “mezzi di prova”, invece, è un’espressione “atecnica”, coniata appositamente per essere applicata a situazioni procedurali nelle quali sopravvenga l’impossibilità di ottenere in dibattimento (con il “metodo orale”) una dichiarazione già acquisita durante le indagini, in segreto. Parlare, a tal proposito, di “non dispersione” significa postulare che la documentazione del risultato dell'atto di indagine sia acquisibile al dibattimento (con l’espediente della lettura del relativo verbale), così da far assurgere la risultanza investigativa a “prova”.

Sarebbe, allora, opportuno adottare la corretta formulazione di principio di “non dispersione dei risultati dell’investigazione”, dal momento che ciò che la Corte ha voluto “salvare” sono, appunto, le risultanze investigative65

.

64

Guerini U., Le dichiarazioni nel processo dopo la sentenza della Corte costituzionale sull’art. 513 c.p.p., Padova, 1999, p. 47.

32 Non v'è dubbio che il suddetto principio non trovi alcun riconoscimento costituzionale. In realtà, la Consulta, nella sentenza di cui sopra, si ispirò al metodo autoritativo di raccolta delle conoscenze processuali, metodo che affida ad un’autorità monolitica, anziché al confronto dialettico tra le parti, il compito di accertare i fatti di causa66. In tal modo, al formale ossequio del contraddittorio, ostacolo al raggiungimento del fine primario della verità, furono sostituiti gli accertamenti dell’autorità, la sola che avrebbe potuto garantire un “processo giusto”, orientato al fine suddetto67. La “ricerca della verità”, di cui parla la Corte,

è, in effetti, molto simile alla categoria dell'”accertamento della verità”, che caratterizzava il sistema misto enucleato dal codice Rocco.

Nel 1988, l’intento principale del legislatore fu quello di sostituire il principio di “autorità” con il principio “dialettico”, per il quale la formazione della prova è funzione delle parti, pur se controllata dal giudice terzo; con la conseguenza che il contraddittorio cambiò la propria fisionomia: da semplice diritto della difesa a struttura del processo. Un contraddittorio, come più volte ricordato, non più “sulla prova”, bensì “per la prova”, con potenzialità conoscitive maggiori rispetto alla ricerca unilaterale svolta dall’accusa.

Eppure, il Giudice delle leggi non esitò ad affermare che il principio di “non dispersione dei mezzi di prova” avrebbe potuto facilmente trovare riscontro in tutti quegli istituti che permettevano di far confluire nel fascicolo del dibattimento, ai fini dell’utilizzazione probatoria, atti non suscettibili di essere

65

Dominioni O., Un nuovo idolum theatri: il principio di non dispersione probatoria, in R.I.D.P.P., 1997, p. 738.

66

Bobbio N., Da Hobbes a Marx, Napoli, 1967, p. 62; Zagrebelsky G., Il diritto mite, Torino, 1992, p. 56.

67

Guerini U., Le dichiarazioni nel processo dopo la sentenza della Corte costituzionale sull’art. 513 c.p.p., Padova, 1999, p. 50.

33 ripetuti in giudizio: atti ad irripetibilità originaria compiuti dal PM o dalla PG; incidente probatorio; lettura in dibattimento degli atti ad irripetibilità sopravvenuta della PG, del PM o del GUP.

La vecchia formulazione dell’art. 513 c.p.p. prevedeva un solo caso di deroga al “contraddittorio nella formazione della prova”: quello delle dichiarazioni extra- dibattimentali rese dall’imputato o dalle persone indicate nell’art. 210 c.p.p. Tali dichiarazioni potevano, infatti, essere utilizzate a carico di altra persona imputata, che non avesse partecipato all’assunzione delle stesse. Quest’unica deroga, lungi dall’essere elevata a prova dell’esistenza di un superiore principio di “non dispersione”, consentiva, sì, l’ingresso delle precedenti dichiarazioni in dibattimento, ma pur sempre mediante contraddittorio su di esse68. La restante parte della disciplina del divieto di lettura di dichiarazioni “non garantite”, perché rese nel corso delle indagini preliminari, fu vista, nelle ordinanze che sollevarono le questioni di legittimità costituzionale sull’art. 513, come ostacolo all’accertamento dei fatti secondo verità.

Ma di illegittimità costituzionale si può, invero, parlare solo nel caso in cui la perdita di materiale probatorio sia priva di giustificazione, quindi irragionevole, e non nel caso di una dichiarazione assunta unilateralmente, nel segreto della fase investigativa. Anche perché la verità, cui il processo tende sempre e comunque, deve fondarsi su prove “garantite”.

Due ultime osservazioni si impongono:

- Il processo penale ha una natura strumentale e l'accertamento della verità storica consiste nella verifica dei presupposti (sussistenza del reato

68 Dominioni O., Un nuovo idolum theatri: il principio di non dispersione probatoria, in R.I.D.P.P., 1997, p. 747.

34 attribuibile ad un determinato soggetto, gravità del reato, capacità a delinquere del reo, possibilità di applicazione di attenuanti generiche, ecc…) che giustifichino, in concreto, l'applicazione di una determinata sanzione penale. Tale accertamento è, dunque, indispensabile per affermare la costituzionalità del sistema penale: ma come si spiegano, a questo punto, gli istituti della “applicazione della pena su richiesta delle parti” e del “procedimento per decreto”, previsti rispettivamente dagli artt. 444 e 459 c.p.p. (per i quali di accertamento fattuale non si può di certo parlare)? Anche nel caso in cui li si intenda come eccezioni, si tratta, comunque, di istituti che confliggono con quello che, a detta della Corte, è il fine ineludibile del processo penale69;

- In via più generale e conclusiva, si deve rilevare che la “ricerca della verità” non contrasta affatto con il c.d. principio “dispositivo” in tema di assunzione della prova: anch'esso, infatti, persegue il medesimo scopo dell’accertamento dei fatti di causa, subordinando, però, all’iniziativa delle parti la richiesta della prova stessa, così da garantire la terzietà del giudice ed il contraddittorio dibattimentale.