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Il romanzo d’avventura e lo spazio coloniale

Gotico Tropicale

3.3. Il romanzo d’avventura e lo spazio coloniale

Gli eroi del romanzo d’avventura esotico partono alla conquista dei vasti spazi dell’impero coloniale spinti dal desiderio della scoperta, al- la ricerca di tesori sepolti o di esploratori bianchi perduti nel cuore di tenebra dell’alterità nemica. Di fronte agli ostacoli di cui è dissemina- to il loro percorso ― caldo, liane, bestie feroci, indigeni minacciosi… ― essi sfoderano non solo le prevedibili virtù fisiche e morali proprie di ogni eroe avventuriero che si rispetti, ma anche gli strumenti simbo- lici di una cultura tecnologicamente avanzata che si vuole destinata a dominare il mondo: carte geografiche, bussole, cannocchiali, armi da fuoco… Il loro percorso attraverso lo spazio esotico è in effetti una metafora dell’irresistibile avanzata del progresso, della vittoria della civiltà occidentale di fronte alle forze oscure della natura a cui sono sistematicamente assimilate le culture indigene. Molto prima del ro- manzo d’avventura esotico, il genere letterario che si era a lungo inca- ricato di veicolare questo tipo di rappresentazione simbolica dell’identità occidentale era stato il resoconto di viaggio, che a partire dalla fine del XVIII secolo aveva documentato e celebrato le grandi esplorazioni geografiche. Negli ultimi decenni del XIX secolo, quando l’atlante è ormai stato riempito di nomi di fiumi, di montagne, di pia- nure, quando non resta più nessuno spazio bianco da conquistare, il romanzo d’avventura offre allora all’immaginazione occidentale nuovi territori inesplorati, «a blank space of delightful mystery, a white patch for a boy to dream gloriously over»20.

Penetrare; prendere; andar via (e all’occorrenza distruggere). È la logica spaziale del colonialismo: replicata, e “naturalizzata”, dall’intreccio lineare. Ma quando arriviamo alla fine del viaggio […], non troviamo materie prime,

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o avorio, o indigeni da rendere schiavi. Nulla di così banale; piuttosto, quella strana creatura ― il “tesoro” ― dove il profitto insanguinato dell’avventura coloniale si sublima in oggetto estetico quasi fine a se stesso: pietre splenden- ti, pulite; diamanti, se possibile (come nelle Miniere di re Salomone). Op- pure, una donna enigmatica e ammaliante; una sorta di Dracula equatoriale, che in She e Atlantide è in effetti una creatura sovrannaturale nel senso stesso del termine. Infine, e soprattutto, al termine del viaggio c’è la figura dell’Europeo Prigioniero, che giustifica retrospettivamente l’intera vicenda come un caso, per dir così, di legittima difesa. Il Congo, l’Haggar, l’Africa centrale, la terra degli Zulu, gli avamposti sahariani: poiché l’Africa intera è piena di bianchi in dolorosa cattività, la sua conquista può essere riscritta come fosse una crociata liberatrice, con un rovesciamento dei ruoli (una “re- torica dell’innocenza”, l’ho chiamata altrove) che è forse il tratto più tipico dell’immaginazione coloniale21.

La «retorica dell’innocenza» di cui parla Moretti, tipica di questi romanzi, è però la stessa dei resoconti dei viaggi d’esplorazione, che della penetrazione coloniale erano stati il preludio necessario ma che sempre celavano la volontà di conquista dietro l’utile e il meraviglioso della scoperta geografica. Ammantati di un irresistibile fascino, gli e- sploratori furono i precursori e i modelli degli eroi del romanzo d’avventura: «It was they and not the characters of famous fiction who were my first friends», scriveva Conrad nel suo saggio sulla geografia,

of some of them I had soon formed for myself an image indissolubly con- nected with certain parts of the world. For instance, Western Sudan, of which I could draw the rivers and principal features from memory even now, means for me an episode in Mungo Park’s life. It means for me the vision of a young, emaciated, fair–haired man, clad simply in a tattered shirt and worn– out breeches, gasping painfully for breath and lying on the ground in the shade of an enormous African tree (species unknown), while from a neigh- bouring village of grass huts a charitable black–skinned woman is approa- ching him with a calabash full of pure cold water […]. The Central Sudan, on the other hand, is represented to me by a very different picture, that of a self– confident and keen–eyed person in a long cloak and wearing a turban on his head, riding slowly towards a gate in the mud walls of an African city, from which an excited population is streaming out to behold the wonder. Dr. Barth, the protégé of Lord Palmerston, and subsidised by the British Foreign Office, approaching Kano, which no European eye had seen till then […]. The words “Central Africa” bring before my eyes an old man with a rugged,

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kind face and a clipped, grey moustache, pacing wearily at the head of a few black followers along the reed–fringed lakes towards the dark native hut on the Congo head–waters in which he died, clinging in his very last hour to his heart’s unappeased desire for the sources of the Nile22.

