Il contratto collettivo è un atto giuridico con una serie di particolarità proprie; veniamo ora a trattare i diversi rapporti fra legge e contratto collettivo.
Infatti il contratto collettivo opera nei confronti del contratto individuale come norma imperativa di legge (inderogabilità di quest'ultimo dal contratto collettivo, v. supra, Cap. III, par. 3.1), tuttavia rimane pur sempre un contratto, e da ciò ne deriva una serie di conseguenze rilevanti.
Si è già visto come di sicuro non rientra tra le fonti di diritto obiettivo, com’era espressamente previsto invece per il contratto collettivo corporativo, il
quale risultava incluso nell'elenco delle fonti all'art. 1 delle disposizioni preliminari del codice civile.
Anche il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, esclude che il contratto collettivo possa essere considerato fonte di diritto, poiché tale decreto introduce, tra i motivi di ricorso per Cassazione, «la violazione o la falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro»125. Ma ciò non implica che il contratto collettivo sia considerato fonte. Quella disposizione testimonia semplicemente la volontà della Cassazione di poter controllare sia l'interpretazione, sia l'applicazione di tutte quelle norme giuridiche che in un dato qual modo fossero provviste di un certo grado di generalità.
Rimanendo intatta la sua natura di contratto di diritto comune, richiamiamo tutte quelle norme dettate dal codice civile per l'interpretazione dei contratti, le quali vengono applicate anche alla contrattazione collettiva (art.
125 L’art. 2 (rubricato “Modifiche all’art. 360”) del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 recita: «L'articolo
360 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente: “Art. 360 (Sentenze impugnabili e motivi di ricorso). - Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione:
1) per motivi attinenti alla giurisdizione;
2) per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;
3) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;
4) per nullità della sentenza o del procedimento;
5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Può inoltre essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del tribunale, se le parti sono d'accordo per omettere l'appello; ma in tale caso l'impugnazione può proporsi soltanto a norma del primo comma, n. 3.
Non sono immediatamente impugnabili con ricorso per cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio. Il ricorso per cassazione avverso tali sentenze può essere proposto, senza necessità di riserva, allorché sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio.
Le disposizioni di cui al primo comma e terzo comma si applicano alle sentenze ed ai provvedimenti diversi dalla sentenza contro i quali è ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge».
1362 e ss. c.c.). Così, appare chiaro che il contratto collettivo si pone come fonte subordinata alla legge.
Perciò, da un lato è pacifica l’inderogabilità in peius delle disposizioni legislative ad opera della contrattazione collettiva; e all’altro la possibilità di derogare in melius ad una norma di legge non crea contrasti con quest'ultima, giacché sviluppa l'obiettivo di protezione del lavoratore.
Tale è la regola che disciplina il rapporto tra legge e autonomia collettiva.
Tuttavia esistono alcune eccezioni.
Infatti, la legge, in alcuni casi determinati e specifici, ha previsto anche la possibilità di derogare in peius rispetto alla stessa: è il caso dell'art. 8 della l. 14 settembre 2011, n. 148126. Approvando tale articolo, si è compiuta una scelta di liberalizzazione molto forte: si autorizza, ad esempio, il contratto collettivo territoriale e quello aziendale ad esercitare un potere derogatorio su una vasta quantità di materie.
A causa di tali ragioni, l'art. 8 della suddetta norma ha suscitato critiche, e ha creato in molti dubbi di incostituzionalità. Si è parlato addirittura di
126 Tale articolo (rubricato “Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità”) al primo
comma recita: «I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l'accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività». Ma la chiave di volta dell’art. 8 è il comma 2-bis: «Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro».
un cambiamento "epocale", "rivoluzionario"127, poiché si assiste, per la prima volta, al conferimento di un ampio potere normativo all'autonomia collettiva in ambito decentrato, rinunciando pure al carattere dell'inderogabilità in peius, mettendo in discussione quindi il principio cardine che finora ha contraddistinto il diritto del lavoro: cioè «la supremazia gerarchica della legge rispetto all'autonomia collettiva, la quale, se non è autorizzata dalla legge stessa, non può derogare alla prima con clausole meno favorevoli ai lavoratori»128.
Largamente diffusa è la preoccupazione che un tale potere derogatorio ad «una contrattazione che non è caratterizzata da astrattezza e generalità, come tipicamente quella categoriale»129 possa causare un simile impatto sul piano del diritto del lavoro: «l’attenuazione, se non proprio il superamento, del principio cardine della norma di legge rischia di stimolare fenomeni di dumping sociale130 e legittimare un diritto del lavoro “a pelle di leopardo” con consistenti
differenziazioni di tutele nella medesima area geografica»131. Conseguentemente,
127 A. PERULLI, V. SPEZIALE, L'articolo 8 della legge 14 settembre 2011, n. 148 e la
“rivoluzione di Agosto” del Diritto del lavoro, cit. p. 24, secondo cui «la nuova regolamentazione contenuta nell'art. 8 aprirebbe un ampio spiraglio a favore della tesi a suo tempo prospettata dalla generale fungibilità tra la legge ed il contratto collettivo».
128 R. SANTAGATA, II. Rappresentanza sindacale e contratto collettivo, p. 333, in Il contributo
di Mario Rusciano all’evoluzione teorica del diritto del lavoro. Studi in onore. Lavoro pubblico, rappresentanza sindacale, contratto collettivo, diritto di sciopero, G. Giappichelli Editore, 2013, Torino.
129 F. CARINCI, Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il sindacato, il legislatore,
Università degli Studi di Catania, 2011, p. 72.
130 Con questa espressione s’intende la pratica di alcune imprese (soprattutto multinazionali) di
localizzare la propria attività in aree in cui il costo del lavoro è inferiore o dove possono approfittare di disposizioni meno restrittive in materia di lavoro. Mediante tale meccanismo, l’impresa sosterrà minori costi, i quali andranno ad incidere sul prezzo finale del bene, che risulterà più concorrenziale.
131 R. SANTAGATA, II. Rappresentanza sindacale e contratto collettivo, p. 333 e ss, in Il
contributo di Mario Rusciano all’evoluzione teorica del diritto del lavoro. Studi in onore. Lavoro pubblico, rappresentanza sindacale, contratto collettivo, diritto di sciopero, G. Giappichelli Editore, 2013, Torino.
la norma in discussione potrebbe essere considerata in contrasto, oltre che con l'art. 39 Cost., anche con l'art. 3 Cost., poiché «garantisce su tutto il territorio dello Stato l'uniformità della disciplina che regola i rapporti tra privati e consente normative differenziate solo nei limiti dettati dal principio di ragionevolezza»132.
La tematica attinente all’art. 8 della citata legge verrà ripresa in seguito (v. infra, Cap. IV, par. 4.4) nell’ambito dei rapporti fra contrattazione collettiva territoriale o aziendale e contrattazione collettiva nazionale.
3.6 I rapporti tra contratti di livello nazionale e contratti di livello