Come nel romanzo coloniale francese, l’intreccio lineare del ro- manzo d’avventura esotico replicava e «naturalizzava» dunque la lo- gica spaziale della penetrazione coloniale, ma in maniera assai più ef- ficace: fornendole l’alibi di un’innocente e gloriosa esplorazione geo- grafica e degli eroi più rapidi e mobili, che non si lasciano imprigio- nare nella triste routine delle postazioni costiere, nei letti di ingom- branti amanti esotiche e nelle angoscie di un’identità in crisi. L’eroe del romanzo d’avventura, dicevamo, «non conosce titubanze: decide e fa, pensa e va», percorrendo rapidamente grandi distanze. Si tratta di una struttura mutuata dal modello formale del resoconto del viaggio d’esplorazione, che legava fra loro dei luoghi il cui percorso e la cui traversata costituivano la narrazione stessa:

[un] récit […] dont les événements sont des lieux qui n’apparaissent dans le discours du narrateur que parce–qu’ils sont les étapes d’un itinéraire. […] Le propre du récit de voyage est cette succession de lieux traversés, le réseau ponctué de noms et de descriptions locales qu’un parcours fait sortir de l’anonymat et dont il expose l’immuable préexistence23.

A questa struttura del resoconto di viaggio, il romanzo d’avventura esotico sovrappone la struttura romanzesca tradizionale, che lega gli uni agli altri eventi e attori narrativi secondo gli schemi teleologici della narrazione tradizionale. Il rapporto formale del romanzo d’avventura esotico con il resoconto del viaggio d’esplorazione è del resto apertamente dichiarato a partire dal paratesto convenzionale, che prevede innanzi tutto una canonica carta geografica su cui viene se- gnalato il percorso degli eroi e che offre allo spazio narrativo una pre- sunta verosimiglianza. Spesso si aggiunge poi un ulteriore apparato in- formativo ― una prefazione, delle note ― che rinnegano convenzio-

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J. CONRAD, Geography and Some Explorers, in Id., Last Essays, J.M. Dent, London, 1926, pp. 22–3.

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nalmente lo statuto romanzesco del testo, assimilandolo all’universo documentario del resoconto di viaggio.

A partire dagli ultimi decenni del XIX secolo tuttavia, questo tipo di storia comincia a integrare anche tutta una serie di elementi narrati- vi nuovi, che vengono a perturbare e a trasformare il modello ideolo- gico ereditato dal resoconto di viaggio. In Inghilterra, questi elementi nuovi provengono da un universo narrativo assolutamente opposto a quello della narrazione documentaria e rinviano il romanzo d’avventura esotico ai temi e alle figure del fantastico. Patrick Bran- tlinger ha definito questa particolare commistione «Imperial Gothic»: «Imperial Gothic combines the seemingly scientific, progressive, of- ten Darwinian ideology of imperialism with an antithetical interest in the occult»24. Come sottolinea Brantlinger, uno dei temi centrali dell’«Imperial Gothic» è quello della degenerazione: «The patterns of atavism and going native described by imperialist romancers […] of- fer […] insistent images of decline and fall or of civilization turning into its opposite […]. Imperial Gothic expresses anxieties […] about the ease with which civilization can revert to barbarism or savage- ry»25. Come il romanzo coloniale in Francia, in Inghilterra le storie dell’«Imperial Gothic» riprendono dunque tutta una serie di discorsi elaborati all’interno della psichiatria e dell’antropologia contempora- nea, rivelando le contraddizioni di quel particolare momento culturale. Da un punto di vista formale, il modello narrativo dell’«Imperial Gothic» non è tanto l’avventura esotica di Treasure Island, quanto piuttosto l’assai più inquietante Dr. Jekyll and Mr. Hyde o il celebre

Dracula di Stoker, testi rappresentativi di una nuova corrente di ro- mance vittoriano26. Trasferiti nei territori dei domini coloniali, i mostri del romance gotico di fine secolo divengono ulteriormente “altri”, so- vrannaturali e per di più confinati in uno spazio nemico lontano, pro-

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P. BRANTLINGER, Rule of Darkness. British Literature and Imperialism, Ithaca, Cornell

University Press, London, 1988, p. 227.

25

Ivi, p. 229.

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Come sottolinea David Punter, lo stesso Dr. Jekyll and Mr. Hyde può essere letto come un esempio di Imperial Gothic: il comportamento di Hyde è una versione urbana del processo esotico del going native, nella misura in cui l’esperimento di Jekyll libera il selvaggio che è dentro di lui, nascosto nell’involucro dell’uomo civilizzato. Vedi D. PUNTER, The Literature

of Terror. A History of Gothic Fictions from 1765 to the Present Day, Longman, London,

teggendo così la coscienza dalla rivelazione dei contenuti repressi. Doppiamente non familiari, essi sono però allo stesso tempo anche delle figure doppiamente ambivalenti. Agiscono all’interno di un mondo la cui «realtà» pare consolidata da tutto quel corollario di fatti che il romanzo d’avventura prendeva tradizionalmente in prestito dal resoconto di viaggio, eppure sfuggono ― o sembrano sfuggire ― alle leggi di quel mondo. Allo stesso modo, se da una parte si configurano come un’emanazione malvagia dello spazio coloniale nemico, essi possiedono però alcuni fondamentali attributi che li legano profonda- mente all’universo dell’identità occidentale degli eroi e che la mettono inesorabilmente in pericolo. Last but not least, questi antagonisti eso- tici sovrannaturali sono molto spesso delle figure femminili: ennesimo segno ambivalente di un’alterità che minaccia di inghiottire l’identità degli avventurieri maschi. Colonizzando l’intreccio del tradizionale romanzo d’avventura, le figure fantastiche del gotico vittoriano tras- formano dunque la struttura del genere estremamente elastico che li accoglie e che riesce ad assorbirli, rivelando alla coscienza assai più di quanto normalmente permettessero le canoniche regole della letteratu- ra per ragazzi e dando luogo a quel miscuglio di eventi fantastici e di rivendicata verosimiglianza tipico delle narrazioni africane di Hag- gard.

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